FACE-BOSS – DOPO 10 ANNI IL GIOCATTOLINO DI ZUCKERBERG HA RESO TUTTI PIÙ NARCISI E FEDIFRAGHI MA HA CAMBIATO L’INFORMAZIONE CHE ORMAI SUCCHIA E SPOLPA I SOCIAL MEDIA IN UN ETERNO CICALECCIO AUTORIFERITO

Andrea Scanzi per il "Fatto quotidiano"

Ha cambiato la vita a quasi tutti, e non è detto in meglio. Facebook compie dieci anni. A giudicare dai numeri, e a dispetto di chi lo reputa ormai vetusto rispetto al più cool Twitter, gode di ottima salute. Nell'ultimo trimestre 2013 gli utili sono passati da 64 a 523 milioni, i ricavi da 1,5 a 2,5 miliardi. Gli utenti mensili attivi sono stati 1,23 miliardi di persone (945 milioni su dispositivi mobili). La media degli utenti attivi ogni giorno, a dicembre, è stata di 757 milioni di persone. Spropositati i ricavi pubblicitari, cresciuti del 76 per cento fino a 2,34 miliardi di dollari. La pubblicità su smartphone e tablet rappresenta il 53 per cento del totale.

Facebook fu lanciato il 4 febbraio 2004. Intendeva rifarsi all'elenco di nomi e fotografie degli studenti, distribuito in alcune università statunitensi. Nacque come progetto esclusivo per l'Università di Harvard, poi esteso a Boston, Ivy League, Stanford University e infine a tutti coloro che dichiaravano di avere più di 13 anni. Uno degli ideatori, l'allora diciannovenne Mark Zuckerberg, varò Facemash il 28 ottobre 2003. Era la versione antesignana di Facebook. Zuckerberg si introdusse nella rete protetta di Harvard e condivise le foto degli studenti iscritti. Quattro anni fa è stata raccontata la storia in The Social Network.

Il film di David Fincher dà molta importanza ai co-ideatori del progetto, su tutti Eduardo Saverin, decisivo nella fase realizzativa ma poi via via isolato da Zuckerberg, che - se il film è appena veritiero - potrebbe tranquillamente concorrere al premio di personaggio più semi-autistico e al contempo maggiormente insopportabile del mondo.

Saverin ha fatto causa all'ex amico, vincendola e ottenendo un risarcimento milionario. Zuckerberg, per ampliare il progetto, si lasciò consigliare da Sean Parker, il genio di Napster, interpretato (malino) da Justin Timberlake e tratteggiato come una sorta di via di mezzo tra James Dean e Umberto Smaila.

Poche cose hanno rivoluzionato la vita come Facebook. Le sue forze, tutte a doppio taglio, sono molteplici. La prima è quella di abbattere le distanze, di rendere tutto possibile e di titillare il sogno ingenuo di ritrovare l'amico d'infanzia perduto (e se lo avevi perduto, forse, un motivo c'era). Facebook sta poi al narcisismo come la Nutella al diabetico. Permette a tutti di avere uno speaker's corner e pontificare sui massimi sistemi. Come un gigantesco spogliatoio maschile, riverbera l'eterna sfida del "chi ce l'ha più lungo", anche se non è più questione di centimetri (peraltro spesso gonfiati) quanto di amici (peraltro spesso finti).

PRIMA di Facebook l'amicizia era qualcosa di concreto, di fisico: di sanguigno. Con Facebook pure l'affettività ha accettato di attenere più al virtuale che al reale. Alto e basso si confondono fatalmente. Si passa da status agguerriti sulla politica italiana a pensieri irrinunciabili sui chili presi in una settimana per colpa dei nuovi Fonzie's ricoperti di cioccolato.

Social più per giovanilisti che per giovani, Facebook ha costretto gli over 40 a reinventarsi ipertecnologici (con esiti, spesso, tragicomici). Facebook ha fatto anche la fortuna degli avvocati divorzisti: se ieri la scappatella sembrava spesso impossibile, Facebook ha reso tutto apparentemente accessibile: il flirt con la ragazza lontana, la tresca con il viaggiatore appena intravisto, la collega che al lavoro neanche ti fila ma poi in chat ti spedisce "selfie" piccanti. L'occasione rende l'uomo ladro, Facebook rende l'uomo (ancor più) fedifrago.

Il giocattolino di Zuckerberg non ha però soltanto aspetti critici. Ha velocizzato la comunicazione, aiutato (si spera) i più timidi e permesso che le notizie - anzitutto quelle più boicottate dai media tradizionali - fossero veicolate e "condivise". Ormai l'informazione canonica, più che raccontare i social network, li succhia e spolpa, riducendosi a commentarli e a succhiarne la ruota in un eterno cicaleccio autoriferito.

Se ieri Iannacci cantava "L'ha detto il telegiornale", usando tale strofa di Quelli che per rimarcare la tendenza a reputare insindacabile il verbo catodico, oggi è l'era del "L'ha detto Facebook". Come se fosse una persona, e non una babele incasinatissima di input opposti tra loro. Nel migliore dei casi, Facebook è agorà di pensiero e scorciatoia vivida per socializzare. Nel peggiore, null'altro che uno sfogatoio a uso e consumo di fake, troll e "amici" che stanno lì tutto il giorno perché di amici veri non ne hanno mai avuto mezzo. C'è chi con Facebook ha costruito fortune, ora economiche e ora politiche.

C'È CHI ha pensato al suicidio quando ha appreso di avere meno fan di Antonio Polito. C'è chi ha rotto un rapporto quando ha scoperto che la partner era iscritta al gruppo "Amici di Maria De Filippi". C'è chi "io su Facebook non ci andrò mai", e poi adesso sta sempre lì, come l'intellettuale del secondo episodio di Caro Diario folgorato dalle telenovele. E c'è chi, su Facebook, non c'è mai andato sul serio. E vive bene lo stesso. Anzi, forse meglio.

 

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