1. LA COCAINA VA PER BENE PER I VECCHI! IL FENOMENO ‘’ADDERALL’’ HA CONQUISTATO LE MENTI DELLE ULTIME GENERAZIONI CHE MIRANO A DIVENTARE PIÙ EFFICIENTI, LUCIDI, CREATIVI 2. È SOLO DOPING CEREBRALE? NEGLI STATI UNITI UN GRUPPO DI SCIENZIATI HA LANCIATO UN APPELLO PRO ‘’SMART DRUG’’ E GIÀ SI PARLA DI “NEUROLOGIA ESTETICA” 3. L’ADDERALL E IL RITALIN, UN ALTRO FARMACO, HANNO COMINCIATO A ESSERE UTILIZZATI COME “SMART DRUGS” O NOOTROPICI, IN PRATICA STIMOLANTI COGNITIVI: FARMACI CHE GENTE IPEREFFICIENTE E SOVRACCARICA DI IMPEGNI TRANGUGIA PER DIVENTARE ANCOR PIÙ EFFICIENTE E SOVRACCARICARSI DI ULTERIORI IMPEGNI

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Margaret Talbot per http://mag.wired.it/rivista/storie/con-un-poco-di-pillole-il-cervello-va-su.html?page=13#content

Un giovanotto (lo chiamerò Alex) si è laureato da poco a Harvard. Ai tempi in cui studiava storia, Alex scriveva una dozzina di saggi al semestre. Dirigeva anche un'organizzazione studentesca, per la quale spesso lavorava oltre quaranta ore alla settimana; quando non era in servizio, era a lezione. Le notti dal lunedì al venerdì erano dedicate ai compiti che non era riuscito a finire durante il giorno, e quelle del fine settimana alle bevute con gli amici e ai party. Poiché questa vita in realtà era impossibile, per renderla possibile Alex cominciò a prendere l'Adderall.

L'Adderall, un composto di sali di anfetamina, negli Stati Uniti viene comunemente prescritto a bambini e adulti con diagnosi di Adhd, la sindrome da deficit di attenzione e iperattività. Ma in tempi recenti l'Adderall e il Ritalin, un altro farmaco, hanno cominciato a essere utilizzati come "smart drugs" o nootropici, in pratica stimolanti cognitivi: farmaci che gente iperefficiente e sovraccarica di impegni trangugia per diventare ancor più efficiente e sovraccaricarsi di ulteriori impegni (un uso del genere non è citato sul bugiardino, e non ha l'approvazione del produttore né della Food and Drug Administration).

I campus universitari sono diventati laboratori per la sperimentazione nootropica, e Alex era uno sperimentatore geniale. A suo fratello era stata diagnosticata l'Adhd e nell'anno da matricola Alex era riuscito a farsi prescrivere l'Adderall, descrivendo a un medico i sintomi della sindrome. All'università Alex prendeva 15 milligrammi di Adderall quasi tutte le sere, per mantenere desta l'attenzione ed evitare di dormire «per le otto- dieci ore successive». Il secondo anno era riuscito a convincere il medico ad aggiungere alla sua dieta giornaliera una capsula da 30 milligrammi a lento rilascio.

Alex l'ho incontrato una sera della scorsa estate, in un bar piacevolmente fatiscente della città del New England in cui vive. Era contento di poter raccontare del suo legame con l'Adderall negli anni di Harvard, ma non voleva vedersi pubblicato con nome e cognome; si occupa di una start-up internet, e temeva che i potenziali investitori disapprovassero le sue abitudini.

Era ansioso di sfatare il pregiudizio secondo il quale gli studenti che assumono l'Adderall sono «robot accademici che lo ingoiano per diventare i primi della classe, o per essere certi di essere presi a giurisprudenza, o assunti da una società di consulenza». A Harvard, dice, «la maggior parte della gente è realista... Non credo che chi prende l'Adderall punti a diventare il migliore della classe. Credo che punti a essere tra i migliori. O forse neppure tra i migliori. C'è gente che semplicemente vuol far meglio di come farebbe senza Adderall. Lo capiscono tutti che se per scrivere un saggio hai tirato le tre del mattino, il risultato finale non sarà ottimale.

Hai gozzovigliato tutto il fine settimana o passato l'ultima settimana in preda allo sballo, a guardare Lost? Beh, ci sarà un prezzo da pagare».

Le teorie di Alex sull'uso degli stimolanti a scopi "non medici" sono confermate da una ventina di studi scientifici. Nel 2005, un gruppo di ricercatori guidato da Sean Esteban McCabe, professore del Substance Abuse Research Center dell'università del Michigan, ha scoperto che l'anno precedente il 4,1 per cento degli studenti universitari americani aveva assunto a scopo non terapeutico stimolanti venduti con ricetta medica; in uno dei college, la percentuale raggiungeva il 25 per cento.

Altri ricercatori hanno trovato percentuali ancora più alte: uno studio condotto nel 2002 in un piccolo college scoprì che oltre il 35 per cento degli studenti aveva assunto stimolanti nel corso dell'anno precedente. Farmaci come l'Adderall possono provocare agitazione, mal di testa, insonnia, inappetenza e altri effetti collaterali.

Sull'etichetta dell'Adderall, la Fda avverte che «le anfetamine sono ad alto rischio di abuso» e possono indurre dipendenza (in Italia le anfetamine sono proibite, ndr). Eppure gli studenti tendono a considerare innocui l'Adderall e il Ritalin: molti di loro, d'altra parte, conoscono coetanei che hanno preso questi farmaci fin dall'infanzia, per via dell'Adhd. McCabe scrive che la maggior parte degli studenti che usano stimolanti per migliorare le prestazioni intellettuali se li procurano tramite un conoscente in possesso di ricetta. Di solito le pillole si regalano, ma alcuni studenti le vendono.

Le ricerche del gruppo di McCabe individuano negli studenti bianchi e maschi di scuole molto competitive i consumatori più frequenti di nootropici. Alla domanda: «Avete fumato marijuana nel corso dell'anno passato?», rispondono di sì in percentuale dieci volte superiore a quella dei coetanei e in percentuale venti volte superiore rispondono di sì alla domanda sull'uso di cocaina. In altre parole, sono alunni dignitosi in scuole che richiederebbero, per diventare alunni eccellenti, l'abbandono di feste e festicciole in una misura secondo loro eccessiva.

Alex resta un entusiasta dell'Adderall, pur con senso critico. «Funziona come stimolatore cognitivo quando ti dedichi a un compito impellente», dice. «Non sa quante volte ho preso l'Adderall a tarda sera e poi ho finito per mettere in ordine la mia libreria musicale, invece di scrivere! E ho visto gente che puliva ossessivamente la stanza». Alex pensa che in generale il farmaco lo abbia aiutato a sopportare la fatica, ma che tenda a generare lavori con un difetto caratteristico: «Spesso mi è capitato di rileggere saggi scritti sotto l'effetto dell'Adderall e di trovarli verbosi. Si dilungano su alcuni punti, cercando argomentazioni a prova di bomba, quando risulterebbero più efficaci se andassero dritti al nocciolo». Ma in ogni caso, i suoi saggi carburati ad Adderall di solito gli fruttavano un buon voto.

Per dirla con Alex, «la produttività è una bella cosa».

Lo scorso aprile, la rivista scientifica Nature ha pubblicato i risultati di un sondaggio online informale, in cui si chiedeva ai lettori se avessero tentato di acuire «attenzione, concentrazione o memoria» facendo ricorso a farmaci come il Ritalin o il Provigil, un nuovo tipo di stimolante conosciuto con il nome generico di modafinil, sviluppato per combattere la narcolessia.

Ha risposto affermativamente un lettore su cinque. La maggioranza, tra i 1400 che hanno partecipato al sondaggio, ha dichiarato che a un adulto sano dovrebbe essere permesso di prendere stimolatori cerebrali anche a scopi non terapeutici, e il 69 per cento considera come un rischio accettabile eventuali effetti collaterali (modesti). E anche se la maggioranza ha detto che questo tipo di farmaci non dovrebbe finire in mano a ragazzi cui non sia stato diagnosticato un disturbo, un terzo dei lettori ha ammesso che si sentirebbe spinto a dare le smart drugs ai figli, se venisse a sapere che gli altri genitori lo fanno.

Queste ansie da competizione si avvertono già sui luoghi di lavoro. Recentemente, in una rubrica di Wired Us è stato pubblicato il messaggio di un lettore, preoccupato perché c'è «un astro nascente nella mia azienda: lui usa il modafinil per lavorare con orari folli. E il capo ha cominciato a darmi il tormento perché non sono altrettanto produttivo».

Tempo fa ho intervistato Anjan Chatterjee, neurologo dell'università della Pennsylvania. Negli ultimi anni Chatterjee, dopo aver saputo del consumo di stimolatori cognitivi da parte degli studenti, ha cominciato a occuparsi delle implicazioni etiche di un simile comportamento. Nel 2004 ha coniato il termine "neurologia estetica", per descrivere l'utilizzo di farmaci - studiati per guarire sindromi riconosciute - al fine di incrementare una cognitività normale. Chatterjee è preoccupato per questa neurologia estetica, ma pensa che alla fine verrà tollerata, come è tollerata la chirurgia estetica; e in realtà non si può neanche dire che la neurostimolazione abbia motivazioni frivole. Come nota in un saggio del 2007, «in molti settori della società il vincitore sbanca tutto e piccoli vantaggi sono ricompensati in modo sproporzionato».

Nello studio e nel lavoro è d'altronde chiarissima l'utilità di essere svegli, di aver bisogno soltanto di poche ore di sonno e di apprendere più alla svelta. In un prossimo futuro, prevede Anjan Chatterjee, alcuni neurologi si ricicleranno come «consulenti per la qualità della vita» e il loro ruolo diventerà quello di fornire informazioni, «delegando al paziente la responsabilità finale della scelta».

La richiesta non manca certamente: da parte di una popolazione che invecchia e non sopporta di perdere la memoria; di genitori ansiosi e decisi a stimolare i figli, con qualunque metodo; di impiegati stressati da una cultura ossessivamente efficientista, fatta di BlackBerry e di orari di lavoro che in realtà non finiscono mai.

Al momento chi ha bisogno di questo genere di soluzione rapida non ha una gran scelta. Ma poiché si sta investendo una gran quantità di denaro e di ore di ricerca nello sviluppo di farmaci destinati alla cura del declino cognitivo, è probabile che Provigil e Adderall verranno affiancati da una farmacopea più ampia. Tra i farmaci in arrivo ci sono le ampachine, che interagiscono con un certo tipo di recettori cerebrali del glutammato; si spera che siano in grado di contrastare la perdita di memoria associata a malattie come l'Alzheimer.

Le ampachine sono in grado di dare una bella spinta cognitiva anche a soggetti sani. Uno studio condotto nel 2007 su 16 volontari, anziani ma in salute, ha dimostrato in modo "inequivocabile" che 500 mg di una certa ampachina miglioravano la memoria recente, anche se pareva che ciò andasse a scapito della memoria dei fatti passati. Un'altra classe di farmaci, gli inibitori della colinesterasi, già utilizzati con qualche risultato nella cura dell'Alzheimer, sembra promettere bene nel campo neurostimolatorio. In uno studio, il donepezil ha incrementato le prestazioni dei piloti al simulatore di volo; in un altro ha migliorato la memoria remota, verbale e visiva, di trenta giovani volontari, maschi e sani. Molte case farmaceutiche stanno studiando farmaci che vanno a colpire i recettori cerebrali della nicotina, sperando di replicare la botta di eccitazione che i fumatori provano accendendo la sigaretta.

Zack e Casey Lynch sono la giovane coppia che nel 2005 ha fondato NeuroInsights, un'azienda che informa gli investitori sugli sviluppi della tecnologia nelle neuroscienze. Casey e Zack si sono conosciuti all'università; lei ha poi preso un master in neuroscienze alla University of California a San Francisco, e lui è diventato dirigente di un'azienda di software.

La scorsa estate ho bevuto un caffè insieme a loro a San Francisco ed entrambi mi hanno parlato con disinvolta sicurezza del nascente mercato dei neurostimolatori. Zack - sta per uscire un suo libro, intitolato The Neuro Revolution - mi ha detto: «Viviamo nella società dell'informazione. Qual è la prossima forma di società umana? La neuro-società». Negli anni a venire, spiega, gli scienziati comprenderanno meglio il funzionamento del cervello e avremo un miglioramento dei neurostimolatori; alcune persone li utilizzeranno come terapia, altre perché «ne hanno un bisogno borderline» e altre semplicemente per avvantaggiarsi nella competizione.

Zack dice che il termine "accrescimento" non gli piace: «Non parliamo di un'intelligenza sovrumana. Nessuno sta affermando che salterà fuori una pillola che ci renderà più intelligenti di Einstein!... Stiamo parlando, in realtà, di far funzionare la gente». Mi ha disegnato una curva a campana sul retro di un tovagliolo: «Quasi tutti i farmaci in fase di studio sono molecole che permetteranno a chi sta lavorando al quaranta o cinquanta per cento di arrivare all'ottanta».

I nuovi farmaci psichiatrici hanno un modo tutto loro di crearsi un mercato. Il Ritalin e l'Adderall hanno fatto dell'Adhd un nome familiare e le pubblicità degli antidepressivi hanno contribuito a qualificare la timidezza come una malattia. Se c'è una pillola in grado di rimettere a fuoco l'attenzione ondivaga di un ragazzo che non dorme abbastanza, o alleviare il problema del ce-l'ho-sulla-punta- della-lingua nella mezza età, allora questi stati, piuttosto comuni, possono arrivare a essere visti come sindromi. Per dirla con Casey: «I farmaci progrediscono, e i mercati si ingrandiscono».

Zack conferma: «Lo chiamiamo il mercato del miglioramento dello stile di vita». I Lynch sostengono che il Provigil sia stato un classico esempio di missione che va oltre gli scopi stabiliti. Nel 1998 la Cephalon, l'azienda che lo produce, ricevette l'autorizzazione governativa a immetterlo sul mercato, ma solo per la cura della sonnolenza diurna provocata da narcolessia; nel 2004 ottenne il permesso di estendere le indicazioni, includendo l'apnea da sonno e l'insonnia dei turnisti.

Le vendite nette del Provigil sono balzate da 196 milioni di dollari del 2002 a 988 milioni nel 2008. I manager Cephalon hanno affermato più volte di non approvare l'uso non ufficiale del Provigil, ma nel 2002 l'azienda è stata sanzionata dalla Food and Drug Administration per aver distribuito materiale propagandistico che presentava il farmaco come un rimedio per la stanchezza, "il calo di efficienza" e altri mali presunti. E nel 2008 Cephalon, dopo essere stata incriminata per aver promosso un uso improprio del Provigil e di altri due farmaci, si è riconosciuta colpevole e ha pagato 425 milioni di dollari. Quest'anno Cephalon conta di lanciare il Nuvigil, variante a lento rilascio del Provigil.


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Non siamo in presenza di uno dei tanti scenari ipotetici che angustiano gli esperti di bioetica, cloni umani, bebè fabbricati a richiesta: il potenziamento cognitivo è già una realtà in pieno boom. Anche se le "droghe furbe" di oggi non sono potenti come potrebbero esserlo in futuro, bisogna porsi un bel po' di domande. Quanto sono utili, in realtà? Sono potenzialmente dannose, rischiano di dare dipendenza? E poi c'è da chiedersi cosa intendiamo con "furbe". La crescita di un tipo di funzionamento cerebrale non potrebbe andare a detrimento degli altri? Tutte queste domande necessitano di risposte scientifiche precise, ma per ora gran parte della discussione avviene tutta di nascosto, tra gli americani che in numero sempre crescente conducono ogni giorno esperimenti sui propri cervelli.

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