diamanti ferzan ozpetek

IL CINEMA DEI GIUSTI - NON RIESCO A FARMI PIACERE “DIAMANTI” DI FERZAN OZPETEK. E’ TUTTO COSÌ OVVIO E TELEFONATO. PURE STI PEZZI DI MINA CHE NON NE POSSIAMO PIÙ - PER QUANTO ADORI IL MÈLO POPOLARE DI OZPETEK, ANCHE QUELLO PIÙ OVVIO, QUI MI DIVENTA QUALCOSA DI INSOSTENIBILE - OGNI BONAZZO CHE ARRIVA ACCOLTO COME SE FOSSE ARRIVATO JOHN HOLMES CON BATTUTE SU PISELLI E SESSO FACILE - NON VEDO GLI ABITI DEL GRANDE CINEMA ITALIANO. NON VEDO NESSUNA CRITICA AI REGISTI. E VEDO INVECE UN BAMBINO CHE STA FERMO NELLA SALA DEI BOTTONI PER ORE. MA PERCHÉ? – VIDEO

 

 

 

Diamanti di Ferzan Ozpetek

Marco Giusti per Dagospia

 

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“Qui ci sono più Oscar che bottoni”. Vabbé. Sono andato a vedere “Diamanti” di Ferzan Ozpetek. Con le migliori intenzioni. Ho pure pianto non so bene perché nella scena finale, magari grazie a Jasmine Trinca, che mi piace anche nei film più modesti. Capisco e approvo l’ottima idea di costruire un film tutto o quasi al femminile, a parte qualche maschio bonazzo che gira o Vinicio Marchioni ormai specializzato in ruoli di maschio che mena o Stefano Accorsi con un parrucchino diverso da quello di “The Bad Guy”.

 

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E mi piace l’idea di ambientarlo nel piccolo magico mondo delle sartorie romane, con tanto di citazioni dei maestri Piero Tosi e Danilo Donati (le carte delle caramelle Rossana attaccate agli abiti), di offrire bei ruoli a attrici importanti, come Vanessa Scalera, che fa una sorta di Milena Canonero fresca di Oscar, ribattezzata Bianca Vega, o a Luisa Ranieri, o a fedelissime ozpetekiane come Paola Minaccioni, Lunetta Savinio, al duo di sorelle Luisa Ranieri & Jasmine Trinca, a Kasia Smutniak, alla più giovane Aurora Giovinazzo, che non avevo riconosciuto, alla romanissima Milena Mancini, perfetta per il ruolo anche con la sigaretta in mano.

 

ferzan ozpetek

Ma non riesco proprio a farmelo piacere. Non mi piace il ricatto morale del tema importante, il costruire i rapporti di potere tra uomini e donne nel mondo del cinema e della famiglia e poi risolverli con una logica da fiction televisiva taralliana. Come se non avessimo mai visto i film di George Cukor…

 

Non mi piace l’intromissione del regista stesso, con l’amica del cuore Elena Sofia Ricci e parte del cast al centro e alla fine del film come se fosse l’occhio dell’autore sulla storia. Il coro. E la sua firma. Ma perché? Che bisogno aveva? Non mi piace che la sceneggiatura non sia controllata come invece è controllata nei migliori film di Ozpetek, scritti da Gianni Romoli, e i personaggi vadano un po’ da tutte le parti, a cominciare proprio da quelli della Ranieri e della Trinca, e poi risolti con piccole trovate narrative che fanno un po’ “Il paradiso delle signore”.

 

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E’ tutto così ovvio e telefonato. Pure sti pezzi di Mina che non ne possiamo più… E non mi piace, anche se capisco che sia una scelta che Ozpetek ha già dato tanto alla causa, che non si veda un sarto gay, le sartorie romane degli anni ’70 erano in mano a Tirelli, a Gabriele Mayer. Non solo sarte e sartine e costumiste da Oscar.

 

Posso essere contento che il film vada bene, che il pubblico applauda alla fine, ma che hanno da applaudire?, e che prenda un po’ del pubblico femminile che aveva fatto di “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi un successo epocale italiano.

 

Lì, che ci piaccia o meno, che funzionasse o meno il finto bianco e nero da neorealismo, c’era un tema sociale forte da raccontare, una rivoluzione epocale come quella del voto alle donne, della presa di coscienza.

 

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Qui tutto si riduce a un abito rosso da cucire in fretta per Stefano Accorsi che fa il regista impegnato. No. Per quanto adori il mèlo popolare di Ozpetek, anche quello più ovvio, perché almeno spezza tabù o situazioni tipiche della commedia italiana, perché osa fare quello che tanti altri registi non riescono a fare, arrivare al cuore dello spettatore senza pensarci troppo, qui il mélo popolare mi diventa qualcosa di insostenibile.

 

Forse perché si parla di storia del cinema, della rivalutazione della vita e delle opere delle sartorie italiane tra il 68 e il 75. Ma non vedo gli abiti del grande cinema italiano. Non vedo nessuna critica ai registi.

DIAMANTI FERZAN OZPETEK

 

Non vedo grandi battute sui costumisti, a parte quella su Tosi e la gag di Donati. Non vedo il lavoro. E vedo invece un bambino che sta fermo nella sala dei bottoni per ore. Ma perché? Ogni bonazzo che arriva accolto come se fosse arrivato John Holmes con battute su piselli e sesso facile. Sarà una scelta. Magari porterà a una serie “Diamanti”. Ma, anche se mi piacciono tutte le attrici che vedo sullo schermo, anche se condivido il lavoro sul mélo popolare di ozpetek, stavolta non riesco a farmelo piacere.   

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