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Carlo Freccero per "Pocket"
Non sono abituato a parlare di persone, ma piuttosto di tendenze televisive, nuovi programmi, spostamenti di audience. Intendo dire che, anche se parlo di Grillo, di Berlusconi o di Maria De Filippi, voglio tentare, con i pochi strumenti a mia disposizione, di fare un discorso di carattere generale sul linguaggio televisivo o, per estensione, una specie di sociologia televisiva che si interroga sul fenomeno Grillo, Berlusconi, De Filippi, solo per le sue ricadute sociali. Non sono interessato al gossip, ma alle tendenze in atto.
Se oggi intervengo su Santoro, lo faccio solo perché una mia recente intervista è stata letta, erroneamente, come un attacco personale ad una persona a cui, oltre tutto, sono legato da un rapporto di amicizia e di stima. E ancora una volta devo constatare che questo equivoco è stato generato da una lettura personalistica di quella che voleva essere un'analisi generale della stagione televisiva.
La mia intervista è stata presentata più o meno con queste parole: "Freccero parla e ce n'è per tutti". Una specie di gioco della torre in cui decido chi buttare giù e chi salvare. Si è cercato così di dare al pezzo un taglio più agile, più popolare, più "scandalistico" in modo da conferire più visibilità .
Ormai nessuno legge un articolo per intero, soprattutto se chi parla cerca di dare giudizi articolati e motivati. Vogliamo la sintesi, il tweet. Per conferire ritmo la mia intervista è stata sfrondata e suddivisa in periodi preceduti da sintesi in neretto. Su Santoro ho fatto un discorso complesso che, in parte, è ancora visibile e leggibile. Ma il discorso era preceduto da una frase in evidenza. E questa frase, che ha attirato l'interesse di tutti, diceva che è lo stesso Santoro a rendersi conto di essere finito. Nella stessa forma sintetica, twitterizzata, la mia affermazione ha avuto anche ampia circolazione su internet.
Tutto il resto è stato ignorato. Nessuno ha sottolineato o anche solo preso in considerazione che in quella stessa intervista Santoro è descritto come il nuovo Rosi televisivo. L'unico che, in un momento di crisi del talk show tradizionale, cerca nelle sue trasmissioni nuove strade. Sul fatto che il talk show sia in crisi abbiamo oggi conferma dai programmi già in onda, che hanno registrato un'audience ben al di sotto del previsto.
Non si può cercare nel pubblico un interesse per la politica proprio quando la partecipazione politica dei cittadini è sospesa in favore di governi tecnici. Pesa poi l'assenza diretta di Berlusconi che, nel bene o nel male, è stato nell'ultimo ventennio, l'animatore della scena politica in chiave fortemente spettacolare.
Santoro non è ancora in onda, ma da tempo ha creato nuovi generi, per animare i suoi programmi, il documentario spettacolo e la docufiction. Oggi c'è bisogno di narrazione ed il dibattito in studio deve integrarsi e scaturire dalla drammatizzazione del contenuto in chiave visiva. D'altronde, per la prima volta, il documentario spettacolo ha sfondato a Venezia, circola per le sale, e costituisce il soggetto di reti televisive dedicate.
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