DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
1.FAZIO CELEBRA LA LIBERAZIONE E TRASFORMA LA RETORICA IN RACCONTO
Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”
La tv italiana non è mai stata molto capace di fare celebrazioni. Per una volta, fa piacere segnalare un’eccezione. «Viva il 25 aprile!», il programma trasmesso sabato sera su Rai1 per onorare i 70 anni dalla Liberazione, ha trasformato la piazza del Quirinale nel cuore ideale del suo racconto. Sono state raccontate storie di partigiani e di alleati, alcune molto conosciute, altre dimenticate, attraverso le testimonianze di narratori, collegati in tutta Italia dai luoghi più simbolici di quel periodo.
Ne è venuta fuori una serata emozionante, ma soprattutto capace di parlare a tutti, alla ricerca di uno spirito unitario. Fabio Fazio era la persona giusta per realizzarla. Bisogna dare il merito a lui e alla squadra degli autori che hanno lavorato al programma (il rinnovamento fa bene, par di capire). Certo, il format è sempre quello di «Che tempo che fa», a intervenire c’era il solito gruppo di «amici», ma questa volta si capiva che il clima era diverso, più sentito.
La serata ha avuto momenti più o meno riusciti, ma complessivamente tutto teneva: c’erano idee, un buon ritmo che ha tenuto a bada la noia, un giusto connubio tra solennità della ricorrenza ed eleganza della confezione. Tra le cose migliori: il racconto di Christian De Sica sul finto film messo in piedi dal padre Vittorio per salvare molti ebrei dalla deportazione, il collegamento con Pif da Gela, il commovente intervento di Marco Paolini da Sant’Anna di Stazzema.
Non si può chiedere a un’occasione del genere di rinunciare alla retorica: la cosa importante è trasformarla in racconto, in una good story. Fa piacere anche segnalare l’investimento di Rai1, della Rai in generale, su un’occasione come questa: riservare al programma la prima serata del sabato, senza interruzioni pubblicitarie (di fronte alla concorrenza di una corazzata come «Amici»!), garantire uno standard di produzione elevato, non usare il Servizio pubblico come alibi dei fallimenti.
2.SE UNO SHOW DA SAGRA DI PAESE DIVENTA UN ATTO DI ANTIFASCISMO
Vittorio Feltri per “il Giornale”
Il nostro eccellente Maurizio Caverzan ha già raccontato con parole misericordiose la serata televisiva di Rai 1 dedicata sabato al 70º anniversario della Liberazione. Un programma celebrativo condotto col solito garbo sacerdotale da Fabio Fazio che, invecchiando, è diventato disinvolto come un vescovo, e non ha alcuna difficoltà a conferire ai suoi discorsi banali un tono di solennità.
Nella circostanza egli ha convocato, secondo le proprie abitudini, gli amici della parrocchietta ovvero coloro che tengono banco nella nota e fortunata trasmissione intitolata Che tempo che fa, allo scopo di impartire al pubblico lezioni di correttezza politica, specialità della sinistra alla camomilla.
La parte del leone sdentato, somigliante a un gatto sazio di gloria e di pappa, stavolta è toccata a Roberto Saviano, autore di Gomorra (best seller di rara potenza), il quale ha acquisito una tale dimestichezza nel ruolo di tuttologo da essere in grado di dire la sua sull'intero scibile di largo consumo. Egli ha perfino spiegato - chissà perché proprio lui - i fatti di Montecassino.
E lo ha fatto con la stessa elevazione mille volte sperimentata allorché incaricato di discettare in materia di camorra e affini. Uno spettacolo così noioso da indurci a pensare che, qualora Saviano dovesse - e non glielo auguriamo - passare di moda come intrattenitore pseudoculturale, avrebbe comunque un avvenire in sala operatoria ospedaliera in qualità di anestesista. Il suo eloquio monocorde provoca in chi lo ascolta torpore e di seguito un sonno profondo.
Saviano, alle prese con la ricostruzione romanzata dell'impresa polacca all'abbazia, ha superato se stesso: ci ha mandato in letargo. Dal quale ci siamo risvegliati quando lo scrittore era ormai sparito dalla scena. Peccato che i personaggi andati in onda dopo di lui non abbiano fatto granché per darci una scossa capace di riportarci allo stato di veglia.
L'intervento di Sergio Mattarella, pacato e scontato, ci ha stroncato completamente. Il concetto più pregnante espresso dal presidente della Repubblica è stato: «Viva l'Italia!». Come l'Italia possa tornare in vita se guidata da questa gente, rimane un enigma.
In una serata così tediosa non potevano mancare alcuni cantanti: gira e rigira Rai 1 ripropone il modello Sanremo e variazioni sulla stessa falsariga, più falsa che riga. L'anno prossimo la ricorrenza del 25 aprile meriterebbe un titolo maggiormente appropriato: Festival della Liberazione. Il colmo della prosaicità è stato sfiorato nel momento in cui hanno chiamato Ligabue a fornire una prova della propria arte ossia a interpretare una sua canzone, naturalmente uguale a quelle che egli ha composto negli ultimi dieci anni: una lagna da sagra rionale.
Ecco, questa è la sintesi bonaria del capolavoro realizzato da Fabio Fazio per esaltare le eroiche gesta dei resistenti. I quali, se avessero saputo in che mani sarebbero precipitati nelle commemorazioni, forse avrebbero preferito andare al mare anziché in montagna. In effetti meritavano qualcosa di meglio delle prediche lievi e trite pronunciate dai compagni celebranti.
I telespettatori, poveracci, hanno in pratica assistito a una puntata complementare di Che tempo che fa. Unica novità, al posto della smutandata Littizzetto, è stato introdotto un fiume di retorica antifascista, irritante almeno quanto quella fascista. Forse aveva ragione Ennio Flaiano: i fascisti si dividono in due categorie, i fascisti e gli antifascisti.
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