DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
Siamo onesti una volta tanto. E solidali. Mica facile ritrovarsi sul palco di Sanremo a fianco di Barbie Hunziker e non ritrovarsi in un battibaleno trasformati in Orso Yoghi o Piccola Fava (che Pippo c’è comunque anche stavolta, per quanto spampanato dal tempo).
Tu che sei venuto al mondo e ci credevi forte con l’idea di smaltare tra cinema e teatro il ricordo di Dean, Brando o Pacino, Gassman male che ti va, una volta che accetti di prendere l’ascensore per l’infiorato patibolo, senza nemmeno la tromba di Miles Davis, ma solo quella del comunque notevole Roy Paci, non ce la puoi fare a sopravvivere a tutte le moine della Gattina Smancerosa e Ammiccante venuta sulla terra dal pianeta di Guttalax per annunciare Biagio Antonacci come fosse Frank Sinatra.
claudio baglioni e pippo baudo
E a sentirsi, tu Mancato Brando, un filo giù di corda nel ritrovarti a rifare alla peggio Raimondo e Sandra con gag stratelefonate che non ti fanno venire la scarlattina solo perché sei nel frattempo vaccinato o defunto. Non si salvano gli autori. Si salva Baglioni, l’unico svizzeroimmune, storia a sé lui, nel frattempo assurto alla grandezza inalterabile del manichino metafisico.
Uno Stranamore dei giorni nostri, metti il papillon isterico invece del braccio in quanto arto meccanico. Sempre più simile all’ultimo Christian De Sica, anche nell’occhio lubrico da Babbione Fashione, nel grandioso e necessario controllo della postura, anche perché se scappa uno starnuto i pezzi sparsi li vai a raccogliere a Bordighera.
claudio baglioni e franca leosini
Baglioni resta intero. Non Endrigo. Disintegrato dalla perversa combine Volo-Baglioni e dal loro inutilmente pomposo omaggio uguale oltraggio di uno che, al loro opposto, sottrae fino a estinguersi corpo alla voce. Baudo disintegra se stesso, essendo l’unico a credere d’essere davvero lui la stessa cosa che Sanremo o qualunque altra cosa, beffato dall’ennesima standing ovation, scappata dalle ovaie stanche della platea, in tutto e per tutto simile a un funerale triste o a un’erezione mancata.
Sting pure disintegra se stesso in una lingua tutta inventata, ma non era Sting. Inventata e falsa almeno quanto la Franca Leosini a Sanremo, che senza delle sbarre intorno e un criminale di fronte da ispezionare con occhio torbido, diventa la meno maledetta storia di sempre, una verginella che arrossisce al cospetto di Baglioni come se fosse Dio.
Chi salvo? Certo la disumana, grandiosa Ornella, che ha ormai fissa, stampata, la maschera malandrina di chi ha appena ingoiato e digerito Titti, sapendosi impunita per definizione, la felicità bambina di sputtanarsi senza remore divistiche nel mondo che è (in cui le dive non consolabili, pur di non esserci, si fanno venire un qualunque, provvidenziale Alzheimer), ma insinuando ai pochi che possono intendere il mondo che era.
L’apice della serata? Il mal dissimulato terrore della Hunziker quando guarda la Vanoni e teme possa capitarle qualunque cosa, lei Titti dalla nascita e più che mai a Sanremo. Sempre della Hunziker in coppia con Baglioni, inarrivabile il colpo di genio di piazzare la gag scaramantica con tanto di amuleti subito dopo aver annunciato la presenza a Sanremo di Marco Masini, uno a suo tempo messo nella stessa croce della Mia Nostra Martini.
Salvo poi, tutti, i direttori d’orchestra. Peppe Vessicchio in testa e, con lui, quella meravigliosa faccia da Nosferatu di cui non ricordo il nome.
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