1. ESSÌ, DOPO 13 ANNI DI MASCALZONATE DAGOSPIA È FINITO IN UN SAGGIO FILOSOFICO! 2. ‘'GOSSIP. DALLA MESOPOTAMIA A DAGOSPIA'' È IL TITOLO DEL LIBRO SCRITTO DAL FILOSOFO PAOLO PEDOTE E SVELA QUAL È IL VALORE DEL PETTEGOLEZZO PER LA CIVILTÀ UMANA E SUBUMANA E L’ULTIMO CAPITOLO È DEDICATO ALLA “FILOSOFIA CAFONAL” 3. “DAGOSPIA REINVENTA IL CONCETTO STESSO DI NOTIZIA, PARTENDO DAL PRESUPPOSTO CHE “LA VERITÀ È UN PUNTO DI VISTA” E TRASFORMANDO CHIUNQUE PER QUELLO CHE È: PERSONAGGIO DELLA VITA DI TUTTI I GIORNI CHE PASSA COME QUALUNQUE MORTALE SULLA TERRA NELLA SUA PIÙ SPIETATA VELOCITÀ, OLTRE CHE VOLGARITÀ. QUESTO FA DEL SITO UN LUOGO METAFISICO DELL’ANTIPOTERE, CHE NON SI PUÒ NEGARE QUESTO GIOCO DELLA E SULLA VERITÀ, CHE È L’ESSENZA DELLA COMUNICAZIONE STESSA”

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Tratto dal saggio di Paolo Pedote: ‘'Gossip. Dalla Mesopotamia a Dagospia'' (Odoya)

LA FILOSOFIA CAFONAL
Il primo a capire che il mercato del gossip si era del tutto inflazionato, che l'intero settore aveva fatto la sua storia (da archiviare con i suoi reperti archeologici) e che un pubblico sempre più vampiresco andava nutrito, giorno dopo giorno, con una nuova form(ul)a di plasma comunicativo è stato, senz'ombra di dubbio, Roberto D'Agostino.
Più che un giornalista, D'Agostino, classe 1948, come lui stesso ironizza, preferisce definirsi un "cassonetto":

"La monnezza è la cosa che mi si addice, [...] nel senso che io sono un infame, ovviamente nel senso di Califano. Uno che fa la spia in carcere è un infame, quindi va a raccontare gli affari degli altri. Ovviamente tutto questo ha un solo colpevole: coloro che hanno eliminato un istituto fondamentale di un paese come l'Italia, la portineria. Una volta noi uscivamo da casa e c'era il portiere e ci raccontava: «Quello non ha pagato la cambiale, quell'altro ci mette le corna, quello... lasciamo perdere!, quell'altro è gay, quell'altro...». C'era il portiere [...] che poi uno raccoglieva e diffondeva nella piazza. L'unica definizione che io do del mio sito: una "portineria elettronica". Perché poi in fondo, che cos'è? Non stiamo facendo i dieci comandamenti..."

Guru del kitsch totale, pifferaio magico di un circo tele-radio-attivo e tele-radio-guidato, D'Agostino è l'inventore del sito Dagospia. Attivo dal maggio 2000, da un punto di vista giornalistico Dagospia si potrebbe definire, prima ancore che una pubblicazione di gossip - concetto che a suo modo, come vedremo, è alquanto riduttivo -, un web magazine di satira.

La cronaca rosa di cui si occupa appartiene certo a quel settore dell'informazione definito "confidenziale" (ovvero, dei fatti degli altri), ma le persone prese di mira sono quasi esclusivamente appartenenti al bel mondo della politica e dell'economia. I personaggi dello spettacolo, della cultura e dello sport, con le loro storielle sciape di droga e accoppiamenti, non sono quasi mai i veri protagonisti, ma solo il corollario di un intero zoo mediatico che, come abbiamo visto, appartiene ormai in larga misura ai potenti.

Non a caso, l'impostazione grafica ricorda molto quella del news aggregator americano Drudge Report, già citato nelle pagine dedicate al Sexgate di Clinton. Infatti, se Roberto D'Agostino è una specie di Svetonio dei nostri tempi, come vedremo Dagospia è invece «l'immagine di un Fellini in overdose» che utilizza un linguaggio e uno stile chiassoso, certamente scandalistico, shakerato quanto basta con volgarità tutto sommato mainstream e notizie di una certa consistenza da agenzia stampa, che assicurano il "colpo grosso", con l'unico scopo di far breccia nella curiosità intestinale degli internauti.

E non c'è dubbio che l'obiettivo sia stato raggiunto: in breve tempo Dagospia è diventato uno dei siti più popolari d'Italia, il cui traffico vanta lo stesso flusso giornaliero delle più autorevoli testate giornalistiche nazionali e internazionali.

Ma per quanto senza volerlo faccia informazione, come spesso dimentica di fare il giornalismo tradizionale, Roberto D'Agostino reinventa il concetto stesso di notizia, partendo dal presupposto che la parola "verità", secondo lui, dovrebbe essere bandita dal dizionario della comunicazione.

‘'La verità? La verità è un punto di vista! Noi oggi consideriamo verità la storia di Tacito, ma Tacito ai suoi tempi era un cronista, uno che scriveva quello che vedeva, ma c'è sempre Rashōmon. Cioè vale a dire: ognuno di noi vede un delitto e racconta la sua trama, che è diversa l'una dall'altra.''

Da un lato dunque Tacito, con tutti i grandi autori classici citati nel corso dei capitoli, dall'altro la sintesi di D'Agostino, che scaturisce da questa metafora cinematografica e che ne diventa anche la parabola perfetta per chiudere il cerchio sulla funzione del gossip.

Rashōmon è film diretto da Akira Kurosawa del 1950. Siamo a Kyōto, nel periodo Heian (794-1185). In una giornata di pioggia incessante, un boscaiolo, un monaco e un passante s'interrogano su l'assassinio di un samurai e lo stupro di sua moglie per mano del bandito Tajōmaru. Mentre si susseguono le dichiarazioni dei protagonisti, davanti a un tribunale, la verità anziché emergere sembra allontanarsi. Le versioni sono contrastanti: le prime tre, raccontate dal monaco che aveva deposto al processo come testimone, vengono definite false dal boscaiolo che fornisce un'altra versione. Neanche la sua versione è però attendibile.

Il punto di arrivo, nebuloso, costringe a riformulare il concetto stesso di verità, per ricollegarci alla questione filosofico sul pettegolezzo come doxa popolare, ma anche per spiegare in che modo si è trasformata la comunicazione informale in questi ultimi quindici anni. E qual è lo scarto definitivo rispetto ai millenni che ci hanno preceduto.

Innanzitutto, è necessario ripetere che il pettegolezzo, indipendentemente dalla sua declinazione, non ha mai attraversato il confine del vero e del falso. Semmai ne ha costituita l'essenza. Il suo spazio concerne sempre e solo esclusivamente l'interpretazione, come unico modo di abitare il mondo. Ciò, però, vale per ogni aspetto della verità. Rashōmon racconta proprio questo: se ci sono quattro, cinque o sei testimoni di un delitto, avremo tante visioni diverse quante sono le versioni, ovvero i testimoni stessi, tra loro sempre contrastanti. Chi crede di poter dare la versione definitiva, ultima e assoluta, vi sta solo ingannando.
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Per questa ragione, secondo lo storico Giordano Bruno Guerri, Roberto D'Agostino fa solo finta di produrre spazzatura. La sua è una vera e propria messa in scena, l'ennesima della verità, per fare giornalismo puro. Anzi, il suo è proprio giornalismo di ricerca e di denuncia, e per di più giornalismo che riesce a trasformare il gossip in un'altra ed ennesima storia.
Ribadisce D'Agostino:

‘'Il giornalismo d'inchiesta d'altro canto a cosa serve? A fare il cane da guardia del potere, a controllare chi ne combina di cotte e di crude, di scoperchiare gli altarini. Il problema si presenta dunque quando i mezzi d'informazione diventano di proprietà degli stessi che gestiscono il potere.''
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Secondo D'Agostino, però, alcuni anni fa è accaduto qualcosa che non era stato previsto dal potere: la nascita di quel mezzo rivoluzionario che è internet. È questo il vero responsabile del cambiamento che abbiamo vissuto e che ancora deve distruggere il resto del sistema.

‘'Un computerino, un ditino che spinge un bottone, la possibilità di mandare in rete altre storie. Solo per far capire oggi qual è il potere di questo mezzo del diavolo... lo vedete in questi giorni quando avvengono dei moti e delle rivolte popolari nel Medio Oriente, nel Nord Africa. Ebbene, una volta tutti sarebbero corsi a difendere o a occupare la sede televisiva, oggi la prima cosa che fanno, qual è? Spegnere internet. Perché è lì che viaggia la notizia.''

Multimedialità e linguaggi sovrapposti: il cerchio si sta chiudendo.
Inoltre, per D'Agostino la televisione - quella «che doveva rincoglionire tutti noi», quella che censurava Mina e la Carrà, che ha messo all'indice parole come "piede" o "fallo", o una bestemmia - è di fatto morta, vecchia sia nello stile che nei contenuti. La parola proibita, scandalosa una volta pronunciata è già in rete, scappata e trasformata nelle mille storie narrate su internet, in tempo reale, totale e globale.

Una velocità di cui si è impossessato anche il gossip. Una notizia, infatti, non è più frivola o austero, vera o falsa, lecita o illecita. La sua essenza sta nel fatto che in pochissimi secondi può raggiungere l'intero World Wide Web, ovvero l'intero pianeta.
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Il gossip di Dagospia si trova perfettamente a suo agio tra queste notizie e in quest'humus impalpabile e velocissimo che è la rete. Un gossip totalizzante. D'Agostino assolve solo il compito di costruire il racconto, la narrazione che sta alla base del gossip.

‘'Luca ha scopato chiara. Che cosa vuol dire? Niente. Tu devi fare la storia, devi raccontare i personaggi, l'intreccio. Il racconto, la conversazione nasce da una storia [...]. Proust era il più grande portinaio, era un pettegolo che raccontava tutti gli affari della borghesia e dell'aristocrazia francese e parigina. Quindi, noi cosa dobbiamo fare? Dobbiamo saper raccontare i cazzi degli altri."

Per questa ragione non si sofferma mai troppo su soubrettine e veline, calciatori e divi di passaggio, ma preferisce narrare le figure dei poteri medi e forti, riducendoli a esseri umani più che triviali, esattamente come fecero Giovenale, Diogene, Liutprando, Dante, Boccaccio, Aretino, Machiavelli e tutti gli altri. Trasformando chiunque per quello che è: personaggio della vita di tutti i giorni che passa come qualunque mortale sulla terra nella sua più spietata velocità, oltre che volgarità. Questo fa di Dagospia e dei suoi animatori un luogo metafisico dell'antipotere, che non si può negare questo gioco della e sulla verità, che è l'essenza della comunicazione stessa.

Un modello perfetto, dunque, per descrivere l'informazione oggi. Dagospia è una forma di grooming filosofico: spulcia il vicino, come fanno tra di loro le scimmie, tra le miserie del potere e quelle umane. Così, le grandi testate giornaliste, le firme eccelse della stampa leggono e si nutrono anch'esse di Dagospia, disvelando l'unica verità: che il mondo in fondo è fatto solo di delatori.
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Dagospia diventa un modello perfetto dell'informazione d'oggi, di una "gossippologia" totalizzante. Il meccanismo, infatti, vale per tutte le testate giornalistiche e per tutti i siti come YouTube. Niente più Fellini, Flaiano o Pasolini. Niente più critica, in senso hegeliano. Ci sono solo i protagonisti di un potere che si alimenta attraverso l'arroganza dell'esserci a tutti i costi, tra "burini patinati" e cortigiani cocainomani. Oggi il potere per esistere si deve sbattere in faccia, a suon di volgarità. Ergo, niente più foto scandalistiche: quelle non servono più, se non in rari casi, appunto per volgari estorsori che diventano quasi ridicole come ladri di polli rispetto allo show della morte dell'Impero.

‘'I vip di oggi - ricorda Carlo Freccero - sono uomini qualsiasi miracolati dalla telecamera. Il termine "esclusivo" non ha più un significato positivo. Oggi il successo coincide con la visibilità, con la convergenza degli obiettivi su di noi.
Il gossip nasce come necessità di svelare il segreto dei potenti, di violare la loro riservatezza. Ma ben presto si affranca dall'identità del soggetto indagato. Non è il vip ad attrarre il gossip. È il gossip che costruisce il vip. È la cinepresa che costruisce la star. Così anche il politico, per conservare visibilità, accetta la violazione della privacy."

Il gossip è la cornice di un fermo/vuoto immagine che caratterizza la nostra contemporaneità. Basti pensare alle campagne elettorali attuali, durante le quali i programmi non sono nient'altro che una postilla inutile. Quello che conta è apparire in performance da Guinness dei primati, in location da X-Factor, in filmati da romanzo rosa. Il gossip è la prima come l'ultima passerella dell'Occidente: ogni scoop e ogni altra forma d'invenzione e "deiezione mediatica" non ne sono alla sua altezza.

 

 

DAGO Gossip. Dalla Mesopotamia a DagospiaMatt Drudge1 berlusconi bandana drudgeMONICA LEWINSKI E BILL CLINTONGIORDANO BRUNO GUERRI Lapo e Roberto Dagostino Mina e Raffaella Carra GIULIO ANDREOTTI E FELLINI jpegbenigni felliniENNIO FLAIANO Pasoliniprimarie pd