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Estratto dell'articolo di Michele Serra per “la Repubblica”
«Con lui non ci si annoiava mai». Essendo impossibile il resoconto, anche sommario, delle mille vicende editoriali, culturali e artistiche che lo hanno visto protagonista, valga come epitaffio di Achille Mauri - morto in Argentina a 83 anni al termine di una vita lunga almeno il doppio per quantità e qualità - questa breve frase del nipote Stefano.
Ultimo dei cinque figli di Umberto Mauri e Maria Luisa Bompiani, Achille è stato l'esponente più irrequieto e avventuroso di una delle più importanti dinastie culturali italiane, nelle cui disponibilità fanno spicco la grande distribuzione libraria di Messaggerie Italiane e uno stuolo di case editrici (quasi venti, dalle grandi alle piccole), cognomi illustri e molto milanesi intrecciati in un impareggiabile viluppo parentale e imprenditoriale, Mauri-Bompiani-Spagnol- Ottieri-Zanuso, sperando di non avere dimenticato nessuno.
In un'intervista di pochi anni fa su Robinson , Antonio Gnoli lo definì «la pecora smarrita e ritrovata, la deviazione dall'algoritmo ». Ma a leggere le sue note biografiche il rischio di smarrirci è solo nostro. Dall'editoria al cinema, dalla scrittura alla produzione televisiva, dai documentari alle arti visive, non c'è esperimento che Achille Mauri abbia voluto trascurare, come se nessun aspetto della seconda metà del Novecento fosse inutile o immeritevole, dalla neoavanguardia letteraria del Gruppo 63 (fu molto legato ad Angelo Guglielmi e Nanni Balestrini) al Festival rock del Parco Lambro (fu tra gli organizzatori), dall'introduzione del chroma key nel varietà televisivo ai primi audiolibri, dai documentari sull'Africa (fu un grande viaggiatore) alla strenua valorizzazione dell'opera del fratello Fabio Mauri, uno dei grandi protagonisti dell'avanguardia italiana. Come se la cultura fosse una sola, nonché la sola cosa per la quale valesse la pena vivere, e battersi. Dovunque fosse necessario inseguirla.
(...)
In piena crisi dell'editoria, una decina di anni fa, al seminario veneziano della Scuola Librai Umberto ed Elisabetta Mauri, della quale Achille era presidente, Umberto Eco prese la parola per dire che il colpo d'occhio era molto rinfrancante. Difficile parlare di crisi in quei luoghi (la Fondazione Cini, l'isola di San Giorgio) e godendo di un'ospitalità così sontuosa. Gli dissero altri della famiglia Mauri, dopo il suo intervento: tu non conosci Achille, la sua ospitalità sarebbe identica anche se fossimo sull'orlo della bancarotta Niente a che vedere, insomma, con la giudiziosa conta che tocca fare ai manager, o con il calcolo che fa da guida a qualunque scelta. Achille Mauri è stato uno degli ultimi editori/artisti, o imprenditori/intellettuali, del paesaggio culturale italiano.
«Achille non ha mai detto di no a nessuno», ricorda chi lo conobbe bene, «anche quando non c'erano le condizioni materiali per dire di sì». Straordinario per accoglienza, generosità, apertura mentale, aveva un ottimismo di fondo irriducibile, quasi un'ingenuità, ed è questa la sua sola attitudine che lo rendeva meno contemporaneo, essendo i tempi pesantemente segnati dal pessimismo.
Andava molto d'accordo con un'altra grande milanese d'adozione, Inge Feltrinelli, teoricamente sua "concorrente", nella vita sua amica e sodale, con la quale condivideva la passione per la mondanità e per l'incontro, l'energia vitale, l'idea (folle?) che cultura e bellezza avrebbero comunque avuto la meglio su qualunque congiuntura, e sorpassato qualunque sprofondo. Mancherà molto, a chi lo ha conosciuto, questa sua fondamentale, irresistibile ingenuità novecentesca, nata in un secolo nel quale tutto era considerato possibile.
Achille Mauri ha scritto (per Bollati Boringhieri) due libri: Anime e acciughe e Il paradosso di Achille. Leggerli, o rileggerli, sarà il modo migliore per accompagnarlo. Tutto, in lui, parlava di vita.
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