FLASH! - FERMI TUTTI: NON E' VERO CHE LA MELONA NON CONTA NIENTE AL PUNTO DI ESSERE RELEGATA…
Alessandra Vitali per “la Repubblica”
Attenzione, spoiler. L’avvertenza è d’obbligo, la fine è nota ma non a tutti, qui qualcosa si svela quindi leggete con cautela e fermatevi in tempo. Si è conclusa la seconda stagione di Gomorra – La serie, due puntate mozzafiato, colpo di scena finale. Ascolti record, un milione 200 mila persone davanti a Sky, + 66% rispetto alla prima stagione, la serie più vista di sempre sulla piattaforma, un ascolto medio di sei volte superiore a quello generato da Il trono di spade.
Social adrenalinici: 19 mila tweet, #Gomorra2 al quinto posto nella classifica dei TT mondiali, #DonPietro in quella dei TT italiani. Terza stagione da tempo confermata, in fase di scrittura. «Ha molto a che fare con quello che era l’opera lirica due secoli fa» commenta Marco D’Amore, “Ciro l’immortale” nella serie, «un racconto popolare amato da un pubblico trasversale che andava a teatro a rivedere più volte la stessa cosa, ripeteva le battute a memoria. Gomorra è il melodramma, il pubblico lo rivedrà, ricorderà le frasi di Genny, di Ciro, di Pietro. Sa come va a finire ma rivive le stesse emozioni».
marco d amore maria pia calzone
Nell’ultima puntata, Ciro perde ciò che di più caro gli è rimasto: la colpa del padre ricade sulla figlia bambina che per vendetta viene ammazzata da Malammore (i social di Fabio De Caro, l’attore che interpreta il luogotenente di don Pietro, sono pieni di insulti). Ciro è finito. “Adesso solo una cosa ti resta da fare” gli dice Genny e gli mette in mano una pistola. Lui, un colpo alla testa, lascia sull’asfalto don Pietro Savastano, al cimitero, davanti alla tomba della moglie donna Imma.
marco d amore maria pia calzone
“Epico” è l’aggettivo più ricorrente su Twitter per descrivere il finale. «Si parla di ineluttabilità del destino, c’è molto della tragedia greca. Ciro ha un obiettivo, per perseguirlo pagherà un conto salato, in questa vita o nell’altra. Essere “immortale” è una condanna, è morto dentro ma non riesce a liberarsi di un’esistenza che lo porta verso un abisso senza ritorno. Quello che gli è toccato va oltre ogni possibilità di sopportazione: prima la perdita della moglie, poi l’assassinio della figlia, ultimo barlume di umanità. È in un cono di buio senza fine».
“Gomorra” cambia la vita?
«Sicuro. È diventato virale, ci sono i gruppi d’ascolto, alcuni anche sottobanco quindi il numero di quelli che lo vedono è più alto delle cifre ufficiali. Io per tutti sono “Ciruzzo”, non mi dà fastidio, interpretarlo è una fortuna, un privilegio. Il modo migliore per ringraziare è continuare a fare il mio mestiere rispettando il pubblico. Considerare questo lavoro una cosa per pochi, alla quale si accede se hai talento, studi e puoi presentarti nel migliore dei modi».
Dopo l’estate sarà a teatro. Poi al cinema.
«Il 28 settembre debutto all’Eliseo di Roma con American Buffalo. Un’apologia del fallimento in un’epoca in cui l’obiettivo è arrivare, essere perfetti. Apre una voragine e ci fa cadere dentro lo spettatore e lo fa con il sound di Mamet, sporco, dei sobborghi. Ho provato la vertigine di fare il testo in napoletano.
Un ponte fra Chicago e New York per raccontare personaggi alla deriva che cercano di risalire la china. Fa il paio con la nostra società e con lo stato di salute del teatro in Italia: sta scomparendo ma produce bellezza, ogni anno se ne certifica la morte e ogni volta rinasce. A fine anno uscirà in sala Brutti e cattivi, opera prima di Cosimo Gomez, con Claudio Santamaria e Sara Serraiocco».
Se potesse decidere il destino di Ciro in “Gomorra 3”, cosa gli riserverebbe?
«Una profonda solitudine. Penserei a una deriva, a un ripensamento rispetto a ciò che ha fatto. Non ho idea se si possa parlare di pentimento, ma mi piacerebbe vederlo errabondo, a pensare a quello che ha fatto, in un altro luogo, da sconosciuto. Gli farei fare una scelta sorprendente. Chissà...».
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