DAGOREPORT: PD, PARTITO DISTOPICO – L’INTERVISTA DI FRANCESCHINI SU “REPUBBLICA” SI PUÒ…
Gianmarco Tognazzi conduttore (1987)
Gianmarco Tognazzi story a ''Verissimo''
Alessandro Ferrucci per il “Fatto quotidiano”
GIANMARCO TOGNAZZI CONDUTTORE A CANALE 5
"C' è un aspetto genetico che viene tramandato: tutti gli occhi di noi fratelli, nonostante le madri differenti, sono sempre di Ugo. Così i nipoti. Con dietro una profonda onestà di chi sa accettare i propri limiti e ha la consapevolezza dei punti di forza. E mio padre è stato questo: uno da successi, eccessi, fallimenti, ma ha sempre alzato la mano senza nascondersi".
Quando Gianmarco Tognazzi lo racconta, delimita con indice e pollice la "finestra" genetica, e non è suggestione, non è una traccia forzata figlia di una necessità interiore. È vero. All' improvviso non ti trovi più davanti solo un uomo, ma una storia decennale e condivisa come una buona bottiglia di vino, al centro di una tavolata di amici.
Gianmarco, 51 anni solo per la carta d' identità, è tra i protagonisti di Non ci resta che il crimine, ultima commedia di Massimiliano Bruno, tra i rari (anzi, oramai rarissimi) casi di film italiano con un immediato riscontro al botteghino; un super cast (oltre a lui Marco Giallini, Edoardo Leo, Ilenia Pastorelli e Alessandro Gassmann: "Finalmente siamo tornati a recitare insieme. Però il cinema resta un hobby serio") e una storia che è un omaggio alla commedia, al grottesco, al surreale, con venature nazional-popolari.
Come un hobby serio?
Perché non sei padrone delle opportunità che ti crei. L' attore è subordinato ai periodi, alle scelte, alle mode.
E qual è il lavoro?
La Tognazza, l' azienda vinicola nata con mio padre, che da anni ho ripreso in mano: lì sono padrone e artefice del successo e insieme agli altri del gruppo.
I nomi dei vini sono "Tapioco", "ComeSeFosse" e "Antani". È "Amici miei".
In realtà i termini sono nati durante le tante serate con Benvenuti, De Bernardi e Monicelli, e ben prima del film: è Amici miei ad aver attinto dalla vigna, e non il contrario.
Con i Tognazzi la tavola è sempre presente.
Maria Sole è specializzata di ristoranti, Ricky è il migliore di noi ai fornelli, io sono sempre stato quello affezionato alla memoria, alla storicità, alla campagna e mi sono innamorato della cantina. Thomas vive in Norvegia e quando viene in Italia si fa cucinare da Ricky, prende i prodotti da me e va al ristorante con Maria Sole. Ognuno di noi ha sviluppato una costola di Ugo…
Verdone racconta come in una scuola di cinema non sapevano chi fosse suo padre.
È successa la stessa cosa a me e in un istituto di comunicazione: davanti a duecento studenti, domando: "Chi conosce Ugo Tognazzi?". Hanno alzato la mano in quattro.
Come mai?
Quei ragazzi non sono vittime della loro ignoranza; la responsabilità è nostra: in questi ultimi trent' anni non abbiamo fatto nulla per difendere un' eredità culturale.
E non solo con suo padre.
Se parli di Gassman oggi pensano solo ad Alessandro, se nomini Tognazzi collegano il cognome a me o ai miei fratelli; a volte mi fermano e poi mi dicono: "Saluti suo padre".
Chi?
Credono che Ricky sia mio padre. La rimozione è legata anche a nomi fondamentali quali Risi, Rossellini, Germi, Salce, Ferreri questi ragazzi non sanno e non sapranno e non basta trasmettere un film in televisione, questo Paese non si può scaricare la coscienza così facilmente.
FRANCA BETTOJA E GIANMARCO TOGNAZZI
Alberto Sordi negli ultimi anni aveva predetto: "Ci dimenticheranno tutti".
Ugo non lo diceva, ma lo aveva percepito da molto prima e la fonte della sua depressione non era solo professionale, ma legata anche alla situazione del Paese. (scopre delle foto sul tavolo). Cosa sono?
Sue immagine scattate da Umberto Pizzi: è quasi sempre con belle donne.
Prima di mia moglie, mi sono dato da fare parecchio. Anche questo l' ho preso da Ugo.
Erotomane.
Non tanto l' erotismo, piuttosto la seduzione, la compagnia femminile, e certi lati di mio padre non sono mera imitazione. Sono proprio lui.
Qualche donna con cui sono stato neanche la ricordo.
Torniamo al vino: prima sbronza.
Riesco sempre a mantenere il controllo della situazione.
ALESSANDRO GASSMAN - LORENA FORTEZA - GIANMARCO TOGNAZZI
Proprio mai?
Ah sì, due volte. La prima per un errore clamoroso: quando vendemmiavamo con Ugo e gli altri, realizzavamo un vino grezzo, e la spremitura la versavamo in delle tinozze; dall' euforia mi sono attaccato al rubinetto e inevitabilmente ho succhiato tutto il gas. Avevo otto anni.
La seconda?
Durante le riprese di Io no, dovevo girare delle scene dove il personaggio era sbronzo: iniziai a bere convinto di mantenere il controllo, solo che girammo tutto il giorno e a fine giornata vagavo fino a quando mi hanno ritrovato a terra.
Da attore come si giudica?
Non mi guardo, non vado al monitor, amo vedere solo il film finito, perché la pellicola è del regista, mentre a teatro la mia idea è molto differente: il regista è importante, poi tocca all' attore, e ogni sera te la devi vedere con uno stimolo interno, con il termometro che hai su sala e pubblico.
Dal palco guarda la platea?
Se mi infastidisce.
Cosa?
È cambiato l' approccio del pubblico e il grado di educazione: è difficile trovare una serata senza qualcuno che estrae dalla tasca il cellulare; un tempo facevo pippa, ora inizio a non tollerarlo.
Soluzione.
Da quest' anno entrerò in scena con il cellulare in tasca e se becco qualcuno illuminato dallo schermo, tiro fuori il mio e per cinque minuti farò i cazzi miei.
Punisce i non colpevoli.
C' è bisogno di un segnale: se chi gli sta accanto non interviene, allora ci penso io.
È incazzoso.
Nella mia vita non ho mai dato uno schiaffo, al massimo le ho prese; però quando sono andato fuori registro, non mi sono più controllato. Quindi evito, perché rischio di passare dalla parte del torto.
Insomma, come si giudica da attore?
Ho iniziato consapevole di essere un esibizionista e mi serviva per rompere con la timidezza: ridicolizzarmi mi ha aiutato, quindi all' inizio portavo me stesso, non studiavo il personaggio, e sono stato adolescente oltre il limite temporale concesso.
Cioé?
Scemotto più del normale, poi sono diventato assolutista e reazionario.
Un esempio di reazionario?
Su alcune battaglie degli attori, in particolare sul fine degli anni Ottanta: mi aspettavo una reazione collettiva rispetto a delle storture dell' ambiente, ma c' è sempre qualcuno che ti dice "e io come faccio?"; ognuno pensa sempre al suo orticello; a me piace fare squadra, amo stare insieme.
Atteggiamento di famiglia.
Può essere. A me piaceva duettare con Alessandro Gassmann o con Bruno Armandoi, perché voleva dire avere un amico accanto nei momenti di difficoltà, nel superare la montagna. Ho sempre vissuto così. E per questo amo il calcio, non molto il tennis.
Un suo difetto.
Non ho il dono della sintesi, mi perdo.
Non finge.
Vado diritto, niente tattiche o strategie.
Mai.
Nemmeno con le donne. Forse se avessi messo in campo qualche strategia, avrei ottenuto di più nel mio lavoro.
Serve?
Molto.
Riproviamo: lei attore.
Sono partito con il portare me stesso, senza alcun pensiero dietro, così in Vacanze in America o Sposerò Simon Le Bon; quindi il botto da conduttore su Canale5, e i primi veri bei soldi guadagnati, la fama, gli autografi, le ragazzine sotto casa.
Soldi guadagnati.
Lì ho cercato di spiegare a mio padre che non era lui a finanziarmi grazie alle migliaia di lire allungate da mamma.
Non ne era convinto?
Non ci credeva, poi quando gli ho mostrato il contratto firmato con Canale 5, ha strabuzzato gli occhi: "Cacchio, guadagni più di me".
gianmarco tognazzi valeria pintore
Primo acquisto.
Fiat Uno Turbodiesel.
Diesel?
Delle macchine non me ne è mai fregato nulla, ma anche del resto, non ho molti vezzi: nessun orologio, braccialetto, o tatuaggio.
Comunque una svolta.
E poco dopo mi chiamano per presentare Sanremo: lì la mia popolarità si moltiplica di quattro volte e si apre la possibilità di diventare un vero presentatore.
Eppure molla.
La fortuna è stata quella di conoscere Beatrice Bracco: in venti secondi riesce a radiografarmi psicologicamente, e ribalta ogni certezza. Lì scopro le finestre della vita e ogni finestra offriva una chiave su come costruire il personaggio; e poi mi insegna a rilassarmi, a gestire la carica emotiva. A studiare per capire.
Tornare con i piedi a terra.
E non sentirmi 'sto cazzo', perché è un attimo montarsi la testa. E da lì posso sentirmi attore, non come ai tempi di Vacanze in America.
Lì si sarà divertito
Ero minorenne e in California mi dovette accompagnare mamma: la sera loro si concedevano tutte le mattate del mondo, io niente.
Scopre il teatro.
Con serate in strutture da quaranta posti, neanche una lira, poi di nuovo cinema. E comprendi che non sei più solo Gianmarco, ti poni le domande, cerchi risposte, e inizi a lavorare in base a quello che vuole il regista.
Sempre.
Molti dicono: "Stai meglio senza parrucca, perché la metti?"
Risposta.
Non è importante come sto meglio nella vita, ma cosa è utile al film, poi fuori dal set non la indosso, anche perché sono uno dei pochi al mondo felice di aver perso i capelli.
Davvero?
Se fosse capitato negli anni Ottanta, avrei rimorchiato venti volte di più.
Non è schiavo della telecamera.
Quindici anni fa, poco dopo la separazione da Alessandro, sono tornato a vivere a Velletri e nel momento in cui forse avevo più bisogno di vita sociale romana.
Per alcuni una fuga.
Mi interessa poco, cerco l' onestà nei miei confronti e nelle persone che mi circondano.
Alessandro Gassman e Gianmarco Tognazzi
Allora, perché?
Avevo capito che se avessi riposto tutte le mie energie su questo mestiere sarei andato fuori di testa.
E…
Ho smesso di fare il criceto sulla ruota, angosciato dalle opportunità, e all' improvviso, da quando sono in questa dimensione più emarginata, la mia non perenne presenza si è avvertita rispetto a quando ero a disposizione.
Chi la viene a trovare in campagna?
Nessuno.
Nessuno?
Casa nostra è da sempre aperta: oggi è più difficile.
Cosa?
Ai tempi di mio padre c' era il telefono a gettone, eppure si organizzavano con facilità e leggerezza, e in momenti complicati come gli anni di piombo; oggi la domanda è "quando mi inviti?", e la naturalezza si va a far fottere: questa libertà ha creato molto più isolamento.
Allora no
A casa nostra tutti i giorni c' erano dieci o quindici persone che andavano e venivano. Cena, cena, cena, pranzo, cena. A ripetizione. Stop solo quando Ugo partiva per un film, poi tornava e si ricominciava. Il cinema veniva da noi, invadeva il nostro spazio, e avevo molta più difficoltà a vivere la città.
Perennemente a tavola.
Se hai questa roba qua, o la ami, o a un certo punto senti di odiarli: ti tolgono lo spazio centrale con tuo padre.
Non semplice.
Ho chiesto consiglio a chi è cresciuto nella mia stessa condizione, come a Marco Risi. Oggi intorno a me non sento questa reale voglia di stare insieme.
Nel 1978 "Il Male" scrisse in prima pagina: "I capi delle Brigate Rosse sono Raimondo Vianello e Ugo Tognazzi".
A causa di questo hanno provato a linciarmi.
Metaforico.
Reale! Allora non esisteva internet, i canali tv erano pochi, per informarti c' era l' edicola: quando uscì la notizia, molte persone ci hanno creduto, e io apparivo come il figlio di chi aveva ammazzato Moro.
Chi provò a linciarla?
Quel giorno vado a scuola con il nostro autista, arrivo, vedo la folla, scendo dalla macchina e sento qualcuno gridare "assassino". Neanche capivo.
All' improvviso l' autista mi riporta dentro e fuggiamo. Mio padre fu costretto ad andare in televisione per rivendicare il diritto alla cazzata.
Spaventato.
Avevo 11 anni ed ero ragazzino, uno ingenuo. Sono rimasto adolescente fino ai 19.
Prima donna?
Lì un po' meglio, verso i 15 anni e mezzo e dopo aver rotto le palle a mamma perché volevo andare a una festa a Roma: in campagna mi sentivo troppo isolato.
Ai suoi figli cosa ha raccontato di suo padre?
In questo caso è accaduto qualcosa di incredibile: da subito, e tutti e due, bastava mostrargli una foto e lo indicavano. Sempre. Senza sbagliare mai, anche se era giovane, su un set, o da adulto.
Il loro film preferito?
In generale?
No, con suo padre.
Non ne hanno mai visto uno. Il rapporto con Ugo non è attraverso il lavoro.
Il suo soprannome da ragazzo.
Pollo.
Motivo.
Sono sempre stato in qualche modo una sponda, anche a tavola con mio padre: poteva portare ai massimi livelli l' ironia cinica di un genitore, ben consapevole che non mi sarei offeso. A volte mi chiamava il Defi piuttosto cente.
Poi sono diventato Gimbo (ruolo nel film Lovest), che è il personaggio che più si avvicina al me Pollo.
Diceva: sono felice di lavorare con Alessandro.
È stato bello, e lo dico senza retorica, perché ci conosciamo da sempre e litighiamo da sempre. È impossibile non discutere con lui, come per lui non è possibile non discutere con me. Però quando ci ritroviamo è un attimo, un click e siamo noi. La stessa cosa accadeva ai nostri genitori.
Ai tempi in cui si stava sempre insieme.
Papà e Vittorio no, però erano grandi amici. E sapevano guardarsi negli occhi.
gian marco tognazzi 3alessandro gassmann e gian marco tognazzigian marco tognazzi gian marco tognazzi gian marco tognazzi 4
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