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Marco Giusti per Dagospia
Salvo di nome e di fatto. Se non ci fosse stato il premio alla Semaine de la Critique del Festival di Cannes non solo forse non avremmo mai visto nelle nostre sale "Salvo", il bel noir siciliano di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, prodotto da Massimo Cristaldi e Fabrizio Mosca, che esce adesso in quaranta copie con la distribuzione della Good Film, ma tutti i costi del film sarebbero rimasti sul groppone dei produttori e di tutti quelli che ci hanno collaborato, seguendolo e curandolo per cinque anni più che convinti dell'operazione.
In pratica il film, che avrebbe anche potuto essere presentato a Venezia il prossimo settembre, visto che e' un buon film e era molto piaciuto anche ai selezionatori della Biennale Cinema, ha giocato la carta Cannes perche' solo in questo modo, con una forte esposizione e una vittoria, avrebbe potuto puntare a una vendita all'estero, che ha avuto, e a una distribuzione italiana, fino a li' rifiutata, in modo da ripagarsi dei costi.
Che non saranno stati enormi, ma che erano ancora aperti fino a qualche mese fa. Ora, "Salvo" e' un'ottima opera prima, una favola di mafia dove si incontrano in una strana storia d'amore un killer, Saleh Bakri che interpreta Salvo, e la sorella cieca, Sara Serraiocco, di un mafioso che Salvo stesso ha ucciso sotto i suoi occhi che non vedono. Vanta una bella fotografia di Daniele Cipri' e una bella scenografia di Marco Demtici.
Ma e' anche un buon film da festival internazionale, girato cioe' con un linguaggio che i critici di tutto il mondo sentono come adeguato e moderno per il racconto. Sembra cioe' uno di questi nuovi film messicani e cileni dove si alternano scene di violenza e d'azione molto crude e messa in scena ragionata e complessa che ne fanno qualcosa di diverso, diciamo, dalla fiction di mafia che vediamo in tv o da certe opere prime dei figli di papa' annoiati che vogliono tanto fare il cinema.
Film come "Salvo" o, se vogliamo, "L'intervallo" di Di Costanzo, che ha la stessa matrice culturale e la stessa profondita' di analisi sociale, che partono cioè da una ricerca sul campo e elaborano un loro linguaggio cinematografico, potrebbero offrire una strada nuova e meno ovvia al nostro cinema, se davvero volesse riconquistarsi una credibilita' internazionale. In fondo erano nove anni che alla Semaine non si vedeva un film italiano.
Ma il sistema produttivo italiano, legato alle forti distribuzioni del monopolio Rai-Mediaset e alle sovvenzioni statali sostanziose, non ha certo premiato questi film, seguitando invece a puntare su prodotti più facili e, sulla carta, vendibili.
Ora, anche se i paragoni con altre opere prime e' dolorosa e ingiusta, ma naturale, e si va da "Nina" della Fuksas a "Amiche del cuore" della Farina a "Razza bastarda" di Gassman, non si tratta solo di fare gossip sul perche' si punti su un film piuttosto che su un altro a partire dal progetto e dal nome del regista esordiente, o di dire se questo e' bello e questo no, si tratta soprattutto di prendere coscienza su che tipo di film si intendano produrre o sovvenzionare per fare crescere il nostro cinema internazionalmente.
Vogliamo puntare sul genere, sulla commedia, sul film d'autore, sul noir? Puo' andare bene tutto. Basta che poi questi film, non singolarmente, ma come cinema italiano, producano premi all'estero, attenzione o incassi. Che abbiano almeno un pubblico. Potremmo anche dire che producano ricerca e cultura, ma non andiamo troppo in la'. Certo se un film come "Salvo" ha dovuto imporsi a Cannes per trovare spazio a casa e rifarsi dei soldi spesi, mentre altre opere prime vengono coccolate come capolavori non capiti, la dice lunga sul nostro sistema produttivo.
SALVO salvo sara serraiocco Saleh Bakri Salvo film cannes salvo antonio piazza salvo grassadonia salvo film cannes by fabio grassadonia and antonio piazza
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