GENIO E REGOLATEZZA – DALLE DOCCE BOLLENTI DI WOODY ALLEN AL NUOTO DI UMBERTO ECO: QUANDO ARTISTI E SCRITTORI SONO PIÙ ABITUDINARI DI UN IMPIEGATO

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Simonetta Fiori per ‘La Repubblica'

Genio e sregolatezza? Niente di più sbagliato. Il cliché romantico dell'artista incline all'accensione creativa solo nel caos è destinato a essere smentito da un libretto uscito in Gran Bretagna. Si intitola Daily Rituals (Picador), ma avrebbe dovuto chiamarsi Routines.

Se c'è un tratto che accomuna i grandi talenti degli ultimi secoli - pittori, musicisti, romanzieri, registi, architetti, critici, filosofi e psicoanalisti - questo è proprio la ripetitività dei gesti quotidiani, l'alzataccia al mattino, la colazione sobria, le ore passate al tavolino, la vita sociale sapientemente calibrata. Lavoro, e poi lavoro, e ancora lavoro.

Il genio nasce da qui, da una regolatezza che sconfina nell'ossessione, da una scorbutica ostinazione nel rispetto di orari e programmi di lavoro. Con qualche eccentricità, naturalmente. Se Stravinskij riposa la mente facendo una verticale, Beethoven non disdegna abluzioni gelide. Così Kierkegaard riesce a meditare sull'angoscia solo con una tazzina di caffè.

E la testa di Benjamin Franklin funziona meglio dopo un «bagno d'aria», nella sua camera da letto: seduto a scrivere o a leggere, completamente nudo. Sì, stravaganze, piccoli slittamenti rispetto all'ordinarietà di vite regolate solo dalle esigenze della produzione intellettuale. «Dopotutto lavorare», commenta Flaubert, altro celebre secchione «è il modo migliore per ripararsi dalla vita».

L'idea di Daily Rituals è venuta a Mason Currey, un newyorchese sveglio con problemi di concentrazione sul lavoro. Grazie a una sterminata documentazione raccolta in rete e in svariate biblioteche, è entrato nello studio di oltre centocinquanta geni. La morale? Non c'è. Se non che abitudine e creatività non sono affatto incompatibili, anzi è vero il contrario. L'autodisciplina ti protegge dagli agguati dell'umore. In qualche caso dalla depressione.

L'incompatibilità è semmai con una normale vita sentimentale. Spesso infatti la monomaniacalità comporta solitudine, autismo del cuore. «Mi sento come un medico al pronto soccorso», dice Philip Roth, felice di vivere senza una moglie. «Con una differenza: sono io stesso l'emergenza di cui mi prendo cura». Quasi una conferma della saggia regola secondo cui i geni è meglio ammirarli nelle opere. Rigorosamente a distanza.

Woody Allen: L'ha sperimentato nel corso degli anni: anche i piccoli spostamenti provocano una ventata di energia mentale. Cambiare stanza, uscire per strada, affacciarsi in terrazza. Ma niente è più prezioso di una doccia bollente. I suoi film sono nati sotto uno scroscio d'acqua

Martin Amis: A differenza del padre Kingsley, davanti alla pagina bianca non è mosso da sentimento di terrore. «La gente crede che appartenga al genere dello sgobbone. In realtà lavoro sì ogni giorno, ma soltanto poche ore. E se riesco a scrivere dalle undici all'una, mi posso ritenere soddisfatto».

Wystan Hugh Auden: «La routine, in un uomo intelligente, è segno di ambizione », scrisse nel 1958. Sveglia all'alba, caffè, un rapido passaggio sulle parole crociate, e poi avanti con il lavoro fino alle 11,30 sulle ali di una mente fulgida. Di notte, mai. «Perché solo gli Hitler della terra lavorano di notte ». Tutto perfetto? Anche la normalità ha i suoi lati oscuri, considerando la dose quotidiana di anfetamine che Auden doveva ingoiare per mantenersi in forma. Routiniero anche nella "vita chimica".

Jane Austen: Era capace di scrivere ovunque, nella casa di Chawton. Anche nel salotto, in compagnia della madre e delle sorelle, mai urtata dalle loro chiacchiere. Non ebbe mai una stanza tutta per sé, ma questo non le impedì di portare a termine capolavori come Orgoglio e Pregiudizio ed Emma. L'unica condizione richiesta è che non la coinvolgessero nelle cose di casa. «Mi è impossibile lavorare con la testa piena di carne di montone & dosi di rabarbaro».

Francis Bacon: È il classico esempio del bohémien disciplinato, in altre parole un ossimoro vivente. Disordinatissimo - basti guardare il suo atelier londinese. Dedito a ogni genere di eccessi. Ma nella pittura non perde un colpo. Sveglia alle prime luci del giorno e intenso lavoro fino a mezzogiorno. E i postumi della sbornia? «Mi piace dipingere anche dopo una sbronza. La mia mente crepita con energia e il pensiero si rischiara»

Saul Bellow: Qualcuno mi ha definito un burocrate della letteratura, per la mia autodisciplina giudicata eccessiva». La scrittura era la sua vita. «Mi sveglio presto al mattino e lavoro tutto il giorno. Leggo di notte. Come Abe Lincoln».

Simone de Beauvoir: Un'esistenza ridotta all'essenziale, un po' noiosa. Mattina: colazione, lavoro, pranzo con Sartre. Pomeriggio: lavoro e cena con Sartre, con riepilogo delle cose scritte e pensate in giornata. Il ritratto un po' caricaturale arriva dal regista
Claude Lanzmann, che fu per sette anni il suo amante. Forse non le ha mai perdonato l'ossessiva presenza del rivale. O quel comando imperioso con cui Simone, il primo mattino della loro convivenza, divise i rispettivi pensatoi: «Tu lavori a letto, io al mio tavolo». Poi non una parola fino al pranzo, naturalmente condiviso con Jean-Paul.

Umberto Eco: È tra i pochi che non segue una regola precisa, lavorando praticamente ogni momento. «Ma quando nuoto mi vengono le idee migliori. Soprattutto in mare».

Jonathan Franzen: La sua officina di lavoro assomiglia a una trincea. Non fu facile agli inizi, quando neosposo andò a vivere con la giovane moglie in un piccolissimo appartamento fuori Boston, faticosamente diviso tra le ambizioni letterarie di entrambi. Lui ebbe successo, lei no. E il matrimonio ebbe fine.

Ma neppure dopo la grande fama il lavoro sarebbe stato semplice. Per scrivere dovette chiudersi nello studio di Harlem, con le imposte tirate e le luci spente. L'unica cosa accesa era lo schermo del computer. Gli ci vollero quattro anni e migliaia di pagine scartate per portare a termine il libro. «Mi sono detestato tutto il tempo»

Sigmund Freud: La sua devozione alla psicoanalisi fu favorita dall'accudente moglie Martha, che provvedeva a ogni cosa, dalla scelta degli abiti al dentifricio spalmato sullo spazzolino. La celebre barba veniva rifinita ogni mattina da un solerte barbiere chiamato a casa.

Alle otto l'inizio delle sedute analitiche, che si chiudevano a mezzogiorno. Il pasto principale veniva servito all'una, ma Freud non aveva gusti da grand gourmet, inclinando ai piatti della classe media come il bollito o il roast-beef. Mangiava con quieta concentrazione. Talvolta era talmente assorto nei suoi pensieri da risultare imbarazzante per gli ospiti. Poi usciva a spasso per Vienna, attraversando la Ringstrasse «con una velocità di marcia stupefacente», come annotò il figlio Martin.

Patricia Highsmith: «Non c'è vita al di fuori del lavoro, che è poi scavare nell'immaginazione». Eccoci davanti a un'altra solitaria e misantropa come molti dei suoi personaggi. Nella scrittura procede come un panzer: non meno di quattro ore al giorno, e almeno duemila parole. Sdraiata a letto, in compagnia di Gauloises, portacenere, cerini, caffè caldo e frittelle dolci. Qualche volta ci scappa anche un drink robusto, «per arginare i soprassalti di energia»

Carl Jung: Negli anni Trenta, nel pieno di un'attività frenetica tra pazienti e seminari, trovava riparo in una torre di pietra a Bollingen, vicino al Lago di Zurigo. Niente luce né telefono, uno stile di vita molto primitivo. L'unico bagliore artificiale proveniva dalle lampade a olio, in una gran confusione di pentole, casseruole e salami. Qui scrisse alcuni suoi lavori importanti. «A Bollingen ero finalmente me stesso. Vivevo senza elettricità e curavo la cucina da solo. Questi gesti semplici mi rendevano semplice. E come è difficile essere semplici!»

Gustav Mahler: Le sinfonie ne restituiscono una vita interiore fiammeggiante, ma le sue abitudini nella villa sul lago a Maiernigg, in Carinzia, erano piuttosto noiose. Una vita «quasi disumana nella sua purezza», annotò la giovane e infelice moglie Alma. Sveglio all'alba, prima di comporre non sopportava la vista di umani.

Così il povero cuoco, per portargli nel bosco la colazione senza essere visto, doveva imboccare sentieri scoscesi e solitari. E la moglie, per convincere i vicini a tenere i cani con la museruola, distribuiva per l'Opera biglietti gratis. Si può capire perché Alma perse la testa per Walter Gropius. Dolente e stupefatto, Mahler finì a consulto con Freud, che avrebbe poi commentato: «Era come scavare con un bastoncino in un edificio misterioso».

Thomas Mann: Un altro campione di routine, temuto e rispettato dai suoi cari. Dalle nove fino a mezzogiorno, lo studio era considerato un bunker inviolabile. Ai bambini era proibito far rumore. A mente ancora fresca, il grande romanziere si sforzava di buttare giù i suoi appunti, in una pianificazione meticolosa del lavoro. Tutto quello che non arrivava entro le dodici doveva essere rimandato al giorno successivo, perché il pomeriggio era dedicato ad attività meno impegnative. Anche il vizio del fumo era pignolescamente ammini-strato: non più di due sigari al giorno, e al massimo sette sigarette»

Joan Mirò: Per lui una rigorosa routine significava un argine alla depressione, a quella vena malinconica che l'aveva afflitto da giovane, prima di scoprire i colori. Ma ai pennelli associava una vigorosa cura del fisico. A Parigi tirava di boxe, a Barcellona saltava con la corda e a Mont-roig alternava nuoto e corse sulla spiaggia. Detestava la vita mondana. «Merda! Odio le feste. Sono fiere mercantili. E la gente parla troppo».

Toni Morrison: Non ha mai scritto in modo regolare, ma l'avrebbe tanto desiderato. «Ho sempre avuto un lavoro dalle nove alle cinque. E potevo dedicarmi alla scrittura solo all'alba o nei weeek end». Oltre a essere stata impegnata per vent'anni alla Random House, Toni è stata una single mother. «Quando mi siedo a scrivere, non ho ripensamenti. Ho talmente tante altre cose da fare, che rimuginare è un lusso che non mi posso permettere».

Alice Munro: Letteratura e fatiche domestiche non vanno d'accordo. Negli anni Cinquanta, dovendosi dividere tra i lavori di casa e la cura delle figlie, l'ultimo premio Nobel riusciva a scrivere solo nei ritagli di tempo, spesso il pomeriggio in camera da letto. Poi prese in affitto anche un piccolo ufficio sopra la drogheria. Ma il logorroico proprietario le impediva di concentrarsi.

Haruki Murakami: Quando lavora ai suoi romanzi, si sveglia alle quattro e va a dormire non più tardi delle nove. Un'agenda ripetuta senza varianti. «Solo così riesco a raggiungere un più profondo stato mentale », ha dichiarato alla Mens sana in corpore sano. Per questo Murakami ha cambiato stile di vita: se prima era sedentario, dunque incline a pinguedine, ora vive in campagna, corre ogni giorno e ha smesso di fumare (la sua dose era di tre pacchetti al giorno). Non ha vita sociale. «Le mie uniche relazioni sono con i lettori»

Oliver Sacks: Routiniero anche il celebre neurologo, ma come può esserlo un tipo come lui. In una giornata regolare, che comincia alle cinque del mattino e prosegue con una nuotata e due volte alla settimana con la visita dall'analista, è il pomeriggio che può accadere qualcosa d'imprevisto: un abbandono totale alla fantasia, pensieri e immagini che sfrecciano ovunque. «Se sono fortunato esco fuori da questo stato di alterazione con un'energia rinnovata e la mente limpida». Può anche capitare che Oliver parta per un viaggio creativo, fuori da ogni regola. «Posso scrivere anche trentasei ore di seguito, finché l'ispirazione non si esaurisce»

Voltaire: Soprattutto negli ultimi anni della sua vita, gli piaceva lavorare a letto. Sistemato tra comodi cuscini, leggeva e dettava i suoi appunti a una delle segretarie. La sera, verso le otto, raggiungeva la nipote rimasta vedova, Madame Denis, per lungo tempo sua amante, ma la giornata di studio continuava dopo cena. Secondo Jean-Louis Wagnière, il prediletto tra i segretari, poteva lavorare anche venti ore al giorno. Per Voltaire, una vita perfetta.

Frank Lloyd Wright: Non fu mai visto seduto al tavolo da disegno. Un po' perché lavorava tra le 4 e le 7 del mattino; un po' perché non buttava giù il progetto finché non lo maturava interamente nella sua testa. Per la casa sulla cascata, una delle più famose del Ventesimo secolo, cominciò a disegnare solo quando il committente telefonò per dirgli che tempo due ore sarebbe arrivato per la firma del contratto. Anche in questi frangenti, non appariva mai affannato.

 

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