DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Roberto D’Agostino per Dagospia
Ora che se n’è andato Roberto Calasso, editore in capo di Adelphi, posso raccontarlo. Questo Kundera avrà pure lanciato la sofisticatissima casa editrice meneghina nella classifica del best-sellerismo, salvandola da un bilancio in profondo rosso, però ha rovinato la mia vita. Per pochi giorni, fortunatamente, e poi è accaduto molti anni fa. Ma rovinata, veramente.
Arriva l’anno di grazia 1985 e dunque "Quelli della notte" e decido, garantito da Arbore, di "interpretare" l'intellettuale post-tutto e ante-niente, così in auge in quella prima metà degli anni Ottanta.
E sul piccolo schermo si appalesava allora, in precario equilibrio fra il demente e il demenziale, il sottoscritto in modalità "cazzaro" però ben consapevole che si era chiuso il ciclo "Settanta" della politicizzazione, del protagonismo collettivo e della ricerca della felicità sociale, secondo l'espressione coniata dal sociologo Albert Hirschmann, autore appunto del libro "Felicità privata e felicità pubblica" (che spiega come i pendolarismi della storia derivino dall'oscillazione dei gusti del pubblico fra questi due poli).
Da qui farfugliavo, notte dopo notte, di "look paninaro" e di "edonismo reaganiano" e farneticavo, trasmissione dopo trasmissione, quali erano i pensatori che stavano dietro al nuovo intellettuale, personaggi scelti con cura in base alla struttura del nome o dei titoli dei loro libri ("Il pensiero debole" per Gianni Vattimo, "L'estetica del brutto" per Karl Rosenkranz, "L'ideologia del traditore" per Achille Bonito Oliva).
Ecco, bastava mettere in fila indiana i titoli di cui sopra per ottenere il display del cambiamento, dell'ebbrezza del nuovo e del post-moderno? No: mancava "quel" titolo capace di racchiudere lo Spirito del Tempo, quegli anni "senza deposito", nè ideologico nè morale, che sono stati gli '8O.
Per caso e per fortuna, mi capitò sotto il naso il "Manifesto" e sotto gli occhi una critica letteraria del compianto Severino Cesari (formidabile editor dei “cannibali” dell'einaudiana Stile Libero). Cesari ruotava come le pale di un Moulinex impazzito su Milan Kundera.
Un ottimo ma sfigato scrittore mezzo-ceco mezzo-parigino che in Italia continuava a cambiar editore perché i suoi romanzi, lanciati dalla Mondadori su input del grande Oreste del Buono, non ottenevano nè attenzione dal pubblico né osanna dalla critica.
Ma il titolo del suo libro mi sembrò un'insegna-epitaffio sublime, al neon per la decade della Belle Epoque edonista: "L'insostenibile leggerezza dell'essere". (Titolo che sta agli anni Ottanta, come "Il giovane Holden" ai '5O, "Sulla strada" ai '6O, "Porci con le ali" ai '7O, "Va' dove ti porta il cuore" ai '9O).
Devo confessarlo: quando menavo il tormentone de "L'insostenibile leggerezza dell'essere", non avevo nemmeno sfiorato il libro. Ogni sera mi limitavo a parodiare e sbeffeggiare un paragrafo della recensione, stilisticamente demente e involontariamente demenziale, di Cesari. Quindi rimasi a mani vuote allorché Roberto Calasso omaggiò il circo Barmun di "Quelli della notte" di copie kunderate.
Dago Arbore - Quelli della notte
Al mio indirizzo ricevetti invece un librone gotico-funebre intitolato "Aberrazioni". Pensai subito che era un titolo perfetto per il riporto a 33 giri che inalberava Roberto Calasso. Rimasi poi di stucco quando l'unico Milan (che Berlusconi non ha mai comprato) fu scoperto in mano alle casalinghe sotto l'ombrellone e alle segretarie d'azienda sopra la scrivania.
Infine l'inenarrabile: assediato da associazioni e librerie e Rotary vari, cominciai a tenere conferenze su Kundera e il suo osannato libro. Così, fedele al cliché di successo di "Quelli della notte", tenni a debita distanza il libro e continuai a fare il cazzaro blablando goliardismi a calembour sciolto (i titoletti delle pseudo-lezioni erano: "L'amore è Cechov", "Parmenide o Parmalat?", "Etere o catetere? questo è il problema").
Poi un bel giorno ho fatto un corso di lettura voce, ho imparato a leggere a piombo, trasversalmente la pagina, e ho potuto leggere il libro-simbolo degli anni Ottanta. Parlava degli anni Settanta.
POST SCRIPTUM
Correvano i primi anni del 2000 quando mi imbattei per la prima volta con il volto arcigno e il riporto volante di Calasso. Ero in romantica passeggiata con mia moglie Anna seguendo la battigia zigzagante del mare di Sabaudia. Onda su onda, quando vedo avanzare una coppia “meravigliosa”: lei vestita all’indiana e lui in calzoncini ma tormentato dal vento di Levante che mandava in erezione un riporto che partiva dai peli della schiena. Lunghissimo, altissimo, purissimo.
La risata si azzera sulla bocca quando, avanzando, riconosco i connotati dell’editore più snob e sprezzante d’Italia, oggetto di desiderio di tanti scrittori e giornalisti (malgrado le paginate su “Repubblica”, Scalfari ancora aspetta di vedere un suo libro per i tipi Adelphi). Beh, pensavo, finalmente riceverò un “grazie” per Kundera e per aver contribuito a salvare la casa editrice dal fallimento.
Naturalmente, dopo aver educatamente declinato nome cognome e codice fiscale, Calasso ha borbottato qualcosa, dopodiché scocciatissimo del pit stop ha dribblato me e mia moglie proseguendo verso i paradisi della Mitteleuropa.
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