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Giuseppe Guastalla per "Il Corriere della Sera"
Glass era un cavallo docile e bello. Lo si riconosceva da un occhio azzurro e la criniera bianca che risplendeva sul manto nero durante la lavorazione ad Hollywood di Coraggio infinito , una fiction televisiva sull'epopea dei pionieri del West molto popolare negli Stati Uniti nel 2010. Nel corso della lavorazione di una scena, un vagone ferroviario si mosse improvvisamente travolgendo il carro al quale Glass era attaccato facendo spezzare una stanga che gli si conficcò nel fianco.
Una ferita devastante con un'emorragia impossibile da fermate, il veterinario non potè fare altro che un'eutanasia. Spinti dall'amore, dalla fedeltà o dalla sottomissione, gli animali fanno gli attori solo perché sono i loro addestratori a volerlo. Per loro il set non è sempre un posto sicuro, nonostante nei titoli di coda dei film compaia la scritta: «In questo film nessun animale è stato ferito».
La vita di Pi si sarebbe dovuta fermare prima del ciak finale nel 2012 se l'addestratore di King non avesse salvato miracolosamente dall'annegamento il suo imponente esemplare maschio di tigre del Bengala. Campione di incassi al botteghino con 609 milioni di dollari, storia di un ragazzo che riesce a non farsi sbranare dalla tigre con la quale rimane da solo su una scialuppa alla deriva nell'oceano, non avrebbe vinto mai quattro Oscar se il padrone di King non si fosse gettato in acqua assicurandolo ad una corda.
Non è andata bene, invece, al cavallo morto nel corso delle riprese di War Horse di Steven Spielberg, tratto da uno struggente romanzo su un equino che sopravvive durante la Prima Guerra mondiale nella terra di nessuno tra le trincee inglesi e tedesche. E due anni prima, in una lunga pausa della lavorazione di uno dei tre episodi di Lo Hobbit , 27 tra capre e pecore erano morte per disidratazione in una fattoria della Nuova Zelanda dove erano state rinchiuse.
Tutti film che hanno ottenuto la certificazione dell'American Humane Association , l'organizzazione non profit che monitora le riprese in cui sono coinvolti animali e denuncia eventuali abusi. Secondo un'inchiesta del settimanale The Hollywood reporter , l'Aha ha potuto dare il riconoscimento messo nei titoli finali perché ha sempre classificato la morte e il ferimento degli animali come «incidenti».
Si tratterebbe invece di episodi gravi dovuti all'incuria e alla negligenza con cui vengono usati dall'industria cinematografica: veri maltrattamenti. Un atteggiamento compiacente nei confronti delle major che pagano 80 dollari l'ora il lavoro degli ispettori dell'Aha, e talvolta finanziano sue iniziative.
Il cinema ha sempre utilizzato gli animali per fare cassetta, spesso in modo barbaro. Nel 1959 quasi cento cavalli morirono nel colossal Ben Hur, ma bisognerà aspettare il 1980 perché l'uscita de I cancelli del cielo di Michael Cimino, con immagini cruente di combattimenti tra galli e vacche sventrate, faccia esplodere l'indignazione della critica portando alla nascita dell'Aha. «Siamo noi a volere per primi la sicurezza degli animali», afferma un veterinario dell'Aha. Per lui spesso gli incidenti sono inevitabili.
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