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“SIAMO STATI ACCUSATI SULLA CONVINZIONE CHE GLI UOMINI NON POTESSERO SUBIRE ABUSI SESSUALI” - ERIK MENENDEZ, UNO DEI DUE FRATELLI ACCUSATI DI AVER AMMAZZATO IL PADRE CHE LI STUPRAVA NEL SILENZIO DELLA MADRE, SI SCAGLIA CONTRO RYAN MURPHY PER LA SERIE “MONSTERS: LA STORIA DI LYLE ED ERIK MENENDEZ” IN CUI VIENE MOSTRATO IL RAPPORTO INCESTUOSO TRA I DUE: “È STATO IMPRECISO E DISONESTO. LA SUA NARRAZIONE COMPROMETTE ANNI DI LOTTA PER FAR EMERGERE LA VERITÀ SUGLI ABUSI INFANTILI” – MA IL REGISTA SI DIFENDE: “AVEVAMO L’OBBLIGO DI PROVARE ANCHE A…” - VIDEO

 

Estratto dell’articolo di Stefania Ulivi per il "Corriere della Sera"

 

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Sembravano la famiglia felice i Menéndez. Il padre José, versione cubana del self made man , emigrato dall’Avana ancora ragazzo, quindi imprenditore di successo fino alla consacrazione, direttore di produzione a Hollywood con villone a Beverly Hills. La moglie Mary Louise Kitty Andersen conosciuta quando erano studenti alla Southern Illinois University. I due figli maschi, Lyle e Erik, classe 1968 e 1970, educati per essere dei vincenti.

lyle ed erik menendez 3

 

Quando la sera del 20 agosto 1989 i genitori vengono trovati brutalmente uccisi a colpi di fucile nel salotto di casa nessuno sospetta dei ragazzi. Avevano anche un alibi: erano al cinema a vedere Batman di Tim Burton poi in un locale di lusso. Sette anni dopo saranno condannati all’ergastolo per il duplice omicidio. E ora che su Netflix è arrivata la serie che li racconta, Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez creata da Ryan Murphy e Ian Brennan, il caso è tornato di attualità.

 

lyle ED erik menendez NELLA FIGURINA DI MARK JACKSON

A accendere la miccia delle polemiche è stato il più piccolo dei due, Erik, rinchiuso dal 2019 nello stesso carcere del fratello. Attraverso una dichiarazione sugli account social della moglie Tammi, ha accusato gli autori della serie — con Javier Bardem e Chloë Sevigny nei panni dei coniugi e Nicholas Alexander Chavez e Cooper Koch in quelli dei figli — di diffondere falsità e stereotipi.

 

«Credo che Ryan Murphy non possa essere così naïf e impreciso riguardo ai fatti della nostra vita da farlo senza cattive intenzioni». Un ritratto «disonesto», sostiene, «delle tragedie che circondano il nostro crimine che fa fare molti passi indietro rispetto alle dolorose verità, fino a un’epoca in cui l’accusa costruiva una narrazione basata sulla convinzione che gli uomini non subivano abusi sessuali. E che compromette anni di lotta per far emergere la verità sugli abusi infantili».

 

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È questa la linea difensiva alla base della recente richiesta di revisione del caso, presentata dai due fratelli: gli abusi psicologici ma anche fisici, emotivi e sessuali subiti dal padre con il silenzioso benestare della madre.

Ryan Murphy, autore di serie di grande successo ( Nip/Tuck, Glee ) nonché pioniere del filone true crime con American crime story , difende la sua opera.

 

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«Quello che fa lo show è presentare i punti di vista e le teorie di tutte le persone coinvolte nel caso», sottolineando come nelle nove puntate sia stato dato ampio spazio alla questione degli abusi. «Ci sono quattro persone coinvolte. Due di loro sono morte. Come narratori avevamo l’obbligo di provare anche a inserire anche la prospettiva dei genitori».

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