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Marco Giusti per Dagospia
"L'alba del pianeta delle scimmie" di Rupert Wyatt.
Pur battuto negli incassi settimanali dai Puffi in 3D (ci credo, sono un po' tutto, dalemiani, laziali, stalinisti...), il nuovo capitolo delle scimmie, diretto da un giovane regista inglese, Rupert Wyatt (aveva girato un buon prison movie, "The Escapist") è da non sottovalutare.
Certo, non si sentiva assolutamente il bisogno di un altro film della saga nata dal romanzo di Pierre Boulle nel 1963 ("La planète des singes") e sviluppato dal celebre film di Franklyn J. Schaffner nel 1968 ("Il pianeta delle scimmie"), che dette a sua volta vita a una minisaga cinematografica e a una serie tv. Inoltre era stato appena girato (o il 2002 è un secolo fa?) un ricco e discusso remake da Tim Burton che vantava pure le apparizioni delle due star del primo film, Charlton Heston e Linda Hamilton (bonissima, sposò nello stesso anno il produttore Richard D. Zanuck).
Eppure... In questo caso non si tratta proprio di remake, ma di un mischione tra prequel e remake degli ultimi capitoli della saga, che vedevano il personaggio dello scimmione Cesare, interpretato da Roddy McDowall, a capo della rivolta delle scimmie contro gli umani.
Pure qui sempre di rivoluzione contro il capitalismo, l'America, l'avidità umana si tratta, ma il nuovo Cesare, cioè il grande Andy Sirkis (già Gollum e King Kong), è una scimmia nata in laboratorio, figlio di una scimmia impazzita durante un esperimento alla ricerca di un rimedio contro l'Alzheimer.
Cesare, cresciuto sotto gli occhi amorosi dello scienziato Will, James Franco, e del vecchio padre, un John Lithgow strepitoso come malato di Alzheimer, si umanizza e prende rapidamente coscienza di quello che gli è capitato e dell'ottusità della razza umana.
Costruito in tre parti ben distinte, la prima di pura medicin-fiction, con gli esperimenti in laboratorio e la crescita di Cesare in famiglia come uno Spider Man qualsiasi, la seconda di puro prison-movie, la terza di tattica e guerriglia rivoluzionaria urbana, il film funziona quando abbandona i terreni più facili e si avventura nel dramma dei sentimenti.
Esattamente come nel vecchio film di Schaffner. Ma qui la chiave di tutto, l'essere che comincia a capire, non è l'umano, l'anonimo James Franco con la fidanzata Frieda Pinto, quanto la scimmia. à Cesare che riesce a comunicare col vecchio nonno, con l'orango del circo, con lo scimmione Buck, che ha una strategia rivoluzionaria alla Che Guevara. Non a caso la sua prima parola è "No". E quando Will gli chiede di tornare a casa, gli risponde che "Cesare è già a casa". Perché come certi personaggi di Melville, da Bartleby al Babo di Benito Cereno, Cesare fa parte di noi.
Non a caso sul "New Yorker", David Demby lo esalta come il "il miglior film spettacolare della stagione e uno dei pochi che usi l'animazione digitale per effetti drammatici". Rispetto, infatti, agli scimmioni pur magistrali del film di Schaffner o a quelli costruiti da Rick Baker per il film di Tim Burton, questi costruiti dalla Weta, la società che ci ha dato gli effetti incredibili di "Avatar" e "King Kong", sono qualcosa in più. Gli attori-scimmie, capitanati da Andy Sakris, riescono a recitare e a esprimere commozione o partecipazione.
Quando il vecchio John Lithgow impugna la forchetta dalla parte sbagliata e Cesare gliela sistema per il verso giusto, diventa così un alto e credibile momento drammatico. Va detto che già da sole le scimmie valgono il prezzo del biglietto. Ma il film è pieno di sottili trovate che piaceranno ai fan più smaliziati della saga. Cesare che gioca con la Statua della Libertà , ad esempio, l'apparizione in tv di Charlton Heston, il gioco dei nomi dei protagonisti che rimanda ai film della saga (Buck, Dodge...).
Da parte sua, Wyatt ci mette una grande apparizione di Brian Cox come capo dello zoo-prigione (Cox era il protagonista del suo "The Escapist"), una sequenza alla Shamalyan con le scimmie che si muovono fra gli alberi, la battaglia finale sul ponte di san Francisco. Non varranno i puffi, ma queste scimmie andrebbero viste.
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