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Marco Giusti per Dagospia
L'arte della felicità di Alessandro Rak.
E' possibile fare qualcosa di diverso in Italia? Chissà un film animato "adulto" per un pubblico di adulti, magari ambientato in una Napoli piovosa e realizzato da un gruppo di lavoro di tutti napoletani? Qualcosa del genere è possibile, visto che il film, "L'arte della felicità " di Alessandro Rak, prodotto e ideato da Luciano Stella, non solo si è fatto pur con grande difficoltà , ma è stato presentato a Venezia, alla Settimana della Critica, dove è stato accolto con rispetto perfino da Mereghetti, e ora arriva nelle sale italiane, pronto a farsi perdonare di non essere né "Cattivissimo me" né "Planes", ma qualcosa di più simile alla graphic novel.
Ovvio che di fronte a questo lungometraggio animato italiano "adulto", ideato e realizzato all'interno di una nuova realtà produttiva cinematografica napoletana, come quella della Med di Luciano Stella, una vera e propria factory che ha già fatto uscire in tv un più tradizionale "La cantata dei pastori" di Nicola Barile e sta concludendo il documentario "Lo sposo di Napoli", appunti per un film su Achille Lauro di Giogiò Franchini, non possiamo che dirci felici.
Sia della scelta della tecnica, un film animato per raccontare la crisi profonda di un musicista quarantenne napoletano di fronte alla morte del fratello, da anni diventato buddista e rifugiato in Nepal, sia, in gran parte del risultato. Perché con tutti i difetti consueti di un'opera prima, inoltre di un'opera prima "difficile", "L'arte della felicità " non è né un film banale né un film non riuscito rispetto alle proprie ambizioni.
E' un lungo, elaborato e intelligente esperimento di film d'autore animato, molto giocato su musiche originali di Antonio Fresa e Luigi Scialdone, con tematiche forti e molti aspetti mistici che non piacerà a tutti, ma non ci lascia indifferenti.
Tutto si svolge in una Napoli fredda, piovosa e piena di munnezza. E' lì che si muove col suo taxi il quarantenne barbuto Sergio, già musicista assieme al fratello Alfredo, lui suonava il piano e il fratello il violino. Ma Alfredo non c'è, gli ha spedito una lettera, che Sergio non ha ancora aperto. O, forse, non vuole aprire. Perché è turbato e non riesce bene a decifrare cosa è reale e cosa non lo è.
A cominciare dai clienti del suo taxi, che lo rimandano a memorie lontane o a affrontare realtà che pensa di aver superato. Un po' pippone mistico sulla felicità e sul superamento dell'idea della morte, il film ha le sue parti migliori proprio nella costruzione di una Napoli cruda e vitale fatta di suoni, odori e personaggi diversi. Lì Rak riesce meglio a sviluppare un racconto non sempre facile da smaltire. In sala dal 21 novembre.
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