DAGOREPORT – LO “SCAMBIO” SALA-ABEDINI VA INCASTONATO NEL CAMBIAMENTO DELLE FORZE IN CAMPO NEL…
Mario Platero per “la Repubblica – Affari & Finanza”
Anno nuovo, vita nuova. Con l' insediamento di Joe Biden non c' è solo uno storico cambio di marcia politica per l' America divisa. Fra gli addetti ai lavori si discute anche di un altro imminente cambio di marcia, quello che dovrebbe arrivare in alcuni grandi giornali. C' è l' incognita Marty Baron, direttore leggendario fra i giornalisti americani.
Ha fatto capire che, dopo sette anni, avrebbe lasciato la direzione del Washington Post costringendo Jeff Bezos a trovare un sostituto. A 66 anni e dopo quasi 20 di direzione di giornali (prima era al Boston Globe) è giovane abbastanza, dice, per fare altre cose, ma darà la notizia «quando il momento sara' opportuno».
C' è poi il Los Angeles Times. Norman Pearlstine, 78 anni, anche lui con pedigree di Pulitzer alle spalle e già direttore del Wall Street Journal e dei periodici di Time Magazine, aveva annunciato in ottobre che se ne sarebbe andato. Il suo arrivo nel 2018 aveva portato una ventata di novità, migliorò la copertura e riuscì a vincere anche lui un paio di Pulitzer. Ma la redazione gli è stata poi ostile per questioni di correttezza politica.
Così un paio di settimane fa la cosa si è concretizzata con un annuncio del proprietario, l' industriale farmaceutico Patrick Soon-Shiong. Un idealista, Patrick, che ha preso l' LA Times con la moglie Michelle, vede il suo investimento editoriale come una missione civica ma oggi ha poco tempo per l' editoria visto che si trova impegnato nella realizzazione di un nuovo vaccino anti Covid. Ha difficoltà a trovare il sostituto adeguato e per ora ci sono degli interim interni.
Infine il New York Times. Ci si chiede cosa farà Dean Baquet, 64 anni, afroamericano, da quasi sette alla guida del giornale. La domanda circola con maggiore insistenza da quando l' amministratore delegato Mark Thompson, artefice del successo della piattaforma digitale, ha passato lo scorso settembre il testimone a Meredith Kopit Levien, 49 anni. Per ora su Baquet ci sono soltanto voci, dicono che il candidato favorito alla successione è il suo vice Joe Kahn.
La questione avvicendamenti ovviamente non è soltanto una questione di nomi. Arriva in un momento molto delicato per la carta stampata, le sfide sul digitale sono sempre più pressanti e si dovrà scegliere fra un direttore creativo sul fronte digitale e un direttore di contenuti più tradizionale, con conseguenze a cascata per l' intero settore.
Il caso di riferimento resta quello di Marty Baron. È chiaramente un direttore di "content". Quando era alla direzione del Boston Globe rivelò al mondo gli scandali dei preti pedofili nella diocesi di Boston. Quelle inchieste e i quattro Pulitzer al Boston Globe sono stati raccontati in Spotlight, il film che conquistò ben sei nomination agli Oscar nel 2016. La storia, la dinamica, le sfide di quel giornalismo hanno restituito lustro al mestiere tradizionale e rispolverato in molti giovani la passione per una professione che sembrava avviata ad afflosciarsi su pochi bytes e guadagni sempre più magri.
Marty arrivò al Post quando ancora c' era la vecchia proprietà, la famiglia Graham. Un anno dopo, anche per beghe di famiglia, il ceo Don Graham, amico di Jeff Bezos, gli propone la vendita del giornale. Bezos accetta e il mondo per Marty cambia. Bezos non era interessato a profitti, gli utili sarebbero stati reinvestiti nel giornale.
Marty si è lanciato su un giornale generalista senza porsi troppi problemi su una segmentazione dell' audience, soprattutto non si è occupato direttamente di digitale. Invece di inventare prodotti integrati si è focalizzato sul suo punto di forza, le inchieste e le news. In tre anni la sua divisione tech ha comunque triplicato le sottoscrizioni digitali, decisive per tutti, portandole a quasi 1,5 milioni di abbonati. Così dopo 20 milioni di passivo il primo anno, ha portato abbastanza regolarmente tra i 25 e i 30 milioni di dollari all' anno di utili.
il washington post venduto dai graham a jeff bezos
Bezos è stato di parola, gli ha lasciato reinvestire tutto e Baron ha assunto decine di nuovi giornalisti, ha aperto uffici di corrispondenza, ha scatenato inchieste contro Donald Trump, ha vinto altri due Pulitzer, ma soprattutto ha riportato il giornale a contare nel dibattito nazionale: prima di Baron c' erano solo il New York Times e il Wall Street Journal come veri giornali nazionali in America, oggi il Post è tornato fra i grandi.
Negli ultimi giorni ha fatto uno degli scoop più importanti dell' anno: la registrazione della telefonata fra Trump e il segretario di Stato della Georgia Brad Raffensperger, ha ricevuto la lettera degli 11 ex segretari al Pentagono hanno firmato insieme un messaggio contro Trump e poi la lettera di 200 executive, di nuovo distanti dal Presidente.
norman pearlstine los angeles times
Insomma se Marty Baron lascia lo fa nel momento in cui il suo giornale è già diventato una business "case story". Ma la domanda a cui non ha dato risposta è sulla strategia del Post: vuole restare un giornale con capillare copertura locale, anche politica, che fa un po' tutto senza una segmentazione adeguata e un digital mix?
E qui esplode la differenza con il New York Times, che ha invece una strategia precisa, punta su una audience ben definita, circa 100 milioni di persone nel mondo anglosassone, di alto reddito e cultura, un prodotto globale di elite che racconta, la politica, l' economia, la cultura, i nuovi libri per quell' audience. Non c' è più la cronaca cittadina di Brooklyn ad esempio.
La strategia prevede un mix di content e prodotti digitali e ha già colpito nel segno, gli abbonati digitali hanno superato i 7 milioni.
Per la successione di Baron e quella di Pearlstine spunta un nome, quello di Kevin Merida. Oggi è alla rete ESPN, ma veniva proprio dal Washington Post dove fu l' architetto del rilancio digitale. Potrebbe essere la persona ideale per Bezos (ma anche per il LA Times) perché copre sia content che hi tech. Ma Baron non ha ancora chiarito. La decisione sarà sua. E tutti aspettano per poter partire con un fitto giro di poltrone e per inaugurare la nuova dimensione strategica dei giornali, puntando a condividere la raccolta dei frutti promessi nell' era del digitale.
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