IL CINEMA DEI GIUSTI - DOPO HITCHCOCK E WENDERS, TOCCA ALL’IRANIANO HOSSEIN AMINI GIRARE UN FILM TRATTO DA UN GRAN GIALLO DI PATRICIA HIGHSMITH: “I DUE VOLTI DI GENNAIO”

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Marco Giusti per Dagospia

 

I due volti di gennaio di Hossein Amini.

 

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Quanto ci mancano i grandi gialli di Patricia Highsmith che registi di talento hanno portato al cinema? Pensiamo solo a “Delitto per delitto” di Alfred Hitchcock, a “Delitto in pieno sole” di René Clement, a “L’amico americano” di Wim Wenders, anche a “Il talento di Mr Ripley” di Anthony Minghella. E intanto Todd Haynes sta girando “Carol” con Rooney Mara. Glamour, ambiguità non solo sessuale, cinismo, complicità nel delitto, furto di identità. I temi li conosciamo a memoria.

 

Ovvio, però, che quando un regista, anche esordiente come l’iraniano cresciuto a Londra Hossein Amini, già sceneggiatore di successo (“Drive”, “Jude”, “47 Ronin”), decide di portare al cinema un romanzo della Highsmith si senta in qualche modo schiacciato dal peso del suo nome e da storie e personaggi che non puoi stravolgere più di tanto.

 

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Il maggior problema di questo ben costruito, più che interessante e benissimo recitato “I due volti di gennaio”, reduce dal Festival di Berlino, che Hossein Amini ha diretto fra Atene, Creta e Istanbul inseguendo un romanzo meno noto, e portato al cinema solo una volta nel 1986 in Germania, ci sembra appunto la fedeltà al mondo della Highsmith e al tipo di cinema e personaggi che da Hithcock a Minghella si sono strutturati negli anni.

 

Al punto, forse, che il più intrappolato nel triangolo infernale della scrittrice, diventi spesso il regista, che non può liberarsi dal peso di una storia così forte. Al tempo stesso, però, è proprio la storia e i suoi personaggi così definitivi a far funzionare alla perfezione il meccanismo giallo del film.

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Siamo nel 1962 a Atene, dove un giovane americano, Rydal, interpretato dall’Oscar Isaac di “Inside Llewyn Davis” in versione sbarbata, si arrabbata tra l’attività di guida turistica per americani e piccole truffe a ricche giovani universitarie. Si imbatte così in una coppia apparentemente ricca e senza pensieri di americani, Chester MacFarland e sua moglie Colette, cioè Viggo Mortensen e Kirsten Dunst.

 

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Un po’ cerca di alleggerirli di qualche centinaio di dollari portandoli a spasso per la città, un po’ rimane incantato dal fascino di Colette e dalla figura paterna di Chester. Ma i MacFarland non sono affatto due americani in vacanza, sono una coppia criminale in fuga per una megatruffa finanziaria che il buon Chester ha fatto in patria e sono ora inseguiti da detective privati e polizia. Come se non bastasse Chester si mette davvero nei guai nel suo albergo a Atene e chiede aiuto a Rydal, incastrandolo con il suo interesse per Colette, per trovar loro una via di fuga.

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Rydal organizza per loro un viaggio a Creta in attesa di nuovi passaporti e una nuova identità. Ma le cose non saranno così semplici per il terzetto in fuga. Ovviamente, come nei maggiori romanzi della Highsmith, non siamo di fronte a un semplice triangolo sentimentale, c’è una passione fra Rydal e Colette, ma anche fra i due maschi, che rappresentano appunto, come da titolo, i due volti di Giano, cioè il passato e il futuro quasi della stessa personalità.

 

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Con tutta la carica di ambiguità che questo comporta. Prepariamoci al peggio, quindi. Storia meravigliosa, sceneggiatura ottima, set perfetti, attori bravissimi, anche se, forse, solo Viggo Mortensen ha quella carica sessuale, di eleganza e di meschineria, giusti per il personaggio, mentre Kirsten Dunst e Oscar Isaac, ottimi attori, non hanno forse il glam necessario per scatenare l’inferno di sentimenti. Certo, difficile trovare un altro Jude Law o un altro Matt Damon o un Robert Walker. Detto questo e detto che si sente parecchio il peso del romanzo, il film, molto old style, si vede con grandissimo piacere. Già in sala.