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Marco Giusti per Dagospia
Lone Survivor di Peter Berg
"Non abbandonare mai la battaglia!" si gridano fra loro gli eroici Navy Seals nell'operazione Red Wing. Che suona un po' come il vecchio motto del Borgorosso F.C. "Chi si astiene dalla lotta è un gran figlio di mignotta!". Ci siamo. Tornano i ragazzi eroici che si sacrificano per la loro "fottuta patria" e alla domanda "come stai?", anche se sono pieni di pallottole come un colabrodo rispondono "alla grande!".
Ma uno solo, come spiega il titolo, "Lone Survivor", e come vediamo già nelle prime scene con un elicottero che si porta via un Mark Whalberg ridotto maluccio, rimarrà per raccontarci la storia. Diciamolo subito. Malgrado un bel po' di retorica e una sguardo tra il troppo patriottico e il fascistello, questo "Lone Survivor", diretto da Peter Berg, ex attore e regista del poco digeribile "Battleship", per i fan del cinema di guerra alla Raoul Walsh e alla Samuel Fuller, è un gran filmone.
Pure Quentino Tarantino lo ha visto un paio di volte. Certo, si poteva snellire in qua e in là , ma il cuore della storia, verissima, di una pattuglia di quattro Navy Seals che si ritrovano sperduti, senza alcun contatto radio e telefonico, nelle montagne dell'Afghanistan a contatto con una bella tribù di talebani cazzuti e armati fino ai denti, è favoloso.
E funziona benissimo, riportandoci intatto tutto il gusto per i film di avventura e di guerra della nostra infanzia. Un elenco lunghissimo di pattuglie sperdute, da "The Lost Patrol" di John Ford in avanti, di avamposti degli uomini perduti alla Gordon Douglas, di colline che non rispondono.
I cattivi possono essere indiani, arabi, giapponesi, coreani o talebani. Poco importa. Quel che conta è che i componenti della pattuglia siano soldati eroici pronti a rimanere fedeli alla bandiera fino all'ultimo colpo, e che le cose vadano esattamente come vuole il protocollo del cinema più classico hollywoodiano. Cioè che gli eroici soldati rimasti intrappolati nella situazione, in questo caso una collina posta sopra al villaggio talebano nella provincia del Kumar, con la radio a pezzi e il cellulare che piglia e non piglia (lo fanno anche in Afghanistan...), muoiano uno a uno dopo essersi portati via all'inferno un bel po' di cattivi.
Certo, si dirà , se i quattro Navy Seals avessero ucciso i pastorelli talebani che pascolavano le loro caprette nella collina, atto poco umano e degno della corte marziale, non sarebbero rimasti chiusi in trappola. Ma non siamo in un film di guerra in Vietnam di Francis Coppola o di Brian De Palma, questo è un film patriottico sui soldati americani in Afghanistan in una guerra che sembra senza fine.
Va detto, poi, che i quattro protagonisti sono tutti in gran forma, da Mark Whalberg nel ruolo di Marcus Luttrell, il lone survivor del gruppo ("Ho fatto il mio dovere. Missione compiuta"), a Taylor Kitsch ("John Carter", "Le belve") nel ruolo di Mike Murphy, Emile Hirsch ("Into the Wild", "Venuto al mondo") in quello di Danny Dietz e, soprattutto, Ben Foster, che abbiamo amato molto come cattivo in "Quel treno per Yuma" in quello di Axe, che ha le battute migliori di tutti e che rimarrà più impresso agli spettatori.
Ai quattro protagonisti dobbiamo aggiungere Eric Bana come loro comandante in Afghanistan, i cattivi Yousuf Azami e Sammy Sheik e l'afgano buono Ali Suliman. Neanche una donna. Come ai vecchi tempi. In sala dal 20 febbraio.
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