abatantuono

''FUI FREGATO DAL MIO AGENTE CHE POI DIVENNE UNO DEI PIÙ IMPORTANTI PRODUTTORI ITALIANI'': ABATANTUONO MEMORIES - ''ERO SENZA UNA LIRA, DISPERATO. UN PO’ COGLIONE MI SON SENTITO ECCOME. PASSAI DAL CABARET AL CINEMA CON TROPPA RAPIDITÀ E OTTENNI UN SUCCESSO CHE SI RIVELÒ VIOLENTISSIMO. NON ERO ATTREZZATO - QUELLA VOLTA CHE VOLONTÉ MI RUBÒ LE SCARPE E SE LE MISE AI PIEDI - I MIEI AMICI NON SEMPRE SONO STATI TALI''

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silvio orlando diego abatantuono margherita buy

Malcom Pagani per Vanity Fair

 

La verità, vi prego, sul mestiere: «Fino all’adolescenza non immaginavo neanche lontanamente di fare l’attore. Però mia madre Rosa era la guardarobiera del Derby di Milano, io passavo lì tutte le sere e a forza di frequentare l’ambito del cabaret, finii per rimanere coinvolto in quell’ambiente. Facevo il tecnico delle luci per I Gatti di Vicolo Miracoli e un giorno, credo fosse l’estate del 1975, li accompagnai a un provino per il film Liberi, armati e pericolosi.

 

MAGO DI SEGRATE ABATANTUONO

Eravamo seduti tutti insieme, generici e aspiranti attori, davanti alla Statale di Milano e Romolo Guerrieri, il regista, mi chiese se volessi recitare in una scena. «Sono 8.000 lire al giorno». Per 8.000 lire sarei andato a piedi in Patagonia e risposi subito di sì. «Hai la patente?» domandò e capii che la domanda era determinante, un no voleva dire andare a casa. Io dissi ancora sì, mentendo e stupendo anche me stesso. Poi mi misi alla guida e al secondo tentativo di sgommata la bugia mostrò tutte le sue crepe. Scesi, lo guardai negli occhi e confessai: «La patente non ce l’ho».

 

Lui prese una comparsa con i capelli ricci, lo mise al mio posto, lo inquadrò di tre quarti ed ebbe la magnanimità di non allontanarmi dal set. L’avventura nel cinema inizio così, 43 anni fa».

 

diego abatantuono

Per il suo settantesimo film (l’esilarante, attualissimo Ho baciato lo sposo di Fabio Genovesi, produce Maurizio Totti, distribuisce Medusa dal 1° marzo) gli è toccato in sorte il ruolo del sindaco progressista di un piccolo paese alle prese con il matrimonio gay di suo figlio e non più così certo, all’improvviso, della propria apertura mentale.

 

Partire da un personaggio dichiaratamente libertario e democratico che si riscopre gretto e omofobo, dice: «Ha reso il film più interessante e credibile. Il contrasto gli ha donato ricchezza, io ho provato a immaginare come l’avrebbero interpretato Sordi, Gassman o Tognazzi. Non credo di esserci riuscito, ma il tentativo, come sempre, l’ho fatto».

 

diego abatantuono (2)

Ha citato persone che ha conosciuto bene.

 

«Ormai ho la sindrome di Gianni Morandi e covo la sensazione di esserci sempre stato. È come se non ci fosse mai stato un inizio e- cosa più importante- non ci sia ancora la fine».

 

Verdone sostiene che l’unica misura del successo sia la longevità.

 

«Attraversare un’epoca è importante. Io, Carlo e pochissimi altri l’abbiamo fatto. Con i buoni, con i cattivi, con quelli che apprezziamo e con quelli che non stimiamo. Facendo ottimi film e film meno riusciti, ma durando nel tempo».

 

Sordi, Gassman e Tognazzi sono stati i più grandi?

 

«Non dimenticherei neanche Mastroianni e Volonté. Oggi li citi e i ragazzi non sanno chi siano. Ti guardano con gli occhi della mucca che guarda passare il treno e ti dicono: “Scusami, ma io sono del ‘90”».

 

E lei cosa risponde?

 

soap opera chiara francini diego abatantuono

«Che essere nati nel ‘90 non significa un cazzo. Seguendo lo stesso principio io non dovrei sapere nulla di Garibaldi o delle Piramidi d’Egitto. Da ragazzo ero molto ignorante e molto timido, ma sapevo ascoltare. Trascorrevo una serata con Cochi, con Pozzetto, con Jannacci o Dario Fo e una volta tornato nella mia stanzetta passavo ore a guardare il soffitto e a ricordarmi tutti i dialoghi. Memorizzavo ogni cosa. Ero attento, curioso, felice di bere alla fonte di chi della vita sapeva più di me, grato a chi sapeva affabulare la platea».

 

Cosa è cambiato?

 

«Manca la cultura del passato. Non è che un adolescente di oggi, con il mondo a portata di clic, non sarebbe in grado di colmare le proprie lacune, è che non gli interessa proprio. Per me dividere una serata con Paolo Villaggio valeva un anno di scuola».

giorgio faletti con il gruppo repellente mauro di francesco boldi abatantuono

 

Villaggio le manca?

 

«Come Beppe Viola, Villaggio era due giorni avanti agli altri. Quando vivevo ancora a Roma uscivamo spesso insieme. Aveva una specie di mappa culinaria della città. Conosceva bettole e trattorie di ogni natura perché a Paolo mangiare, soprattutto fuori orario, piaceva. L’ho osservato succhiare parecchia roba surgelata, a partire da certe incredibili peperonate appena tirate fuori dalla busta, anche alle quattro del mattino».

 

Maniaco della tavola era anche Tognazzi.

 

«Apriva munificente la casa di Torvajanica e riuniva gli amici chiedendo i voti a fine pasto. Una sera lo vedo eccitato, febbrile, ansioso di mostrarci una portata speciale: “Vedrete che dolce, un’opera d’arte”. Arriviamo al momento fatidico ed entra un carrello con qualche fetta di panettone accatastata alla rinfusa. Ugo cambia colore, sbianca, avvampa, poi scomoda qualche santo, comincia a urlare e afferra un corpo contundente per inseguire il cameriere. Mi frappongo per dargli il tempo di riparare in cucina e calmare Tognazzi. Il panettone avrebbe dovuto avere la forma di un tacchino, ci aveva lavorato tutto il giorno».

 

giorgio faletti con il gruppo repellente mauro di francesco boldi abatantuono

Un attore è anche carattere.

 

«Volontè ne possedeva uno particolarissimo. Tanto Ugo era aperto e solare, tanto Gian Maria ombroso e misterioso. Avrei dovuto lavorare con lui in un film di Comencini e prima di arrivare sul set avevo chiesto ad alcuni amici comuni di darmi una mano a inquadrare il personaggio: “Ma è vero che non parla con nessuno?”».

 

Era vero?

 

«Gian Maria aveva deciso di posizionarsi esistenzialmente da un preciso lato della barricata e io su quello stesso lato desideravo stare. Così lo studiai, mi avvicinai e al momento di scoprire le carte, mi giocai bene quelle che avevo in mano per conquistarlo».

 

giorgio faletti con il gruppo repellente mauro di francesco boldi abatantuono

Come fece?

 

«Un giorno scendo dal letto e non vedo le scarpe. Ribalto la stanza, chiamo il concierge, cerco di capire come sia potuto accadere e scoglionatissimo mi presento alla convocazione sul set. Appena lo vedo, abbassa lo sguardo verso i suoi piedi. Indossa le mie scarpe e cerca la provocazione sperando in una mia reazione».

 

E lei reagisce?

 

«Lo spiazzo, rido, lo abbraccio. Da quel giorno siamo stati amici per sempre».

 

Un attore è destinato alla solitudine?

DIEGO ABATANTUONO SUL SET DI MEDITERRANEO

 

«Al contrario. Il set è l’unico ambiente che riesca a prolungare all’infinito l’adolescenza. È sempre tavolata, fuoco sulla spiaggia, condivisione. Si fa squadra e tutti giocano la stessa partita».

 

Che adolescenza ha avuto Diego Abatantuono?

 

«C’erano momenti che sembravano lunghissimi, interminabili, eterni. Se mi mettessi a raccontare del mio primo amore o delle prime vacanze fatte da solo spenderei molte più ore che non a descriverle il resto della mia vita. Accade quasi tutto in quel momento, dai 13 anni a 20 anni, l’istante in cui si decide che strada tu debba prendere e ciò che viene dopo è molto più veloce. Sembra più facile, meno importante o forse soltanto meno interessante. Mi pareva che il tempo durasse il triplo e oggi purtroppo vola».

DIEGO ABATANTUONO SUL SET DI MEDITERRANEO

 

Come passava il tempo allora?

 

«A volte, spesso, a non far niente. A nuotare, a corteggiare ragazze, a tirare i noccioli delle pesche contro una parete. Con l’età cambia anche il modo in cui si vedono le cose e se ti guardi indietro deformarle, modificarle e renderle più liete è una licenza verso cui non provare indulgenza è impossibile. Dicono che sia esperienza, in realtà è soltanto una zanzata».

 

Una cosa?

 

DIEGO ABATANTUONO LADRI DI COTOLETTE

«Una zanzata. Un piccolo furto che ti concedi perché è più bello raccontare una storia in cui fai bella figura di una in cui sei il pirla della compagnia».

 

Si è mai sentito tale?

 

«Un po’ coglione, per ingenuità, mi son sentito eccome. Passai dal mondo del cabaret a quello del cinema con troppa rapidità e ottenni subito un successo che si rivelò violentissimo. Non ero per niente attrezzato».

 

Il Messaggero, intervista del luglio 1983: «Come un somarello spingevo e spingevo, quando nasci povero e vedi tanti soldi tutto sembra immaginazione». Tra il 1980 e il 1983 lei interpretò 17 film.

 

ECCEZZZIUNALE VERAMENTE

«Troppi. Così tanti non ne girava neanche Sordi. Ne usciva uno e mentre quello era ancora in sala, si preparava l’uscita dell’altro. Io ero molto giovane, non capivo, non ero pronto a un successo e a una popolarità che si rivelarono esagerati. Sproporzionati. Non potevo uscire di casa e con la mia fisicità, nascondersi non era semplice. Subii. Pagai personalmente per gli errori fatti e caddi nei tranelli che mi vennero tesi dalle persone che mi sarebbero dovute stare vicino».

 

Di cosa parla?

ECCEZZZIUNALE VERAMENTE

 

«Venni raggirato. Qualcuno mi ingannò e al momento di comprare una casa, un momento agognato, scoprii all’improvviso che invece di poter contare su una piccola fortuna ero senza una lira. Pensavo di potermelo permettere e non potevo. Fu una bastonata. “L’Iva te la paghiamo noi, Diego. Non preoccuparti” mi diceva il mio agente che poi divenne uno dei più importanti produttori italiani».

 

ECCEZZZIUNALE VERAMENTE COVER

E Invece?

 

«Invece non lo fece, ma fece tante altre cose tra cui sottrarmi sotto il naso un libretto al portatore. Gestì in modo delinquenziale quella che per me era un’opportunità. Venni turlupinato e dovetti ripartire da zero. Feci decine di migliaia di chilometri come una trottola da nord a sud. Serate, spettacoli, sagre. Mi rimisi in piedi con grandissima fatica. Poi grazie a dio, ogni tanto vincono anche i buoni e incontrai Maurizio Totti. Il produttore che mi salvò letteralmente la vita. Senza di lui non so se ce l’avrei fatta. Ancora oggi è tra i miei amici più cari».

 

Era arrabbiato?

 

«Più che arrabbiato, disperato. Oltre alla voragine economica, mi ritrovavo con la carriera finita. Dovevo pagare le tasse e non avevo i soldi e in più, dal giorno alla notte, nessuno mi offriva più una sola parte. Il personaggio a forza di essere sfruttato ogni oltre ragionevole misura, si era esaurito».

DIEGO ABATANTUONO jpeg

 

Nel 1986 Pupi Avati le offrì Regalo di Natale. Il film che le regalò una veste nuova e fece ripartire la sua carriera.

 

«Pupi mi trovò per caso, a casa di una mia antica fidanzata, grazie a un equivoco. Un mio amico, Fabrizio Corallo, gli diede il mio numero di telefono ma glielo diede sbagliato. Pupi chiamò quel numero e il caso volle che io mi trovassi proprio lì. Si intrecciarono tre o quattro casualità nello stesso momento e quando accade io non penso più al caso, ma al destino».

 

Che anni furono gli anni ‘80?

CATANIA DE LUIGI ABATANTUONO NE IL PEGGIOR NATALE DELLA MIA VITA

 

«Sul set, nonostante i film ai quali prestai il volto non fossero tutti capolavori, credo di essermi comportato bene. Tirai il carretto senza chiedermi perché, ma credo sia più difficile essere un attore comico che drammatico. Si pensa sempre che chi prende i premi sia il più bravo a prescindere, che le maschere non valgano niente. Sa che le dico? È un grande equivoco».

 

TI STIMO FRATELLO VERNIA ABATANTUONO

Perché?

 

«Perché è più difficile fare Eccezzziunale veramente che Regalo di Natale. Di buoni attori ce ne sono centomila, di maschere che diano al personaggio una marcia in più pochissimi. Sordi cos’era? Una maschera o un attore? E Gassman? E Tognazzi che partì facendo gli sketch con Vianello? Se non hai Walter Matthau il film arranca, ma se metti De Niro o Pacino, il film viene ugualmente bene.

 

Poi certo, se tu togli al Pierino di Vitali le Fenech viste dal buco della serratura o sotto la doccia cosa resta? Un film di venti minuti in cui c’è gente deforme che batte la testa, ma i film che facevamo io, Pozzetto, Verdone o Troisi erano diversi».

 

Cosa le manca?

 

«Un western. Uno l’ho anche scritto e sperando che qualcuno me lo offra, un giorno lo farò. Certo se non si sbrigano mi rimarrà solo la parte del vecchietto nel saloon».

 

Dicono che lei abbia un carattere aspro.

giorgio faletti con il gruppo repellente mauro di francesco boldi abatantuono e iannacci

 

«Ho un carattere che è una cosa diversa. Ho sempre detto la verità e ho una fisicità e una personalità che ha portato forse a pensare che fossi arrogante, ma io, conoscendomi a fondo, osso affermare di non esserlo. Sono sincero, dico sempre quello che penso, e questo dato innestato su un corpaccione e su un faccione, può dare la sensazione di tracotanza».

 

Com’è davvero Abatantuono?

 

«Generoso e non calcolatore. Non sono mai stato furbo, quello è poco ma è sicuro».

 

Se si guarda indietro cosa vede?

 

diego abatantuono

«Molte immagini. Io bambino, vestito da zorro al Giambellino. Eravamo gente povera, ma essere figlio unico mi rendeva automaticamente più borghese. A Carnevale mi regalarono un vestito da Zorro in una confezione di plastica che per aprirla serviva la fiamma ossidrica. Con il mio cappellino e il mio mantellino scendevo in cortile tutto gasato. Poi appena incontravo i miei coetanei con un bastone della scopa in mano, la spada si rivelava per quello che era e si spezzava.

 

Risalivo su, mia nonna la metteva vicino al fuoco e me la riattaccava rimpicciolendola. A sera la spada era di pochi centimetri, assolutamente incongrua, ridicola, inadeguata. I nonni sono stati importanti. Uno faceva l’imbianchino, tornava a casa, poggiava pennello e scala, mi sistemava il sellino sulla canna della bici e mi portava in giro. La cava di Via Lorenteggio, all’epoca, sembrava il mare».

selfie enrico ruggeri abatantuono beccalossi

 

Per lei la famiglia è importante?

 

«Non l’ho mai mischiata al lavoro e ho provato a tenerla sempre insieme. Con l’altro mio nonno, nonno Pasquale, calzolaio e poi finanziere che parlava soltanto pugliese, facevamo le vacanza insieme. A 85 anni prendeva la sue sedia e si metteva a Morciano, in Romagna, a vedere me e i miei figli giocare a pallone. Tiravamo bordate terrificanti e ci preoccupammo. Allora lo mettemmo dietro l’albero di ciliege. A ogni tiro, gli piovevano sulla testa le cerase. Quell’immagine non me la sono più dimenticata».

 

PAOLO RUFFINI E DIEGO ABATANTUONO

Il calcio è stato importante.

 

«Come raccontavo in una vecchia gag inventata con il mio amico Sangalli, una volta trovai per terra il portafogli di mio nonno con due foto ingiallite. In una c’era Padre Pio e nell’altra Rivera. Gli chiesi chi fossero e lui: “Uno è un popolare frate pugliese, l’altro fa i miracoli”. E Rivera i miracoli li faceva davvero»

 

Cos’altro non ha dimenticato?

 

selvaggia lucarelli diego abatantuono

«Le volte i cui i miei amici non sono stati tali o si sono dimenticati di invitarmi a una festa, come accadde a Kastellorizo, per la chiusura di Mediterraneo. Li ho perdonati, ma non ho dimenticato. Con il mio carattere non sarebbe mai successo. Io parto per il set la mattina e voglio che tutti siano felici».

 

A maggio compirà 63 anni. È diventato più buono?

 

alessandro siani diego abatantuono mister felicita

«L’unico regalo, nel diventare più anziani, è che si diventa saggi. Ma il saggio, pur riflettendo, si incazza comunque». 

ABATANTUONO IN COSE DELL ALTRO MONDO