DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Marco Giusti per Dagospia
Che vediamo stasera? Tanto lo so che avete visto già tutto o quasi tutto quello che avete trovato su Netflix. Vedo che su Amazon hanno appena inserito il supergaio "Pornomelancolia" di Manuel Abromich su un vero sex-influencer sempre a pisello di fuori, che ha appena girato un hard su Zapata, ma si sente tanto triste, e il folle, disastrato, ma stracultissimo “Beau ha paura” di Ari Aster ("Midsommer") con Joaquin Phoenix. Vi avverto. E’ un film difficile, di tre ore, andato malissimo. E non ci sarà possibilità di scegliere. O, dopo le tre ore, vi avrà conquistato in un misto di orrore e divertimento o sarete furibondi con voi stessi o con chi, sciagurato, ve lo ha consigliato. O lo avrete mollato dopo 10 minuti.
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Ora. “Beau ha paura”, prodotto dalla più importante casa di produzione oggi al mondo, la A24 che ha stravinto gli Oscar con "Everything Everywhere All At Once” e “The Whale”, che ci ha dato serie come “Euphoria” e “Beef”, mi ha lasciato a occhi aperti per oltre due ore, inseguendo un Joaquin Phoenix meraviglioso, invecchiato, appesantito, distrutto dai sensi di colpi e da tutto il peso del mondo, dalla mancanza di un padre e da un complesso di Edipo grande come il cazzo-mostro di due metri che a un certo punto si palesa in soffitta, in un viaggio psicanalitico anni ’60 più simile al “Candy” nella stesura di Buck Henry che a un simil Kafka o simil Fellini (tranquilli non è un film felliniano come tutto quello che si vede in Italia…), o a una rilettura dei film di Charlie Kaufman, fino a quando non si esalta nella costruzione della figura materna che ci trascinerà fino alla terza ora successiva.
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E lì prende il volo. E capiamo tutto. Perché la Mona Wasserman di Patti LuPone, attrice di culto che ha vinto tre premi Tony, che abbiamo amato in “American Horror Story”, “Penny Dreadful” e “Pose”, non è solo la terribile Grande Madre Ebrea che racchiude dentro di sé tutte le paure dei maschi cresciuti coi sensi di colpa (GUILTY!) come Beau, non ultimo quello di aver scopato nel letto della madre sul modello Philip Roth o aver creduto che un’altra donna potesse prendere il posto di mammina. E’ anche la proiezione di tutte queste paure, totalmente maschili, che Beau si trascina dietro da quando è nato. Ma ci dovete arrivare alla terza ora. E lo farete?
Per le mammolette, gli spettatori di cinema d’arte più tradizionalisti e per quelli più viziosi consiglio di farvi una passeggiata su Mubi. C’è veramente di tutto. Da “Song for Drella”, il concerto-disco di Lou Reed e John Cale per l’amico scomparso Andy Warhol, al film di puttane vampiro messicane “Vampire Hookers” di Ciro H. Santiago con il vecchio John Carradine, dal film di ecoterrorismo “Night Moves” di Kelly Reichardt con Jesse Eisenberg (una dormita a Venezia…) all’animato a passo uno “Fantastic Mr Fox" di Wes Anderson, tratto dal libro di Roald Dahl, dal rarissimo “The Cowboy and the Frenchman”, corto di 26’0 di David Lynch con Harry Dean Stanton, Frederic Golchan e Jack Nance alle opere strepitose di Jacques Rivette degli anni ’70, perfino “Duelle” con Juliet Berto.
Da “Within Our Gates”, raro film muto del 1920 diretto dal regista afro-americano Oscar Michaux, un social drama per il pubblico nero americano, a ogni possibile filmetto sado-gaio-lesbo-eccessivo che vi passa per la testa, come “Gilfriends and Girlfriends” di e con Zaida Carnova. Ma c'è pure "Revue", favoloso documentario di Sergei Loznitsa sui film di propaganda sovietici. O il film colombiano sul narcotraffico “Garcia” di José Luis Angeles con la strepitosa Margarita Rosa de Francisco, che ha appena vinto come miglior attrice femminile a Orizzontale con “El Paraiso” di Enrico Maria Artale, dove fa la mamma di Edoardo Pesce.
Ma il pubblico delle signore apprezzerà il polpettone sentimentale con la bella Virginie Efira “I figli degli altri” di Rebecca Zlotowski, visto a Venezia un anno fa, una commedia borghese con punte drammatiche sulle quarantenni che si accorgono un filo in ritardo di non poter più fare figli. Il film deve molto del suo successo di pubblico, almeno in Francia, ai suoi interpreti, una intensa e generosa Virginie Efira, ha pure grandi scene di nudo frontale che i fan apprezzeranno, e il duro Roschdy Zem in versione sexy star ("Fai la doccia con me?" - "No preferisco guardarti fa lei").
E in molte si ritroveranno nel personaggio della bella quarantenne che si accorge troppo tardi che ha aspettato invano il momento di fare figli e si ritrova così a crescere o a osservare i figli degli altri come da titolo. Rachel, la Efira, professoressa quarantenne della scuola Maurice Ravel, dopo aver perso tempo con un giornalista di successo e aver risposto a una gravidanza con un aborto, si innamora di Ali, Roschdy Zem, disegnatore di auto con figlioletta e un'ex moglie un po' triste, Chiara Mastroianni.
Presto Rachel si rende conto che vorrebbe anche lei avere un figlio e una famiglia sua, ma il suo vecchio ginecologo, addirittura Frederick Wiseman, le dice che non ha più né molto tempo né molte chances. Si deve sbrigare. E magari accettare una vita senza figli con maschi che sono spesso delle delusioni sentimentali. Come se non lo sapessimo.
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