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DAGONOTA
“Penso che il format talk show per approfondimento giornalistico in un’azienda che fa servizio pubblico non sia il format ideale. Negli ultimi decenni c’è stato un abuso di questa forma, che invece è molto adatta all’intrattenimento ma su temi leggeri, non sui temi, non sui temi importanti come quelli politici o culturali”.
Una stroncatura così netta dell’informazione somministrata negli ultimi anni da Mamma Rai non si leggeva neppure ai tempi della lottizzazione selvaggia nei telegiornali. Ma a bocciare la politica spettacolo nei salotti nobili (o, meglio, nelle bische spesso frequentate dai soliti bari di idee tanto per fare audience) non è il critico televisivo del “Corriere”, Aldo Grasso.
Lo storico accigliato delle langhe la sa lunga. Da quando presta la sua opera ermeneuta sia per il padrone del quotidiano di via Solferino sia della rete tv “la7”, Urbanetto Cairo, ha cominciato a mancare molte volée di valutazione nella sua rubrica “A fil di rete” (ahimè bucata). “Se uno fa il mestiere del critico televisivo per un certo periodo (per esempio otto anni) finisce per sentirli addosso. Per incontrarli”, ammoniva il sublime Beniamino Placido nel suo libricino chechoviano “La televisione del cagnolino” (il Mulino).
No, la dura requisitoria contro i ciarlatani che inquinano i talk show nelle cupe stagioni di pandemia e di guerra è del nuovo amministratore delegato dell’azienda, Carlo Fuortes. Un manager ed economista della cultura molto apprezzato che ha fatto del Teatro dell’Opera di Roma una eccellenza. E tutto lascia sperare che alle sue parole, messe a verbale l’altro giorno davanti alla commissione parlamentare di Vigilanza, seguano i fatti nell’ultimo monopolio pubblico finanziato con la tassa iniqua del canone.
Già, perché a Montecitorio, Fuortes ha praticamente bombardato il quartier generale in cui è stato messo a comandare. E non capita tutti i giorni. “L’idea di giornalisti, operatori, scienziati, intellettuali chiamati a improvvisare su qualsiasi tema non credo che possa fare servizio pubblico. È l’opposto – ha spiegato - di quello che la Rai ha fatto per lungo tempo con Biagi e Zavoli”.
Infine, ha toccato il tema dolente delle ospitate “a pagamento” spesso gestite dai potenti manager televisivi (con fatturati milionari) che da anni, indisturbati e con programmatori condiscendenti, hanno stravolto e condizionato i palinsesti della Rai. “Per me dovrebbero andare gratis”, ha detto il capo azienda promettendo discontinuità con il passato.
Riuscirà Fuortes nella sua impresa impossibile? Quella di ripristinare nell’informazione tv le regole minime professionali che si sono perdute anche nei grandi giornali il cui valore aggiunto erano, appunto, i collaboratori esterni e di chiara fama. Oramai siamo a Cetto La Qualunque.
Nell’era dell’incompetenza, il discorso sugli “esperti” o dei giornalisti competenti (e se vedono anche nei talk show) nella stagione dei new media e dei social, però, è già partito con il piede sbagliato. Se il direttore de “la7”, Enrico Mentana, rivendica il diritto di non invitare nei suoi programmi l‘”ideologia” dei NoVax e non le sue presunte ragioni secondo scienza medica, gli piove addosso l’accusa meschina di censore.
Il “caso” più emblematico sotto la lente di Carlo Fuortes è quello del professor Zelig, alias Alessandro Orsini, docente alla Luiss, che prima di chiamarlo in cattedra almeno avrebbe dovuto leggere i suoi lavori pubblicati. A cominciare dal “Gramsci e Turati”, in cui annuncia, con la solita modestia, che nel suo saggio si opporrà a tutte le altre interpretazioni degli illustri storici che l’hanno preceduto. Per passare a “Il rivoluzionario benestante” sulla storia del terrorismo rosso (sic) con sottotitolo “strategie cognitive per sentirsi migliori di altri”.
Infine, quando il nostro decide d’indossare la tuta mimetica del Von Clausewitz “alle vongole” dà alle stampe il volume “Isis, i terroristi più fortunati del mondo…” in cui sentenzia che “sarebbe molto facile sconfiggere in un tempo relativamente breve” i terroristi jihadisti. Lì dove hanno fallito Putin, Obama, Clinton, Biden con Cia, Fbi e Kgb. Non c’è Crozza di “Fratelli d’Italia” capace di tenere testa in comicità al dottor Stranamore Orsini. L’originale è assai più divertente dell’imitazione.
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