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Valerio Cappelli per il “Corriere della Sera” - Estratti
Sulle nuvole dell’immaginazione, Damiano Michieletto, il regista d’opera italiano più richiesto e apprezzato all’estero, si appresta a un nuovo inizio della sua vita professionale: «A ottobre faccio il mio esordio come regista cinematografico». Liberamente tratto da Stabat Mater (il romanzo con cui Tiziano Scarpa nel 2009 vinse il premio Strega), prodotto da Warner Bros e Indigo, si intitola Primavera.
Protagonisti Tecla Insolia e Michele Riondino, che nei suoi film ha il senso delle radici e nella maturità ha fatto uno scatto. Michieletto sceglie la sua Venezia e Vivaldi, un musicista. Così a prima vista si può pensare che non sia voluto uscire dalla comfort zone . Non è così.
Del suo esordio al cinema si parlava da tempo.
«Sento l’adrenalina, lo desideravo da tanto, sono arrivato quasi a 50 anni per scoprire linguaggi nuovi sui quali mettermi alla prova. Spesso nelle regie liriche mi avvalgo delle proiezioni. E il mio film da Gianni Schicchi è una palestra. La tecnica? Non bisogna viverla come un problema ma come una risorsa. L’importante è avere una storia chiara da raccontare».
Come questa?
«Esatto. Tiziano Scarpa è un amico, veneziano come me, e il romanzo contiene già una suggestione filmica nel rapporto tra Cecilia, la violinista costretta a vivere nell’orfanotrofio, e il suo maestro, Vivaldi, un prete che insegna musica che lei chiama Don Antonio. Siamo partiti da lì, con la sceneggiatrice Ludovica Rampoldi. È come se il loro incontro fosse una primavera per entrambi.
(...)
La colonna sonora?
«La musica è il filo rosso, si muove e si mescola con la storia, una sorta di Coming of age . Il film si svolge nel 1716, Vivaldi ha 38 anni e si appresta a scrivere le Quattro Stagioni. Avrò uno sguardo più visionario che riguarda la composizione di questo capolavoro».
(...)
Pensando alla sua estetica, sarà più vicino a Fellini che al realismo di Visconti…
«Sì, la poesia malinconica di E la nave va mi ha segnato. Prova d’orchestra ? Non è stato fondamentale.
Quanto all’attore che mi ha colpito, direi l’inafferrabilità e l’irruenza di Jack Nicholson, uno che passa dal Cùculo a Joker di Batman . Un altro regista è Tarkovskij, ma non sono cinefilo. Al Festival di Venezia, a due passi dai miei luoghi, non sono mai andato. Chissà, un giorno… Non so immaginare il mio futuro nel cinema, per ora mi basta occuparmi del presente. Finché c’è gioia nel fare le cose va tutto bene».
I primi ricordi di cinema?
«Mio papà mi faceva vedere i western e poi Bud Spencer e Terence Hill. Ho iniziato da lì: pugni e pistole. Ed era molto bello. L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi è il primo film che ho visto.
Avrò avuto 8 anni, credo, e lo vidi con la mia famiglia che aveva proprio quell’origine lì: anche mio nonno uccideva il maiale in cortile, come accade nel film. Mi emozionava vedere i miei familiari toccati da una vicenda in cui si immedesimavano. Lì ho percepito la forza emotiva che il cinema può dare.
La vera scoperta è avvenuta all’università, quando ho dato il primo esame di Storia del cinema: I 400 colpi di Truffaut è stato un amore a prima vista».
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