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Estratto dall'articolo di Selvaggia Lucarelli per ''il Fatto Quotidiano''
Il 30 settembre su Netflix andrà in onda un documentario sul processo Meredith Kercher realizzato da due registi americani, Brad McGinne Rod Balckhurst, in cui si narra la vicenda da un punto di vista inatteso e spiazzante, da una di quelle angolazioni che, considerata la cittadinanza dei registi, ti sorprendono dal primo fotogramma: Amanda Knox non andava incarcerata. Andava beatificata.
Del resto, il documentario inizia in una bella cucina americana in cui la studentessa di appena 20 anni che preparava le cartine per le canne ora è una trentenne borghese che prepara polpette per la famiglia. Ma attenzione perché i due sono parecchio bravi nel cambiare il registro e lasciano subito le polpette per passare al polpettone narrativo. (...)
“C’è chi dice che sono innocente e chi dice che sono colpevole. Se sono colpevole, sono la persona di cui devi avere paura, perché sono una psicopatica travestita da agnellino. Ma se sono innocente, sono te.” ci dice Amanda fissandoci con quegli occhi azzurri che stregarono il Sollecito dell’epoca coi suoi maglioncini pastello da bravo studente.
E già lì viene il dubbio che le sue, più che dichiarazioni di quelle che sgorgano dal cuore, siano dichiarazioni che sgorgano dalla penna dello sceneggiatore di Criminal Minds, ma ci sta. La guardi nella sua magliettina rosa pallido e il viso segnato dalle prime, precoci rughe e sei già fregato. “Forse l’avevo giudicata male” è la frase che durante tutta la visione del documentario ronza in testa a chi si è accomodato in sala col sopracciglio alzato da colpevolista incallito. Perché Amanda è brava. (...)
Riesce a creare empatia perfino quando dice delle stronzate incontrovertibili e provate. “Ho detto che avevo visto Lumumba uscire dalla casa perché in quel momento ho creduto di vedere quello.”. E se non fosse che con questa versione poco credibile pure se raccontata da un consumatore abituale di crack ha mandato in galera un innocente, si sarebbe perfino portati a crederle.
Del resto, le avevano creduto eccome. Lo racconta bene la parte del documentario in cui viene mostrata la famosa conferenza stampa in cui gli inquirenti perugini, dopo l’arresto del povero Lumumba, annunciano trionfalmente alla stampa la risoluzione del caso.
“Abbiamo dato risposte certe e subito!”, esultavano. Ecco, il punto di forza del documentario alla fine è solo questo: la ricostruzione di due corto circuiti. Quello mediatico e quello investigativo. Da una parte c’è chi fece le indagini irrompendo sulla scena del delitto con gli scarponi da sci e dall’altra c’è chi raccontò la storia fidandosi di qualsiasi boiata trapelasse dall’anticamera del dentista della zia del fratello minore del cugino di una che faceva le pulizie in procura.
E’ il caso di Nick Pisa, un giornalista che all’epoca scriveva per il “Daily mail” scelto sapientemente dai due registi come rappresentante della categoria “informazione” in quanto cialtrone reo confesso. Uno che dice “Agli inquirenti piaceva parlare con me, si sentivano internazionali, loro mi dicevano delle cose e io non potevo certo verificarle, altrimenti avrei dato vantaggio alla concorrenza!”.
Insomma, il patentino deontologico di Indro Montanelli. Peccato che nel racconto dei due registi non esistano cronache di giornalisti che non sembrino usciti da Boris. Ma non temete. Ad un certo punto i due attingono da fonti di livello: la ricostruzione animata dell’omicidio creata da un tg taiwanese. Roba che “Enrico Mentana scansati!.”. Poi c’è la figura del pm Giuliano Magnini, dipinto come mitomane (...)
RAFFAELE SOLLECITO E AMANDA KNOX
Il documentario, del resto, una cosa giusta la fa: se la ride del surreale iter giudiziario di questo processo. Peccato che lasci esprimere il concetto a Donald Trump. “Per ritorsione dobbiamo boicottare l’Italia” disse all’epoca. A saperlo prima per ritorsione avremmo smesso di esportare toupè in America. Di grande effetto anche la rosicata dell’avvocato di Guede: “Ci vogliono insegnare la legge? Quando a Perugia nasceva la prima Università gli americani disegnavano bisonti nelle caverne!”.
Infine c’è Sollecito. Sulla sua figura il documentario aggiunge solo un dato importante: parla meglio l’inglese dell’italiano. Per il resto, altro che orge e sesso violento. Raffaele il bamboccione aveva avuto solo una partner sessuale prima di Amanda e lei sei in tutto, per cui alla fine, secondo i due registi, fu tutto semplice e banale: una rapina finita male e Rudi Guede che uccise Meredith in concorso con la stampa e la giustizia italiana.
raffaele sollecito in cassazione
Uno scatto di Meredith
meredith kercher
MEREDITH KERCHER
delitto meredith
Patrick Lumumba
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