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Marco Giusti per Dagospia
Via dalla pazza folla di Thomas Vinterberg
“E’ difficile esprimere i mei sentimenti in una lingua inventata dai maschi”, dichiara fiera Bathsheba Everdene, eroina fine ’800 di uno dei primi capolavori di Thomas Hardy, Via dalla pazza folla, che ritroviamo in gran forma in questa omonima versione diretta dal Thomas Vinterberg di Festen e La caccia, e interpretata dalla stupenda Carey Mulligan. E’ attorno a lei che ruotano le vite di tre maschi più o meno pazzamente innamorati, il pastore di pecore Gabriel Oak, l’ormai gettonatissimo Matthias Schoenarts, il ricco proprietario William Boldwood, cioè Michael Sheen, e il bel sergente Francis Troy, cioè Tom Sturridge, abile con la spada e con le femmine.
Vi dico subito che non è facile scordare il vecchio Via dalla pazza folla diretto da John Schlesinger nel 1967, scritto da Frederick Raphael, fotografato in un incredibile 70mm da Nicolas Roeg e che vantava attori come Julie Christie, una miss Everden fresca della Lara di Zivago, un Terence Stamp bellissimo nel ruolo di Troy, un Peter Finch perfetto come Boldwood e un Alan Bates solido come Gabriel Oak. E non mi scordava la grandiosa scena di quando Terence Stamp si spoglia nudo della divisa rossa da dragone e si butta nel mare d’inverno inglese.
Talmente forte che Vinterberg si deve inventare una messa in scena totalmente diversa, con riprese del mare dall’alto. Ma anche il copione che ha scritto David Nicholls, l’autore di One Day, già messo alla prova su Thomas Hardy con una versione televisiva di Tess d’Urbeville, è di gran pregio, la regia di Vinterberg, in un film chiaramente su commissione, è intelligente elegante e scioglie i nodi melodrammatici più pericolosi del romanzo con belle costruzioni di montaggio e di costruzioni visive che, solo lì, rimandano a Festen e al cinema dogmatico (ricordate?).
E va detto subito che la sua eroina, Carey Mulligan, oltre a cantare in maniera incantevole, riesce a passare da un sentimento all’altro, dalla forza da pre-femminista alla debolezza romantica dell’innamorata in pochi attimi. Non ha la bellezza di Julie Christie, davvero capace di far perdere la testa a tre uomini di classi sociali diverse nell’Inghilterra vittoriana, ma tutto il film è pazzo di lei e della sua incantevole classe. Ci casca il pastore di pecore Gabriel Oak, che diventa qui un personaggio più forte dell’Alan Bates del film di Scjlesinger, forse perché Matthias Schoenarts è più bello o forse perché non deve competere con Terence Stamp.
Ecco, Tom Sturridge, che è costruito visivamente come un giovane Terence Stamp, non può competere con lui come fascino malsano della divisa né possiede, come Stamp, quella sorta di decadenza romantica dell’aristocratico perduto che trascinerà in basso due donne, la bella Fanny, qui Juno temple, e poi miss Everden. Neanche Michael Sheen, nei panni del ricco e più vecchio Boldwood, ha il fascino di Peter Finch, e la sua forza recitativa.
Così Vinterberg punta tutto sulla storia romantica fra Carey Mulligan e il buon pastore Matthias Schoenarts, il più bono dei tre, e l’unico non inglese, ma ormai specializzato in ruoli simili, come ha dimostrato il recente A Bigger Splash. Schoenarts non è un grande attore, ma ha un fisico notevole e col cappello diventa un perfetto eroe romantico.
Il Via dalla pazza folla di Vinterberg, insomma, si vede con grande piacere, ha una bellissima fotografia di Charlotte Bruus Christenses, che non è però quella lucidissima del 70mm di Nicolas Roeg, ma è un adattamento fedele e sentito di un capolavoro della letteratura inglese che Thomas Hardy scrisse a soli 37 anni nel 1874. Certo, andrebbe riletto. Comunque si piange. In sala da giovedi 17.
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