“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
Vittorio Feltri per Libero Quotidiano
Una confessione involontariamente un po’ blasfema, di cui mi scuso coi ferventi cattolici. A me il Natale non piace perché commemora la nascita di un grande uomo morto quasi duemila anni fa, quindi lo conosciamo per sentito dire. Ma non è con lui che ce l’ho, ci mancherebbe. Prima lo crocefiggono senza un vero perché, e si tratta di una atroce tortura, poi lo festeggiano. Un minimo di coerenza sarebbe gradita. Il problema è che il Natale non serve a ricordare Gesù (che meriterebbe una riflessione).
Cosa c’entrano i cenoni della vigilia, con relative abboffate di cibo, col sacrificio di un martire che si dice addirittura essere stato figlio di Dio? Non capisco la relazione tra un tragico decesso col consumo smodato di panettoni e bottiglie di spumante. Sarò scemo ma me ne sfugge il senso. Anche a casa mia, che non è un tempio pieni di intelligentoni, ad eccezione di me, il Natale è vissuto come l’occasione per radunare in sala da pranzo un numero elevato di parenti (sinonimo di rompicoglioni) che spazzolano quantità enormi di cibo, tra chiacchiere insensate e tediose.
Personalmente durante la cena non riesco a dire una parola per il semplice fatto che la stanza è resa rumorosa a causa delle discussioni senza soluzione di continuità dei presenti. Meglio così. Risparmio il fiato. A una certa ora non potendone più del frastuono, me ne vado in camera mia, al piano superiore, dove però l’eco delle ciance giunge imperioso impedendomi di chiudere occhio. Prendo una pastiglia che mi rimbambisce, come non fossi già abbastanza intontito di mio, e finalmente mi addormento incazzato nero. L’indomani mattina, dopo regolamentare doccia, scendo per fare colazione e vedo la tavola disseminata di avanzi del pasto e di vettovaglie sozze.
Vorrei togliermi dai piedi e andare a lavorare per trovare un minimo di ordine, ma ricordo che a Natale e il giorno dopo non escono i giornali, e di conseguenza anche Libero è chiuso. Che esco a fare? Le edicole hanno abbassato le saracinesche, idem quasi tutti i negozi e pure i bar che sono il refugium peccatorum. Devo rassegnarmi a leggere i giornali del giorno prima che già li ho imparati a memoria.
Non ho di meglio da fare che recarmi in salotto e sprofondarmi in poltrona a fissare il soffitto arricchito da mille crepe provocate dal tempo. Non mi rimane che avviare il televisore, che rimarrà acceso tutto il giorno benché le trasmissioni siano una più cretina dell’altra. I film che vanno in onda hanno almeno mezzo secolo di anzianità e li hai visti mille volte, da “Via col vento” al “Gattopardo” più durevole di una penosa agonia. Stendiamo un velo pietoso sui notiziari, fotocopie l’uno dell’altro e noiosi come rosari della nonna.
Poi a scassare l’anima definitivamente il piccolo schermo offre programmi di cucina, dove due o tre deficienti ti insegnano a fare la frittata come se tu non l’avessi mai mangiata. Non bastasse ciò a renderti nervoso, le varie emittenti attaccano con salotti, ospiti cantanti sull’orlo della pensione che ripropongono brani che avevano già stufato all’epoca di Nilla Pizzi. Meno male che il Natale dura un giorno solo, come le farfalle che alle sei di sera ne hanno già piene le palle. Meglio comunque il 2 novembre, più vario.
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