VROOM! A SCUOLA DI ‘BLACK JACK’ - ‘SONO LA NURSE DELLA MIA MACCHINA NE CONOSCO I LIMITI, E NON LI OLTREPASSO’: LA FORMULA MAGICA DI SIR JACK BRABHAM, L’UNICO PILOTA A VINCERE CON UNA MONOPOSTO FATTA DA LUI - IL RIVALE HILL: ‘LO ODIAVAMO, GLI INTERESSAVA SOLO VINCERE’

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Emanuela Audisio per ‘La Repubblica'

Dopo Nuvolari, prima di Senna. Quando la F1 non era ancora un circo, ma una palestra di motori, e i Beatles quattro amici al bar. Quando il figlio di un droghiere australiano poteva ancora passare dal fare le consegne con il camioncino a tagliare il traguardo in pista. Quando al potere non ci andava solo la fantasia, ma anche il saper fare, la manualità, quando i sogni te li costruivi da solo, con il grasso dell'olio, a forza di gomiti, prendendo a sportellate chi voleva scipparti il successo.

L'arte di arrangiarsi, era veramente dura, sentivi il vento, non c'erano ancora i caschi integrali e nelle orecchie rimbombava il tuono dei motori pionieri. Un'epoca difficile e meravigliosa, che se ne va con Jack Brabham, morto a 88 anni, a casa sua, di infarto. Brabham è stato molto: tre volte campione del mondo ('59, ‘60, '66), ma l'unico a vincere con una monoposto fatta da lui. Pilota, collaudatore, costruttore. «Made by myself». Forse per questo non sfasciava le macchine, sapeva cosa c'era dietro, e anche dentro. E come farle andare veloce in curva.

Aveva fatto pratica a 12 anni, sulle strade sgarrupate fuori Sydney, con il camion di papà portava le merci a domicilio, anche se non aveva ancora la patente. Tre anni nella Royal Australia Air Force avevano rafforzato la sua passione per il volo e per la velocità. Lo chiamavano Black Jack, per i capelli scuri, per la ruvidezza e la diffidenza. Parlava poco, anzi niente. Sembrava ostile. Si spiegava meglio con la frizione. Niente scuola, la sua sensibilità era per cilindri e pistoni. E infatti nei primi tentativi spostò il motore da davanti a dietro. Un amico americano gli chiese se aveva voglia di fargli da meccanico per le corse. «È una vita che lo voglio».

E poi gli cedette la sua macchina: «Mia moglie non vuole che corra». Brabham si trasferì in Europa, esordì in Formula Uno, il suo slogan: «Sono la nurse della mia monoposto, ne conosco i limiti, e non li oltrepasso». Nel '59 su una Cooper Climax vinse a Monaco e fu premiato dalla principessa Grace. Ma per aggiudicarsi il mondiale dovette andare a piedi. Sul circuito in Florida la macchina si fermò senza benzina a dieci metri dal traguardo (si era rotta la pompa del carburante) e con gli altri che lo sorpassavano a 260 km orari, gli restava solo una scelta. Scendere e spingere. Arrivò quarto, e soprattutto esausto. Ma finalmente era campione del mondo.

La prima volta di un australiano e sarà anche il primo nel mondo dei motori a diventare Sir nel '79. Il rivale Phil Hill lo spiegò bene: «Lo odiavamo, non mollava mai, non socializzava, gli interessava solo vincere » Stirling Moss confermò: «Non guidava sporco, ma non te lo toglievi mai di dosso, nemmeno se lo superavi». Già, non gli piaceva essere oscurato. «Ho iniziato sulle salite sconnesse del mio paese, non sono certo un signorino che bada alla pulizia dello stile». Nel 60 per Jack un altro trionfo. Nel ‘61decide di fare tutto da solo in Australia: motore, progetto, guida. Più di Enzo Ferrari e senza essere ingegnere. E nel 1966 diventa il primo pilota a vincere con la "sua" macchina. La BT19. Si aggiudica anche il mondiale costruttori. Con il primo motore turbo aspirato che avrà vita lunga. Nel '79 quando la Lotus sembra imbattibile Gordon Murray dice a Niki Lauda che nulla va più veloce della Brabham BT46B, poi tolta di scena dal patto e compromesso tra Bernie Ecclestone che fino all'87 è alla testa della scuderia e il francese Jean-Marie Ballestre, autoritario presidente della Fisa.

Jack non c'è più, è uscito di scena nel '70, anche perché il suo amico e rivale Bruce McLaren è morto in un incidente sulla pista. «Ho perso più di 30 colleghi, mi ha fatto molto male perdere Bruce, a quei tempi le vetture erano fragili». Lo è anche lui, non riesce più a vedere bene, per un problema ai reni che si aggraverà e lo costringerà alla dialisi. Si ritira a 44 anni dopo 126 gran premi, 14 successi, 13 pole position».

La sua scuderia però gli sopravvive, Brabham significa anche i due mondiali vinti da Piquet (‘81 e ‘83) e tante altri mani sul volante, da Patrese a Reutemann. Un'eredità e un nome importante che cessa nel ‘92. Ora è cessato pure lui. Dopo due mogli e tre figli. Non se la tirava, non narrava mai di quei pazzi sulle quattroruote, che dovevano fare tutto da sé, senza sponsor e specialisti dell'elettronica. Viveva in Inghilterra e d'inverno svernava in Australia. Diceva che era inutile raccontare frottole: «L'unica cosa che conta è quando vedi sventolare la bandiera all'arrivo, il resto sono stupidaggini».

 

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