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Masolino D' Amico per “la Stampa”
Una volta domandai a Mario Monicelli quali fossero, degli attori che aveva diretto, i più bravi. Senza riflettere, rispose subito, Vittorio Gassman e Franca Valeri. Poi precisò, «ovviamente stiamo parlando di bravura tecnica. Quei due potevano fare qualunque cosa gli si chiedesse, a volte mi divertivo a inventare un percorso complicato, solo per vedere come se la cavavano».
La cosa mi è rimasta impressa perché non mi ero mai reso conto che la Franca fosse «anche», nel mestiere di attore, bravissima. L' immagine di lei è piuttosto quella di una attrice-scrittrice, creatrice di personaggi - una osservatrice diabolicamente penetrante e spiritosa nel cogliere debolezze, prosopopee, ipocrisie degli italiani, o meglio delle italiane, borghesi ma anche popolane, degli anni in bianco e nero.
Quasi un pendant femminile, radiofonico, teatrale, poi televisivo, di Alberto Sordi, rivelazione del periodo; e non per nulla nei vecchi meravigliosi film che non ci stanchiamo di recuperare (un titolo per tutti, Il vedovo di Dino Risi) lei è tra i pochissimi in grado di tenere testa a quell' incontenibile genio. Come dissero di Ginger Rogers? Faceva tutto quello che faceva Fred Astaire, ma camminando all' indietro e coi tacchi alti. In quel cinema Franca Valeri correva con l' handicap di non esservi prevista, solo le cosiddette maggiorate erano delle star. Bisognava scrivere parti apposta per lei. Chi lo fece non se ne pentì.
Penso al cinema perché è lì, e nelle teche dove si conservano tante mirabili apparizioni in tv, che la Franca continuerà a deliziare chi se la ricorda, nonché a incantare le nuove generazioni. Il suo teatro sopravvive in maniera diversa, meno vistosa, anche se nel teatro il suo talento si rivelò agli inizi insieme a quello dei complici, Vittorio Caprioli e Alberto Bonucci poi rimpiazzato da Luciano Salce: i cosiddetti Gobbi, che nel 1950 si esibirono a lungo addirittura a Parigi, al tempo delle piccole sale alternative che accanto a loro rivelarono Beckett e Ionesco.
Erano specializzati in brevi sketches senza costumi di scena, spesso parodie (La baia al nonno, sui riboboli toscani; o la lezione su come interpretare un testo russo, facendo capire al pubblico che fa un gran freddo). Li vidi allora, quando li ripresero nei primi Anni 50. Li ricordavo irresistibilmente divertenti e tali sono rimasti, qualche loro registrazione si vide di recente nella mostra che commemorava Salce. La chimica di quel terzetto era notevole, specie tra la Franca, milanese e intellettuale, e Caprioli, napoletano e istintivo; qualcosa ne sopravvive anche nelle pellicole - Leoni al sole, Parigi o cara - dirette da Caprioli .
Seguono molti episodi, anche un musical , Lina e il cavaliere, musiche di Fiorenzo Carpi (potrei cantarne ancora qualche motivo). Poi i grandi successi con le sue macchiette in una tv che diventava un po' più spregiudicata; tornò a recitare in teatro in propri testi; scrisse libri sempre brevi e arguti (mai annoiare! è un principio che pochi esibizionisti per mestiere coltivano); firmò anche parecchie regie di opera. Di lavorare non ha smesso mai. Ogni volta che apre bocca è perché ha qualcosa da dire, e lo stile per dirlo: con quella ironia che rimane il principale strumento di salvezza del secolo che la Franca ha percorso, e di cui, senza mai ignorarne la tragicità, ci aiuta a sorridere.
masolino e susi cecchi d'amico con flaianomasolino d amico foto di bacco
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