TWEET TWEET E IL PARTITO NON C’E’ PIU’ (LA TECNOLOGIA HA SOTTERRATO QUALSIASI IDEOLOGIA)

Filippo Ceccarelli per "La Repubblica"

Dategli un tweet e vi solleveranno un partito. Dategli un hashtag, un sms, un mms, un Facebook, un Whatsapp, una diretta web. Insomma, dategli una qualsiasi diavoleria tecno-magica.

E cambierà - come in parte già accaduto - anche la vecchia e cara elezione del presidente della Repubblica a camere riunite e sotto l'occhiuto sguardo dei social network.
Avranno certo un bel da fare gli storici del futuro nel ricostruire questo passaggio attraversando un mare magnum di messaggi immateriali che pure hanno senz'altro condizionato lo svolgimento e gli esiti della battaglia.

E non è per "casaleggiare" a buon mercato, ma si avvera la profezia di McLuhan: "Tutto il conservatorismo del mondo non può opporre nemmeno una resistenza simbolica all'assalto dei nuovi media elettronici". Invoca adesso il povero Bersani: «E smettiamola con questi telefonini, la politica non si fa a colpi di tweet e di sms!». Ah, no? Troppo tardi.

A rileggere la storia tempestosa di questi tre-quattro giorni si capisce che sui Grandi Elettori, e non solo del Pd, ha avuto influenza:
1) il torrente di invocazioni della base, a partire da mercoledì, contro la candidatura di Marini significativamente intitolato #NonFatelo e #NonViVotiamo-Più;
2) la mobilitazione creatasi a tarda sera sempre via twitter e sms davanti al cinema Capranica;

3) la foto diffusa giovedì in tempo reale dell'abbraccio nell'aula di Montecitorio tra Alfano e Bersani, subito assurta a "icona dell'inciucio";
4) i continui pronunciamenti di Renzi, Vendola, Grillo e dei suoi candidati, tra i quali Rodotà, che anche lui ha accettato ufficialmente attraverso un tweet;

5) la mobilitazione anche in periferia, pure alimentatasi con il sintomatico hashtag #occupyPd tra giovedì e venerdi;
6) infine la manifestazione creatasi sabato intorno a Montecitorio e divenuta grande dopo che Grillo aveva annunciato la sua partecipazione, poi annullata sempre sulle piattaforme digitali (quest'ultime in parte bloccate da hacker).

Ma l'elenco delle interazioni e delle interconnessioni è parziale perché centinaia e centinaia di altri segnali hanno viaggiato fuori e dentro il Palazzo in questi giorni sugli ipad e gli smartphone, non ultimo quello con cui Fabrizio Barca, astro nascente di una sinistra che si oppone alle grandi intese, ha reso nota la sua avversione al voto del Pd per Napolitano.

Quanto ai risultati politici conseguiti da questo immane e inedito traffico, si può ipotizzare che i social network hanno giocato un ruolo decisivo nella bocciatura di Marini e nel determinare lo sconquasso del Pd, azzerando la funzione del gruppo dirigente. Allo stesso modo, più che una conferma, twitter e i suoi fratellini elettronici hanno esaltato la pronta
capacità di mobilitazione del M5S.

Mentre per quanto riguarda il siluramento di Prodi e l'elezione di Napolitano, al netto degli onorevoli smanettoni e dotati di telecamerine, sono prevalsi i tradizionali strumenti della politica, per lo più avvolti da una coltre di segreto, cioè accordi di vertice e congiure di franchi tiratori.

E tuttavia, per la prima volta i due ambiti, che poi in fondo corrispondono al passato e al futuro, si sono definitivamente intrecciati collegando un pezzo di società al centro delle decisioni e attivando una serie di reciproci condizionamenti come mai era accaduto in Italia - e forse non solo in Italia.

Che si sia trattato di nuova e autentica "partecipazione", nel senso che da più di un secolo si attribuisce a questa parola, è troppo presto per dire. Difficile, ad esempio, valutare il feed-back di singoli commenti o video o immagini che pure immediatamente hanno preso a girare in rete, anche in forma virale, tipo l'accendino che brucia la tessera (scaduta), la scheda "Prodi" fotografata nella cabina (pare falsamente utilizzata da tanti come propria), il video della Mussolini con maglietta satanica o di Franceschini assediato al ristorante.

Ma certo non è più solo un fatto che riguarda la tecnologia o la comunicazione, e con sempre minore incertezza viene da chiedersi se, tra caroselli di ritweet, moltiplicazione esponenziale dei "mi piace" ed effetto Grande Fratello, non stia irrevocabimente cambiando sotto gli occhi degli italiani il linguaggio della politica.

Da questo punto di vista la campagna per il Quirinale, con il suo mix di antiche eredità e indispensabile post-modernità necessitata, segna comunque una svolta. Altra faccenda è capire perché questa radicale trasformazione si manifesti molto più a partire dalle forme che nella sostanza e nei contenuti. Più che adattarsi alle necessità degli uomini, la tecnologia infatti tende a cambiarli.

Non senza ragione è stato notato che le piattaforme digitali come twitter, privilegiando un pensiero corto e immediato, miniaturizzano e immiseriscono il discorso pubblico; e a tale proposito, anche senza indulgere a puritanesimi o mammolerie, vale la pena di segnalare un recentissimo scambio in cui Sabina Guzzanti ha protestato per il mancato arrivo di Grillo a Roma in quanto si era "cacato sotto", al che in tal modo le ha risposto il portavocegeniluomo Messora: «Ragazzina, siamo ancora in viaggio, arriviamo da un tour di 2000 km in 4 giorni, almeno tu non sparare cazzate » - laddove la perla preziosa riposa in quel pudico "almeno tu".

Ma pazienza. Oltre alla fine della democrazia rappresentativa, delle culture politiche e delle grandi narrazioni dell'altro secolo, i social network esprimono bene (anche) quei processi che certa sociologia definisce di neotribalismo, segnali di fumo o tamtam che nella loro semplificata istantaneità vivono di pulsioni ludiche, proiezioni oniriche, vibrazioni ironiche e creative, ma anche regressive e selvagge.

E ancora, frizioni emotive, turbini voluttuosi, sentimenti comunitari, giochi linguistici, piaceri, eccitazioni... Che tutto questo si possa evocare a proposito della rielezione di Giorgio Napolitano al Quirinale è un segno non sai bene se di speranza o del suo contrario, o forse di tutte e due.

 

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