DAGOREPORT – MARINA E PIER SILVIO NON HANNO FATTO I CONTI CON IL VUOTO DI POTERE IN FAMIGLIA…
Pierluigi Diaco per “Oggi”
Per capire una persona, bisogna studiare bene i libri che ha in casa. Per Giampiero Mughini questo principio richiede un impegno esoso: è onnivoro, legge tutto, anzi divora, mastica, si appassiona, racconta, stronca. Saggi storici e romanzi, volumi sportivi e vecchi giornali: gli scaffali della sua casa-museo ospitano tutto e il suo contrario. “La cultura ci rende vivi”, assicura. E prende un respiro veloce, nervoso, da studioso in perenne movimento intellettuale.
Il mestiere di Mughini - giornalista e scrittore di fama e pedigree - è la polemica. Ne ha fatto vanto, valore e cifra stilistica. Economia, immigrazione, calcio, costume: la tv da anni si nutre di lui e della sua arte oratoria, del modo di vestire non convenzionale, occhiali spessi, capelli affollati e voce che è un trionfo di alti e bassi, profonde riflessioni e altrettanto profonde ire.
L’ultima in ordine di tempo, quella con Fabrizio Corona a “Non è l’Arena” di Massimo Giletti. Non vuole piacere a tutti, Giampiero: ci ha rinunciato tanto tempo fa, al culmine di una vita passata a fare il dissolutore dell’ovvio e lo “spacciatore” di voluttà erotico-intellettuali. Una storia, la sua, di occasioni perse e prese, come quando se ne andò dal quotidiano che aveva contributo a fondare, “Il Manifesto”, a pochi giorni dall’uscita del primo numero. E un unico paracadute, anzi due: la propria coscienza critica e la Juventus.
Certo che per lei è iniziata una brutta estate: Mondiali di calcio senza l’Italia e governo Lega-Cinque Stelle col vento in poppa. Cosa la disturba di più?
“Senza alcun dubbio il governo. Nello sport, come è noto, ci sta la vittoria come la sconfitta: del resto l’Italia non meritava di più. Il nostro calcio in questo momento è mediocre: non abbiamo grandi talenti e le squadre più importanti, tranne la Juve, hanno di solito dieci stranieri, se non undici. Detto questo, questo esecutivo mi crea allarme, sì”.
Addirittura? Da cosa è allarmato?
“Ci troviamo dinnanzi al convergere di due forze, dette populiste, che non promettono nulla di buono. La situazione è totalmente inedita, sia per le caratteristiche di queste due forze politiche sia per la personalità del capo del governo: il professor Conte non è né l’espressione di una politica né di una storia. E’ un signor nessuno, una persona molto perbene, naturalmente, ma non si capisce se sia il badante dei Lega e Cinque Stelle oppure un individuo con una sua autonomia e una sua visione”.
La inquieta di più la vanità di Salvini o quella di Di Maio?
(ride) “Direi che la vanità di Di Maio corrisponde perfettamente al nulla. C’è poco da fare, i miracoli non esistono nemmeno in politica: non vedo come uno che vendeva bottigliette allo stadio fino a cinque anni fa - e non ci vedo ovviamente nulla di male! - possa improvvisarsi uomo di governo e per di più mediatore di problemi molto complessi. Al contrario, la vanità di Salvini corrisponde al talento di un lupo politico che sa azzannare: ha preso una forza politica moribonda, comatosa, carica di debiti e di ingiunzioni penali e l’ha trasformata in un partito del 32%. Sa parlare alla pancia di una parte notevole del Paese e lo sa fare molto bene”.
Fabrizio Corona, ospite insieme a lei da Giletti, le ha detto: “Ti vesti come un Babbo Natale con gli occhiali arancioni”. Un colpo per la sua vanità...
“Da un analfabeta non ti puoi aspettare altro. Attraverso Dagospia, il giorno dopo la messa in onda di quella trasmissione gli ho ricordato quali erano gli abiti che indossavo a ‘Non è l’Arena’”.
Lo ricordi anche a noi.
“Scarpe da tennis firmate dal più grande stilista moderno, il giapponese Yohij Yamamoto, una giacca che porta la firma del duo Gareth Clasey (inglese) e Philippe Vidalenc (francese), un pantalone Levi’s e una t-shirt che indossavo sotto la giacca di Yamamoto che non poteva non essere a firma della ex-moglie, Rei Kavakubo, anche lei giapponese”.
Pentito di non aver risposto in modo più forte a Corona?
“Non è nel mio stile usare toni troppi forti e offensivi. Gli ho detto semianalfabeta e poveraccio da due soldi: è il massimo che mi sono sentito di dire. Cosa avrei dovuto aggiungere? Direi che è stato sufficiente”.
Allora, mi dica di più delle sue paia di occhiali: quanti ne ha e di quali colori?
“Ne ho sette, forse otto che però non metto più. Ne indosso solo un paio, gli stessi che porto anche adesso, di cui non è importante tanto il colore quanto l’autore: è una belga, nome di battaglia Teò. Me li ha regalati. Sa, sono un suo vecchio cliente…”.
È diventato un personaggio anche per il suo stile?
“No ne ho la più pallida idea, ma le confesso una cosa: mi dispiacerebbe se fosse così. Le uniche cose che per me contano sono le idee e i ragionamenti. Certo, poi indosso le scarpe e le giacche che mi divertono. Non ci penso neppure un istante che queste facciamo parte del mio lavoro”.
Mente.
“Suvvia: certo, in definitiva, ne fanno parte. Spero, però, che la gente ascolti e non si limiti a guadare occhiali e giacche. Ma è molto probabile che non sia così”.
La sua compagna, Michela, la aiuta a scegliere i vestiti o Lega tutto da solo?
“Ma vorrà scherzare! Ma vorrà scherzare! Ma vorrà scherzare!”.
Non ha risposto.
“Michela è una specialista, ma ovviamente quando si compra qualcosa di nuovo chiede prima a me dei consigli”.
Qual è il capo più antico e prestigioso che indossa?
“Ho degli abiti di Yohij Yamamoto che risalgono a più di vent’anni fa. Meriterebbero di finire in una galleria d’arte”.
Cosa la infastidisce di più: la cravatta di Di Maio o la (ex) felpa di Salvini?
“Nessuna delle due. Li giudico dalle cose che dicono e che fanno. Quei capi, molto probabilmente, potrebbero anche essere le loro armi: Di Maio ha cominciato a indossare la cravatta dal momento in cui si è trasformato da proclamatore di slogan vacui a politico pragmatico”.
Ci vuole classe anche per litigare in tv?
“Ci vorrebbe, ma la tv generalista non si presta a certa eleganza. Il pubblico molto spesso non è all’altezza di certi colpi di fioretto”.
Mi commenti due tra i suoi competitor televisivi: Vittorio Sgarbi e Vladimir Luxuria.
“Il primo, per avere la cultura che ha, è uno che si gestisce male. Più che ci è, ci fa. Ma del resto funziona così. Su Luxuria mi lasci dire che trasformare in una professione la propria condizione sessuale è una mancanza di classe estrema”.
Detesta sempre i social?
“Sì. Sono in un età in cui devo necessariamente misurare il mio tempo: preferisco dedicarlo alla lettura di un buon libro”.
Ha un pensiero felice, oltre alla Juventus?
“Prima della Juventus, che è sicuramente il mio pensiero felice, vengono l’acquisto e la lettura dei libri che da sempre sono la mia vita”.
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