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Marco Giusti per Dagospia
Adieu au langage di Jean-Luc Godard
Oh, Godard! Inizia a giocare già sul titoli. Che è da leggere come AH, DIEUX! OH, LANGAGE! o anche come Adieu au langage. Ma poi lui stessi ci dice che in Svizzera questo Adieu si può usare anche come un Buongiono! E allora le cose cambiano di senso. Ma forse no, è proprio adieu… Inoltre in 3D. Come un film della Marvel. Per quello avrebbe potuto girarlo anche in 70mm come sta facendo ora Quentin Tarantino per The Hateful Eights, che in fondo lavora sullo stesso tema. La fine del cinema, del 900, la tecnica, significa questo il vecchio 70mm o il vecchio 3D, come patrimonio culturale. Un film da vedere magari in un teatro d’opera. Perché non deve essere visto nell’odiato digitale (“fucking dvd!”).
La differenza, unica, è che Godard, al suo 43esimo film, gira con due spicci e Tarantino (e Nolan) con budget da 160 milioni di dollari. Ma alla fine il senso è lo stesso. E non si chiamava poi Band à part la prima casa di produzione fondata da Tarantino? Il film di Godard in 3D, adieu-ah-dieux au langage, è ovviamente un’opera sublime... anche caotica, divertente, mortifera quanto basta per un ottantaduenne. Ma come poteva essere un film che inizia con un pezzo del 1969 del Canzoniere Pisano: "Oggi ho visto nel corteo tante facce sorridenti, le compagne quindicenni, gli operai con gli studenti. Il potere agli operai! No alla scuola del padrone! Sempre uniti vinceremo! Viva la rivoluzione"?
Che malinconia. Erano i tempi di "Lotte in Italia" per Godard, per noi magari anche un po' di vita vissuta fuori dal cinema. E come poteva essere un film che cita una massa incredibile di autori, di film, boh... ho riconosciuto un Henry King, un Howard Hawks..., per dirci, insomma, che dopo la scomparsa del cinema e del comunismo, come spiegava nella sua ultima opera, “Film+Socialisme”, ora non esiste più neanche il linguaggio del 900. E del millennio precedente. Il Cristianesimo e l’Islamismo non avevano forse vietato per anni l’uso di immagini e non avevano sviluppato tutto nel linguaggio? Ora cosa ci resta? E poi le nostre parole, come adieu, non prendono sensi diversi quando ci si spotsa da un paese all’altro. Quali sono i veri significati, allora?
Godard gioca sulle immagini, sul 3D come nessun altro ("il più grande evento in 3d da Avatar", scrive Total Film), inventandosi delle situazioni assurde solo per riflettere ancora sul potere delle immagini sulle parole e delle parole sulle immagini, sfottendoci, presentandosi a Cannes al Grand Theatre Lumiere, dove ha vinto anche un premio, con una folla paurosa di talebani godardiani (esistono, altro che i terroristi...) come fosse l'ultima Godzilla in 3D. Lui, ovviamente, è rimasto a casa. Pronto a scandalizzare i critici mollicci dei giornali, quelli che non capiscano e neanche si adeguano (per citare un vecchio pezzo di Kezich…). E, intanto, i premi maggiori vanno agli autori facili come Terrence Malick o Nuri Bilge Ceylan, che riciclano linguaggi di cinema già vistie stravisti. Nessuno si rischia a inventare più nulla.
Dove sono finiti i libri, si chiede Godard? Sulle bancarelle, fra Pound e Levinas. E l'amore? Di fronte a uno schermo che mostra vecchi film che abbiamo tutti amato, mentre una ragazza si mostra un'altra volta nuda.
E si parla di tutto, anche del significato del pensatore di Rodin mentre si sta in bagno a mollare capite cosa modello Bombolo. Tanto lo ha fatto anche David Cronenbergin “Maps to the Stars”, siamo in buona compagnia. E tutto il nostro enciclopedismo è finito nella geografia di Google, anche le citazioni godardiane. Il russo Zworkyn, l'inventore della tv nel 1933, lo stesso anno di Hitler al potere, ci sarà un rapporto no? O Jacques Illul, l'inventore della pubblicità e del terrorismo, la seconda vittoria di Hitler.
"E' possibile produrre un concetto sull'Africa". "La tribù dei Chirikawahs chiamava il mondo la foresta". E Godard ci mostra, come un Nando Cicero, la foresta di una donna. Lo sapevamo. E Claude Monet, e Marcel Duchamp. Per fortuna c'è Roxy, il cane di Godard, che ci ama più di quanto ami se stesso. L'ultima inquadratura è per lui. C'è una storia, pure, ovvio. La crisi di una coppia sposata, diciama, vista attraverso gli occhi di un cane, Roxy. Con il 3D che insegue i loro dialoghi, si sdoppia in maniera assurda e si torna indietro, come in un cartoon di Tex Avery.
Ecco, alla fine non ci resta, come sempre, che il cinema, la possibilità di scrivere, di inventarsi un linguaggio montando e rimontando le stesse immagine e le stesse citazioni di sempre. Magari addio anche a quello. Nessuno oserebbe montare come Godard, interrompere brutalmente un suono e ripartire, nessuno però compone come lui. Tutto girato a casa sua. Ovviamente. In sala dal 20 novembre. In 3 D. Imperdibile.
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