DAGOREPORT: BANCHE DELLE MIE BRAME! - UNICREDIT HA MESSO “IN PAUSA” L’ASSALTO A BANCO BPM IN ATTESA…
Maurizio Porro per il “Corriere della Sera”
Si sta girando, partendo dal liceo Parini di Milano e proseguendo fino a ottobre per Sanremo, Bologna, Lecce e Londra, il film Gli anni amari che sono poi i rutilanti anni Settanta. Il regista Andrea Adriatico, che ha fatto irruzione sulla scena italiana col gruppo Teatri di Vita, considera quel periodo «lontanissimo».
Urge una rivisitazione, magari attraverso un personaggio scomodo e seduttivo come lo fu Mario Mieli, di cui si racconta la breve vita intrisa di solitudine. Ragazzo della ricca borghesia milanese, penultimo di sette industriosi figli, classe 1952, invece di andare al Piper o in giro in spider, frequentava zone disdicevoli del parco e faceva una sua rivoluzione per i diritti omosessuali.
Partecipò alla vita politica senza mai sposare una causa, rivendicando la libertà di restare senza etichette. E quando non ce l' ha fatta più, il 12 marzo del 1983, ha messo la testa nel forno e si è ucciso.
«Un ragazzo immerso in una profonda solitudine destinato a essere considerato troppo snob o troppo scomodo», dice il regista, informato dei fatti e delle persone, avendo letto tutto, contattato amici e compagni (se ne sta in disparte la numerosa famiglia, eccetto una sorella che ha raccolto i libri) dello studente non modello che nell' autunno '69 incendiò la sezione del liceo classico con un tema sulla sua vita e omosessualità che finiva: «Mi chiamo Mario, o se preferite: Maria».
Anni Settanta, quelli della paura e dei morti, delle bombe e del terrore e del caso Moro, quelli psichedelici dei Led Zeppelin, dei Queen, di Pasolini e di Salò, dei tre passi nel delirio, di Zabriskie Point in cui scoppiava la bomba dell' omologazione.
Mieli questi anni li respirò a boccate profonde, a pieni polmoni, frequentando la borghesia illuminata intellettuale, prima di tutte la Nanda, cioè Fernanda Pivano, nel cui salotto si sono preparate molte «rivoluzioni» del costume, con la Beat Generation.
«Mieli - spiega il regista - esigeva il diritto alla diversità, all' anarchia personale, rompe con tutto ciò che sembrava ufficiale ed organizzato, esce dal Partito comunista e dal "Fuori!" la prima rivista gay fondata con Angelo Pezzana e il cui indirizzo di redazione era quello vip della famiglia Mieli.
E rompe poi anche con i radicali, col "Re Nudo" e fonda i Com, Collettivi Omosessuali Milanesi di via Morigi, ponendo la domanda: si può essere omosessuali e di destra? O la questione riguarda solo la sinistra?».
Innumerevoli le occasioni di disagio che lo portarono anche a seri disturbi psichici per cui Mieli, la cui tesi di laurea Elementi di critica omosessuale era stata pubblicata da Einaudi nel '77, fu ricoverato in clinica a Londra: diceva, sotto sforzo affettivo, di avere sciolto una pastiglia di Lsd nel bicchiere del padre e che la parola madre era anagramma di merda.
«Ma prima di questo, quando si spogliò nudo e aggredì un poliziotto di sua maestà britannica, Mario gridò la sua insofferenza a tutto, protetto anche dalla sua situazione economica, accettava le sfide omofobe anche casual di fascistelli in transito. Il film non sarà come Milk, racconto ardimentoso di una stagione di lotta: il "nostro" Mieli non si accontenta della tolleranza, esige l' orgoglio».
Un orgoglio che lui spende, anche personalmente, in moneta corrente luccicante, come un tesoro dell' inconscio conservato a lungo. Come quando fece per la Rai un servizio davanti ai cancelli di Arese chiedendo agli operai, vestito in simil tuta ma con tacchi alti e collana, cosa pensassero della questione omo, un po' come Pasolini fece in Comizi d' amore.
«Con lo scrittore Pier Paolo ebbe solo un rapporto a distanza: Mario lo punzecchiava ma l' altro lasciava perdere, anche quando gli soffiò via un ragazzo a piazza Navona». Invidia? Forse un pochino. In fondo il titolo di una performance teatrale La Traviata Norma che nel '76 ebbe gran successo, lo rispecchia per intero: la norma, ogni norma, deve essere traviata.
«Io posso anche sbagliare il film ma so che questi anni e questo personaggio non possono più passare sotto un falso silenzio o nascondersi negli stereotipi.
Mieli non chiedeva la parità delle coppie di fatto, assolutamente no, oggi sarebbe in minoranza, non rivendicava uguaglianza e parità, ma indipendenza.
Voleva il diritto all' individuale libertà e per questo, con gli amici soprattutto francesi, rovesciò nel '72 i tavoli freudiani del congresso di sessuologia a Sanremo dove ancora l' omosessualità era rubricata come malattia.
Amici italiani pochi, ma all' estero sì, le prime femministe e nel 1973 con gli amici tedeschi tentò di scalare il muro di Berlino».
Mieli divenne negli anni Settanta figura centrale del contorto dibattito, urlando in piazza slogan come «Froce sì! Ma contro la Dc!» oppure «Lotta dura contro natura!». Si inimicò tutti. «In un certo senso fu un profeta della delusione politica oggi sotto gli occhi di tutti. Dopo la morte nel '77 a Bologna dell' universitario di Lotta Continua Francesco Lo Russo, il Pci va in crisi, poi in settembre la città, contrita, apre a tre giorni di libero dibattito.
E arriva Mieli, che però non ci sta a mettersi in fondo con le checche, ma toglie addirittura il microfono a Dario Fo, ospite d' onore. Idem al famoso raduno del Parco Lambro a Milano nel '76, dove anche lì Mieli non ci sta a fare l' ospite simpaticamente tollerato con gli amici della Gaia Armonia ma mette banchetti dei gruppi gay milanesi che i militanti di sinistra buttano all' aria».
Ebbe compagni di strada importanti, oltre a Nanda Pivano che avrà il volto della sceneggiatrice Grazia Verasani (che scrive il film con Stefano Casi): fu amico anche di Umberto Pasti, architetto del verde anch' egli della Milano bene, che gli fu accanto fino alla fine, proprio nel senso dell' ultimo giorno, «quando nella famosa deriva esoterica Mario scrisse un romanzo autobiografico partendo dalle origini egiziane della sua famiglia, Il risveglio dei Faraoni, che il padre alla fine lo costrinse a sospendere.
Mario in pelliccia corse in taxi a Torino a strappare il contratto con l' editore ma poi tornò a casa e si uccise. Pochi giorni dopo i giornali uscivano con le prime notizie sulla peste gay, l' Aids».
Il film ha il temperamento ribelle dell' autore ma anche i crismi della produzione ufficiale con la Rai, Pavarotti International, le commissioni ministeriali, mentre il giovane Nicola Benedetto sarà nel ruolo del titolo in un cast che comprende Sandra Ceccarelli, Antonio Catania, Lorenzo Balducci, Davide Merlini, Francesco Martino, Tobia de Angelis e Giovanni Cordi. «Uscirà in modo molto ufficiale, non ho mai diretto film per i ghetti», dice Adriatico. «Mi diverte - conclude - osservare le reazioni del cast, tutti dai 25 in giù, quelli complici e quelli stupiti e increduli di quest' Italia lontanissima e vicinissima».
Ultimi Dagoreport
FLASH – IL GOVERNO VUOLE IMPUGNARE LA LEGGE REGIONALE DELLA CAMPANIA CHE PERMETTE IL TERZO MANDATO…
FLASH – IERI A FORTE BRASCHI, SEDE DELL’AISE, LA TRADIZIONALE BICCHIERATA PRE-NATALIZIA È SERVITA…
DAGOREPORT – MARINA E PIER SILVIO NON HANNO FATTO I CONTI CON IL VUOTO DI POTERE IN FAMIGLIA…
DAGOREPORT – UN "BISCIONE", TANTE SERPI! GLI AVVERSARI DI BIANCA BERLINGUER A MEDIASET LAVORANO PER…
DAGOREPORT – NEL NOME DEL FIGLIUOLO: MELONI IMPONE IL GENERALE ALLA VICEDIREZIONE DELL’AISE.…