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Giuseppe Pollicelli per “Libero Quotidiano”
Se il vinile ha contribuito in modo determinante a diffondere le canzoni di Fabrizio De André e a decretarne l' enorme successo, la recente rinascita di questo supporto può adesso produrre il paradossale effetto di incrinare almeno in parte il mito del grande Faber.
L' editore Sprea, infatti, ha appena mandato nelle edicole - per la cura di tre esperti musicofili come Maurizio Becker, Francesco Coniglio e Michele Neri - un bellissimo bimestrale, intitolato proprio Vinile, il cui primo numero ha come piatto forte un documentato e inattaccabile dossier nel quale vengono passati in rassegna, per filo e per segno, gli innumerevoli plagi, musicali e testuali, compiuti da De André nell' arco della sua carriera.
Se è risaputo che tutti gli album di Fabrizio hanno goduto del fondamentale apporto di alcuni fra i migliori compositori italiani, da Gian Piero Reverberi a Nicola Piovani, da Massimo Bubola a Mauro Pagani, e se è noto che la musica di uno dei più bei brani di De André, La canzone dell' amore perduto, è ripresa pari pari da un adagio del tedesco Georg Philipp Telemann, fra i massimi esponenti della musica barocca, senz' altro assai meno conosciuti (o del tutto ignoti) sono altri «debiti» rintracciabili nel repertorio del cantautore genovese.
A elencarli (e per ogni verifica si può comodamente fare ricorso a YouTube) è l' autore del servizio pubblicato da Vinile, Alessio Lega. Si comincia con la celeberrima canzone La città vecchia, lato A di un 45 giri uscito nel 1965, la cui musica è «un ricalco tanto evidente quanto non dichiarato di Le bistrot del maestro (dichiaratissimo) Georges Brassens».
Riguardo alla non meno famosa Fiume Sand Creek, Vinile informa che «il movimento ritmico e tanti eventi melodici sono presi di peso da Summer '68, un brano del 1970 dei Pink Floyd».
Passando alle liriche, alcuni degli immortali versi de La guerra di Piero, esattamente «Lungo le sponde del mio torrente / voglio che scendano i lucci argentati / non più i cadaveri dei soldati / portati in braccio dalla corrente» citano indiscutibilmente Dove vola l' avvoltoio, canzone pacifista del 1958 composta da Italo Calvino e Sergio Liberovici: «Per la limpida corrente / scendon solo carpe e trote / non più i corpi dei soldati / che la fanno insanguinar».
Ancora, le parole di Valzer per un amore, le cui note coincidono (e almeno questo De André lo ha sempre ammesso) con quelle del Valzer campestre di Gino Marinuzzi, sono un «pedissequo ricalco del brano più scolasticamente noto di Perre de Ronsard, Quand vous serez bien vieille». Andiamo avanti.
Fila la lana è la traduzione ritmica di un brano dell' attore e regista Robert Marcy risalente alla fine degli anni Quaranta, mentre la melodia di Via del Campo è la medesima de La mia morosa la va alla fonte di Enzo Jannacci, il quale si acquietò con il tempo ma, decenni fa, dichiarò durante un' intervista radiofonica di essere «in causa con il noto cantautore Fabrizio De André».
CLELIA PETRACCHI E FABRIZIO DE ANDRE
Ci sono poi Geordie, in origine una ballata popolare inglese tratta dal repertorio di Joan Baez, e il testo della Ballata del Miché, che Fabrizio sosteneva di aver scritto «per salvarsi la vita» ma che è farina del sacco di Clelia Petracchi.
A chi fosse curioso di leggere la lista completa di queste «appropriazioni indebite» non resta che acquistare Vinile, con l' avvertenza che, in un box, si assesta un ulteriore colpo alla leggenda di Faber rammentando come l' implacabile contestatore dell' istituzione familiare avesse debuttato grazie al diretto interessamento del facoltoso papà Giuseppe, che nel 1961 fondò a sue spese la casa discografica Karim proprio per consentire l' esordio del talentoso figlio. Se si appartiene alla schiera dei veneratori di Fabrizio, insomma, è bene prepararsi a qualche brusco contraccolpo.
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