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Francesco Magnocavallo per il "Fatto quotidiano"
Eric Schmidt, presidente di Google, con un dietrofront plateale riapre l'annosa questione del diritto all'oblio, ovvero la possibilità di cancellare determinati contenuti da internet: "L'assenza di un bottone Cancella su internet è una questione importante. Ci sono situazioni in cui cancellare è la cosa giusta da farsi". Siamo agli antipodi rispetto a quanto detto nel 2009: "Se hai cose che non vuoi che nessuno sappia, allora forse per prima cosa non avresti dovuto farle".
Durante una intervista per il suo nuovo libro The New Digital Age, Schmidt si è riferito a un possibile monitoraggio governativo delle sue attività digitali: "La privacy è ancora più importante in questo nuovo mondo interconnesso, ne abbiamo bisogno. Avremo bisogno di combattere per questo. Oggi, dalla nascita alla morte, il tuo profilo personale sarà sempre più condizionato da eventi digitali e sarà molto difficile controllare le cose. Ci sono casi in cui cancellare è appropriato e altri no. Come decideremo? à ora di fare questa discussione".
Schmidt si riscopre paladino della privacy e Google si ritrova più vicina alle odiate posizioni dell'Unione europea, all'imminente General Data Protection Regulation che prevede un diritto all'oblio, indigesto alle grandi corporation della Silicon Valley. Queste invocano la supremazia della libertà di parola, oltre che il feticcio di un'impresa libera da legacci, anche quando la società civile fatica a star dietro all'innovazione sociale.
Nei mesi scorsi, John Rodgers del Foreign Service americano ha minacciato una guerra commerciale con l'Europa a causa di questa direttiva europea. In effetti, sembrano piuttosto spropositate previsioni come l'obbligo per le piattaforme di far rispettare il diritto all'oblio anche quando i contenuti incriminati fossero stati copiati e ripubblicati su siti terzi, pena multe nell'ordine di interi punti percentuali di fatturato.
Le multinazionali della rete, il 30% dei partecipanti alla conferenza di Berlino, hanno risposto con un'azione di lobbying pressante: il verde Jan Philipp Albrecht ora si trova a dover gestire tremila emendamenti e ha già rimandato la votazione a fine giugno.
Ma l'interrogativo più pressante non è quello del dibattito filosofico invocato da Schmidt, quanto quello dell'applicazione pratica. A molti analisti l'applicazione di una legge fatta così appare impossibile: il Ministero della Giustizia inglese ha preso le distanze dalla legge in questione alla fine di aprile: "Il titolo del provvedimento può dar adito ad aspettative poco realistiche e ingiuste sul progetto europeo".
Secondo uno studio appena pubblicato dallo Information Commisioner's Office inglese, il 40% delle aziende non capisce bene cosa preveda la legge e fino all'87% non riesce a stimare i costi aggiuntivi che comporterebbe. E, se guardiamo all'Italia, questa legge fa sorgere perplessità : il diritto all'oblio potrebbe essere strumentalizzato a scopi di "reputation management", quella gestione forzata dell'immagine di noi stessi che offriamo al mondo con i risultati di una semplice ricerca su Google.
Vedi il caso di Carolina Lussana della Lega Nord: nel 2009 presentò una proposta di legge dove il diritto a essere dimenticati sussisteva anche per chi "esercita o ha esercitato alte cariche pubbliche, anche elettive, in caso di condanna per reati commessi nell'esercizio delle proprie funzioni, allorché sussista un meritevole interesse pubblico alla conoscenza dei fatti". Insomma, si prospetterebbero "ripuliture" di immagine in nome di un diritto sancito per ben altri scopi. Diritto all'oblio contro diritto alla memoria, la partita è tutta da giocare.
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