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Dal pc allo smartphone, dal web alle applicazioni, dai motori di ricerca ai social network. E ora dalla parole alle immagini. Meglio: dalla parole ai volti. La nuova frontiera della tecnologia, una di quelle che potrebbe rivelarsi fra le più remunerative, ha a che fare con le nostre espressioni. Perché se oggi cerchiamo contenuti online attraverso nomi, frasi e vocaboli, domani lo faremo attraverso elementi visivi. E per un semplice motivo: il web sarà fatto soprattutto di video, dunque avremo bisogno di strumenti completamente diversi per continuare a usarlo. Tutto sta nel capire chi riuscirà a metterli appunto, diventando il Google prossimo venturo.
«Sul mercato, già ora, ci sono diverse tecnologie per l'individuazione dei volti e di altri elementi presenti in un filmato o in una foto», spiega Matteo Sorci, trentottenne emigrato in Svizzera nel 2000 dove ha fondato un'azienda all'avanguardia, la nViso, che lavora proprio sul riconoscimento facciale. «Possono dirci se in un'immagine c'è una persona, ma non ancora quale espressione ha. Sanno isolarle dal resto, eppure non le distinguono fra loro. Che è invece quello su cui stanno lavorando tutti».
Ma andiamo per gradi, anzi per sintomi: entro il 2016, sostiene la Cisco System, il traffico della Rete sarà per il 78 per cento da e verso dispositivi mobili e per il 70,5 per cento si tratterà di video. Questo significa, stando a un'altra indagine della Ericsson, un flusso di quindici volte superiore rispetto a quello attuale.
Fra gli oltre sei miliardi di schede telefoniche in circolazione, l'87 per cento della popolazione mondiale ormai ne ha una, più di un miliardo sono state inserire in uno smartphone che permette di navigare e guardare video, ovviamente, ma anche di produrre migliaia di foto e ore di film in alta risoluzione. Già oggi, analizzando il traffico dati nel corso di una settimana, i filmati occupano la maggior parte della banda.
Dalle riprese fatte con i telefonini ai servizi dei network televisivi, dai filmati delle telecamere a circuito chiuso ai cortometraggi. Senza dimenticare le fotografie. Solo Facebook ne contiene fra i 100 e i 140 miliardi e di queste 45 miliardi le hanno pubblicate lo scorso anno. à una pluralità di fonti prive di una gerarchia dove è facile perdersi. Di qui le soluzioni, per ora parziali e circoscritte. La Lumix Fx40 della Panasonic ad esempio, uscita nel 2009, è stata la prima macchina fotografica a riconoscere le persone per poter pubblicare sui social network l'immagine già legata a un nome.
Mentre con le ultime versioni di iPhoto della Apple, si possono fare ricerche nel proprio archivio di scatti partendo da un unico volto. Queste tecnologie adesso stanno migrando sugli smartphone, anche attraverso applicazioni come Klik di Face.com, l'azienda acquistata a giugno da Facebook per consentire ai suoi utenti di rintracciare le persone mettendo a confronto delle immagini.
Ma è solo la punta dell'iceberg. Google, dopo l'acquisto della Pittsburgh Pattern Recognition nel 2011, pochi giorni fa ha tentato di riprodurre il sistema neurale umano con un network di circa mille computer connessi fra loro. Poi gli ha dato in pasto centinaia di migliaia di sequenze di YouTube per vedere se era in grado di riconoscere da solo elementi ricorrenti come facce, gatti, automobili. In pratica l'autoapprendimento di una macchina diffusa è stato messo alla prova, guarda caso, attraverso dei video.
«Fino a ieri», prosegue Matteo Sorci, «le tecnologie migliori funzionavano bene solo in laboratorio. Oggi invece abbiamo un algoritmo che può analizzare le espressioni attraverso 188 punti differenti in corrispondenza dei muscoli sottili del volto ripreso da una semplice webcam e in condizioni visive non ottimali. E riusciamo a farlo usando una scheda grafica della nVidia di medio livello da duecento euro circa». L'intero sistema si basa sulle teorie di Paul Ekman, psicologo americano e pioniere nella catalogazione e nell'interpretazione delle espressioni. Le stesse usate nel serial Lie to me della Fox del 2009.
Da qui Sorci e compagni sono partiti costruendo uno strumento tanto raffinato da analizzare il contenuto di dodici video contemporaneamente pescando i volti di chi vi compare e distinguendo le loro espressioni dunque la loro unicità . Gli impieghi possibili sono straordinari e spaventosi a un tempo. E fra questi il settore della sicurezza, dall'utilizzo negli aeroporti ai database della polizia, è di gran lunga il meno importante. Perché è un mercato saturo e con un giro di affari relativamente basso. I soldi veri verranno dai motori di ricerca e dalla medicina, dove il riconoscimento facciale può esser impiegato nella diagnosi e nella cura delle malattie mentali.
Ma soprattutto dalla pubblicità e dal marketing. O meglio: dal "neuromarketing". Per sapere quale campagna promozionale è più adatta a un determinato prodotto o servizio, prima si ricorreva ai cosiddetti "focus group". Gruppi di persone che provavano l'oggetto sotto la supervisione di un sociologo o di uno psicologo. Ora le campagne sono globali e i focus group stanno diventando obsoleti. Verranno sostituiti da collegamenti singoli a migliaia di soggetti via Rete, sfruttando gli algoritmi come quelli della nViso e una webcam.
L'analisi è omogenea e si registrano con esattezza le reazioni al prodotto. L'elaborazione avviene tutta nel cloud, senza dover istallare nulla sul pc delle persone esaminate. Non è fantascienza. Alcune note multinazionali stanno sfruttando questi sistemi studiando le emozioni di bambini sotto i tre anni per la promozione di alimenti. Straordinario e spaventoso, come dicevamo prima.
Il prossimo passo? Non si tratterà più di trovare la foto o la sequenza. Ma tutte le immagini in cui un nostro parente è corrucciato o i film dove quella star hollywoodiana ha pianto. E chissà cosa accadrà quando strumenti simili verranno applicati ai social network.
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