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Stefania Ulivi per il “Corriere della Sera - Roma”
«Per amare veramente non bisogna chiedersi troppo e non serve sapere tutto». E quando un amore dura da cinquant’anni, davvero non c’è niente da capire. Parola di Francesco De Gregori, dylaniano devoto, che dopo averle messe in un disco — «De Gregori canta Dylan. Amore e furto» — presenta al pubblico le canzoni dell’ultimo album.
Pezzi molto amati, consumati dall’ascolto, a partire da «Sweetheart like you» che diventa «Un angioletto come te». Riscritti e un po’ re-inventati. Traditi, come ammette il Principe con candore.
«Ogni traduzione è un tradimento. Tradurre una canzone vuol dire soprattutto non stravolgere il significato del testo, ovviamente, e anche lavorare sul suono delle singole parole e sulla metrica dei versi». Così un barbiere può trasformarsi in un rabdomante e Tunisia prendere il posto di Tangeri.
«Far suonare bene in italiano ciò che suonava bene in inglese: questo è stato per me l’obiettivo da non perdere mai di vista. E sulla strada della cantabilità i paletti e i sacrifici sono molti, non tutti si possono evitare, qualcuno può essere fatale», ha spiegato De Gregori presentando l’album.
Questioni di rima, certo, ma anche di atmosfere. Alla Dylan, certo, ma anche, insieme, alla De Gregori. Che trasformano l’inevitabile tradimento in atto di amore e estrema fedeltà. Anche se, in realtà, tra Tangeri e la Tunisia ci sono in mezzo più di mille chilometri.
L’amore e furto Tour 2016 parte da Roma, sabato all’Atlantico Live, quindi farà tappa nei club e teatri della penisola. «Questo concerto è un altro film rispetto a quello del Vivavoce Tour.
C’è Dylan e ci sono pezzi che non ho mai fatto». Gli ha rubato anche il titolo, questo sì traduzione letterale di «Love and theft», l’album con cui nel 2001 l’artista si divertì a mescolare citazioni delle musiche che l’avevano formato, dal blues al country. E da cui arriva «Tweedle Dee &Tweedle Dum» che diventa «Tweedle Dum & Tweedle Dee». Insieme alle altre dieci canzoni del disco — tra cui spiccano «Servire qualcuno» («Gotta serve somebody», da «Slow train coming»),
«Acido seminterrato» («Subterranean homesick blues», unica incursione nella produzione degli anni ‘60), «Come il giorno» («I shall be released», liberamente tradotta) e «Una serie di sogni» («Series of dreams», qui la fedeltà al testo è maggiore) — rappresentano l’omaggio appassionato a un maestro sempre dichiarato. Il cantautore romano non ha mai negato quanto «Buonanotte fiorellino» derivasse da «Winterlude».
Ancora prima, quel «Io domando “Chi?”, loro fanno “Cosa?» di «Cercando un altro Egitto» evocava apertamente «God say, “No”, Abe say “What?» di «Highway 61 Revisited». Ma oltre a Dylan, in «Amore e furto» c’è tanto De Gregori. Che a 64 anni, recuperata con gli interessi la gioia di esibirsi dal vivo, festeggiati i 40 anni di «Rimmel», può permettersi quel che vuole senza preoccuparsi troppo delle reazioni. «Sono pronto a ogni critica», ha ripetuto a ogni presentazione dell’album.
C’è spazio, semmai, per qualche rimpianto. Come di non aver inserito nella tracklist un altro brano prediletto, «My Back Pages», quello che recita «But I was so much older then / I’m younger than that now». Potrebbe averlo scritto lui, in effetti. «Ero molto più vecchio una volta, sono molto più giovane ora».
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