DAGOREPORT - COSA POTREBBE SUCCEDERE DOPO LA MOSSA DI ANDREA ORCEL CHE SI È MESSO IN TASCA IL 4,1%…
1 - CARLO FRECCERO: «LUI E MIKE LE COLONNE DI UNA STAGIONE RIVOLUZIONARIA»...
R. Fra. per il "Corriere della Sera"
«Dallas e Mike hanno fondato Canale 5. Larry Hagman e Mike Bongiorno sono le due facce più conosciute degli atti fondativi di Canale 5. La rete puntò su due punti fissi per fare il palinsesto: Dallas al martedì e Mike al giovedì». Carlo Freccero (65 anni), ora direttore di Rai4, nel 1981 era alla guida del palinsesto di Canale 5. Trasmesso da Rai1 che lo usava come tappabuchi, il telefilm fu strappato a Viale Mazzini che non ne capì le potenzialità rivoluzionarie.
«La figura di Gei Ar è rivoluzionaria perché per la prima volta il cattivo vince. Dallas stravolgeva i canoni della soap opera: nella soap i buoni sono martoriati, picchiati, hanno tutto il mondo contro ma alla fine vincono. Invece Gei Ar vinceva sempre, era lui a mangiare sempre le pedine. Con Dallas siamo in epoca materiale: c'è il petrolio e non ancora le azioni, siamo in ambiente agreste e non metropolitano. Dallas annunciava Arcore, la Brianza: la Brianza diventava il Texas».
La Rai non capì quell'intreccio di trama verticale (la narrazione che si chiude nell'episodio) e orizzontale (quella che scorre ed evolve da una puntata all'altra): «Dallas stava scardinando i palinsesti americani. Le serie poliziesche, punto forte della programmazione, dovettero iniziare a cambiare sceneggiatura e creare sotto-trame per legare i vari episodi.
Berlusconi strappò alla Rai la serie e io inventai lo slogan: "In diretta con l'America", anche se non era vero perché andava in onda con sei mesi di ritardo». Il sequel è stato un errore: «Roba da museo, la cosa più kitsch, stupida e disperata che si potesse fare: 1982-2012 è una metafora, non è più possibile Dallas, è finito un ciclo». Freccero, mai banale, cinico il giusto: «Mi dispiace molto che Larry Hagman sia morto, ma se n'era già andato poverino, non lo sapeva, ma se n'era già andato da un pezzo».
2 - ADDIO A J.R. DI DALLAS ICONA CINICA DEGLI ANNI '80...
Vittorio Zucconi per "la Repubblica"
Fu l'icona falsa di un'età vera, il tempo dell'ingordigia e del potere dei soldi, i «ruggenti anni '80». J.R., il malvagio da telefilm che tutti fingevano di detestare e tutti sognavano segretamente di essere, ha perduto l'attore che gli aveva dato volto e voce, Larry Hagman, ma nelle rovine di quell'epoca e negli effetti di quei miti, ancora dobbiamo vivere.
Sedeva sul trono del proprio immaginario ranch disperso nell'oceano della grande prateria texana, puzzolente di petrolio, di sterco, di dollari e di quel bourbon che Larry Hagman, scomparso a 81 anni, realmente scolava a ettolitri. John Ross Ewing, «J.R.», divenne, in 357 puntate viste da mezzo miliardo di spettatori in 90 nazioni in 67 lingue, il prototipo del milionario burino, sbruffone, amorale e insaziabile, un odioso zio Paperone con il cappello da cow boy e la smorfia arrogante.
Fu la riedizione in salsa appiccicosa da barbecue texano del signore feudale, al di sopra di ogni legge che non sia quella del danaro e del potere. Quando la Regina Madre lo incontrò a Londra nel 1980 e gli fece la domanda che legioni di spettatori si erano posta, «chi ha sparato a J.R.?», Larry Hagman, l'attore, le rispose tornando a immedesimarsi nel personaggio: «Non posso dirglielo. J.R. non deve rispondere neppure a una regina». Per la puntata nella quale fu rivelato il nome dell'attentatore, che era la sorella della moglie e naturalmente sua amante, il Parlamento turco sospese le sedute per permettere agli onorevoli di seguirla.
Nell'immenso catalogo cinematografico e televisivo di cattivi, o cattivoni, il Papi del ranch South Fork, il patriarca dei pozzi, ha occupato una nicchia speciale. Non era un mostro, ma un uomo normale, l'archetipo per un'epoca. In lui non c'era la violenza dei gangster alla Jim Cagney, né le allucinazioni megalomaniacali dei grotteschi nemici di Batman, ma qualcosa di molto più comprensibile, dunque di molto più pericoloso: la spregiudicatezza senza rimorsi della vanità e del denaro.
Il "culto di Dallas" lanciato nel 1978 ma esploso negli â80 quando sbarcò anche in Italia trionfalmente sulle reti Mediaset dopo un infelice passaggio sulla Rai, coincise con gli anni di Ronald Reagan, del "nuovo mattino in America" annunciato dopo la lunghissima notte degli anni â60 e â70. L'ideologia resuscitata sarebbe diventata il "greed is good", ingordigia è bello, finalmente dichiarato senza più pudore dal personaggio di Gordon Gekko in Wall Street del 1987. J.R., petroliere senza scrupoli, manipolatore insieme sinistro ma allegro di donne e di uomini sotto il perenne cappello da "cinque galloni", come lo si chiama in Texas, faceva il male che lo spirito del tempo aveva ridefinito come il bene: soldi e potere. E lo avrebbe fatto per i 14 anni.
Oggi sarebbe difficile immaginare un altro attore sotto quella vela bianca del capellone, davanti alla scrivania con ribaltino a forma di mucca pezzata che i visitatori del ranch (finto) ancora vanno a vedere. Eppure Larry Hagman era stato una scelta molto controversa alla rete Cbs. Il suo curriculum di attore, figlio d'arte ai piedi della mamma attrice in Peter Pan e The Sound of Music, non lasciava credere che si sarebbe potuto calare in maniera così perfetta nei panni di J.R. il petroliere.
Si rivelò invece, come il suo personaggio, un uomo "larger than life", più grande della vita qualunque. Aveva una strepitosa capacità di lavorare e di indulgere nei suoi vizi. Il suo breakfast era fatto da una tazza di cereali inzuppati nel bourbon, consumati prima di stappare la prima bottiglia di champagne, verso le 9 del mattino, la bibita frizzante che lo avrebbe accompagnato e rinfrescato per tutta la giornata. Tre pacchetti di sigarette erano la sua media quotidiana, prima di diventare, dopo un trapianto di fegato per cirrosi e tumore, un apostolo della sobrietà e della lotta antifumo.
Eppure non perse mai una sola ora di riprese e fu l'unico del cast ad apparire tutte le settimana, per 14 anni. Per "sopravvivere" alle rivoltellate della cognata, nel 1980, pretese 100 mila dollari a puntata, allora un record. A Malibu, in California, dove è morto, era divenuto famoso per i costumi teatrali nei quali si mostrava, compreso un completo da pollo e una tenuta arancione da monaco buddista, Hagman portava sempre con sé un ventilatorino a batterie da puntare in faccia a chi fumava o alitava alcol. Prima di morire, a 81 anni, i vicini lo avevano ribattezzato il "Monaco Pazzo".
Avrebbe fatto molto poco, dopo un tentativo disastroso di riesumare Dallas e dopo qualche particina in film come Nixon o Primary Colors. Ma Hagman avrebbe visto, nell'America e nel mondo che erano rimasti ipnotizzati dalla saga dell'ingordigia e dell'arricchimento, molti altri J.R. veri apparire e tentare di imitare, in politica, nella finanza, nell'industria, i suoi eccessi, i mostriciattoli veri e ridicoli come i Donald Trump, i tanti J.R. del petrolio russo post sovietico, i milionari e miliardari europei, esaltati, nella loro provincia, da questo "sogno texano".
Una famiglia di petrolieri texani come l'immaginario J.R., i Bush, avrebbe dato all'America ben due presidenti. Il più giovane dei due, George W., si sarebbe fatto costruire un ranch nel mezzo del nulla texano, per ricevere ospiti stranieri e far rivivere a loro, tutti sicuramente ex-consumatori di Dallas come era Berlusconi che laggiù andò a visitarlo, quel brivido di nostalgia. Il ranch di Bush era ad appena due ore di auto da quello di J.R., ma già lo ha venduto. Era, come quello del telefilm, soltanto un set inutile per uno show finito.
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