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Marco Giusti per Dagospia
“Sono un appetito, niente di più”. Sì, è vero. Mi aspettavo qualcosa di più da questa nuova, coltissima e fortunata versione di “Nosferatu” scritta e diretta dal Robert Eggers di “The Lighthouse” e di “The Northman”, che riprende molto sia da quello di Murnau del 1922, sia da quello di Herzog del 1979 sia da quello di Coppola.
Se è difficile fare il remake di un capolavoro del cinema, come era il “Nosferatu” di Murnau, secondo Herzog il più grande film tedesco di sempre, immaginiamoci come è fare il remake di ben tre capolavori, perché anche la versione di Herzog e il Dracula di Coppola sono dei capolavori. E ho tralasciato, forse perché considerato troppo costruito sul protagonista, sia il “Dracula” di Tod Browning con Bela Lugosi del 1931, sia quello meno autoriale ma importantissimo, di Terence Fisher, cioè “Dracula il vampiro” con Christopher Lee, che rilanciò il genere nel 1958 puntando sul colore al posto del bianco e nero e fece di Christopher Lee il Dracula ufficiale fino alla sua morte.
E, ancora da vecchio, Christopher Lee, con la sua altezza, con la sua freddezza, la sua virilità ti metteva davvero paura. Qualcosa di antico e di mortifero che ti trasmette anche il Nosferatu di Eggers, cioè l’altissimo e giovanissimo (31 anni) Bill Skårsgard, ricostruito vecchio, baffuto, virile (ha pure un pisello prostetico), col naso aquilino, mai divertente.
E con una voce bassissima, sembra che l’abbia studiata con un coach di cantanti d’opera, che nell’edizione originale vale metà personaggio e che funziona proprio nel rendere immediatamente superiore per classe e fisicità questo Orlok/Dracula/Nosferatu sia rispetto al Thomas Hutter di Nicholas Hoult, sua facile preda nel castello in Transilvania, sia al Renfield/Knock di Simon McBurney sia alla Ellen Hutter di Lily Rose-Depp, il suo grande amore.
Se il Dracula di Klaus Kinski nel film di Herzog, era un personaggio tragico, schiavo della sua immortalità, del suo non poter amare e della sua portata di distruzione, quasi impotente di fronte alla Mina Harker di Isabelle Adjani, che sceglierà di morire con lui, qui il Conte Orlok di Bill Skårsgard, spiega a Ellen/Mina che lui non è altro che il suo desiderio, il suo appetito sessuale. Se l’amica Anna può essere sacrificata perché umana, madre, addirittura incinta quando viene posseduta da Nosferatu, Ellen, come spiega Nosferatu, non è umana, è puro desiderio sessuale.
E' psicanalisi, se volete. Per questo è l’unica in grado, in quanto creatrice di idee e desideri e non di figli, di porre fine alla maledizione del vampiro. Come in tutti i film di Dracula. Confesso che del film di Eggers mi piacciono molto sia il Nosferatu di Bill Skårsgard, perché ci riporta la fisicità e l’orrore di Max Schrenk e la virilità di Christopher Lee, sia la Ellen/Mina di Lily Rose-Depp, che ha quella fragilità da gatta morta che può portare alla rovina anche il più terribile dei vampiri.
Del resto se Dracula si circonda di migliaia di topi anche in questo film, ma quelli di Herzog erano bianchi, perché cotti con la varichina (cosa terribile), Ellen ha la gatta Greta a proteggerla. E, si sa, i gatti scacciano i topi. Lily Rose-Depp ha detto che Eggers l’ha istruita facendole leggere un romanzo del poliedrico filosofo e scrittore ottocentesco Remy de Gourmont, “Péhor”, che tratta appunto della supremazia dell’amore fisico e del desiderio.
Ma tutto il film ha questo aspetto giustamente ossessivo di saggio sia sui tanti Dracula del cinema sia sul mondo che aveva creato il mito di Dracula tra fine dell’ottocento e anni ’20, quando cioè viene girato il film di Murnau. Purtroppo, dopo una bella prima parte dove il gioco del film saggio funziona, col viaggio del Thomas Hutter di Nicholas Hoult (già Renfield di Nicolas Cage Dracula nel recente “Renfield”) in Transilvania nel maniero del conte Orlok, che esternamente è un vero castello dei Carpazi e internamente il castello cecoslovacco di Pernstejn già usata da Herzog, nella parte centrale il film si affloscia e diventa un po’ noioso. Una ragazza accanto a me ieri ha acceso il cellulare e ha chattato tutto il tempo.
Per quanto fastidiosa, magari aveva ragione lei. Eggers, pur infarcendo il film di dotti riferimenti, non riesce a far decollare il viaggio in nave della bara del conte verso Wismar (qui ribattezzata Wisberg) e riesce ancor meno a rendere l’arrivo della nave fantasma piena di morti e di topi malefici in città. Lì, dove il film di Herzog era davvero insuperabile. Inserisce il personaggio pedante di un simil Van Helsing, qui chiamato von Franz, interpretato da Willem Dafoe, non un cacciatore di vampiri, ma un esperto di scienze dell’occulto, che diventa presto un peso e un doppione del dottor Sievers di Ralph Ineson che deve spiegarci quello che accade.
Ma il pubblico ha visto già diecimila film di vampiri… Purtroppo nella seconda parte le cose non migliorano, anche perché deve Eggers deve gestire sia il dramma di Friedrich Harding, un inutile Aaron Taylor-Johnson baffuto, che si ritrova la moglie Anna, incinta, attaccata da Nosferatu, sia il ritorno di Thomas, ridotto a una larva dal Conte Orlok, che Ellen cercherà di proteggere. Insomma. Troppa gente. Troppa caciara. Troppe trame. Però, il finale, che non vi dirò, è bello. Più bello di quello un filo deludente di Herzog.
lily rose NICOLAS HOULT depp nosferatu
Certo, Herzog non doveva fare i conti con tutti i film che abbiamo visto noi. Nel 1979 poteva essere più libero. Poteva citare tranquillamente William Morris, i preraffaelliti, il romanticismo tedesco. E girare “Nosferatu” come aveva girato “Aguirre”. Eggers riprende il suo direttore della fotografia, Jarin Blaschke, il suo compositore, Robin Carolan, ha una serie di scenografi importanti, come il Paul Ghirardani di “Trono di spade”, ha buoni attori, ma non può avere quarant’anni dopo la stessa libertà di messa in scena che poteva avere Herzog dentro il giovane cinema tedesco.
Un movimento. Quindi. Per quanto il film sia un successo, 50 milioni di dollari di budget e 100 milioni di incasso globale dopo due settimane di programmazione, per quanto si percepiscono le sue buone letture, per quanto sia ben girato in 35 mm, senza effetti speciali da vergognarsi, anzi, mi ha dato più piacere rivedere il vecchio “Nosferatu” di Herzog con Klaus Kinski con quei due dentini schifosi che azzanna Isabelle Adjani. Che vi devo dire…
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