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Gianni Santoro per “il Venerdì di Repubblica”
«Io non venderei mai il mio catalogo». Gino Paoli, 87 anni, è categorico. Il Covid da cui è uscito recentemente lo ha indebolito, ma è determinato: «Mi sembra una stronzata. A mia moglie e ai miei figli cosa lascio? La mia ricchezza è il mio repertorio, perché anche quando sarò morto potrà fruttare dei soldi. Il capitale di un autore è il suo catalogo».
Si parla di grandi cifre: centinaia di milioni di dollari per Bob Dylan. «Ma bisogna vedere: quanto rende ogni anno il catalogo di Dylan? Se rende molto è una stronzata la vendita». Stanno sbagliando questi artisti che vendono?
«Bisognerebbe capire di cosa si parla, perché la riscossione dei crediti per autore è fatta in maniera particolare, di solito metà va all'edizione e metà agli autori di musica e parole. Però la questione è: tu l'unica cosa che puoi vendere è la tua parte».
Springsteen ha ceduto anche il controllo dei master e le registrazioni.
«Se è proprietario dei suoi master può venderli. L'edizione è soggetta a regole diverse: puoi anche aprire una società di edizioni in cui depositi tutti i tuoi pezzi. Evidentemente è gente che preferisce avere i soldi che non la proprietà delle canzoni».
Gli acquirenti possano fare di quei brani quello che vogliono?
«Più o meno, anche se l'ultima parola nell'uso di un pezzo è sempre dell'artista. Nel senso che se quest' uso danneggia la sua immagine o la sua vita artistica allora può dire no».
Quindi lei proprio non venderebbe?
«Il mio catalogo di allora l'ho già venduto, tanto tempo fa, nel senso che era editato da altri, prima Ricordi, poi Cbs... Poi ho iniziato a usare una mia società di edizioni per depositare i brani (la Senza Fine, ndr)».
Quindi se vogliono usare Il cielo in una stanza in una colonna sonora o in uno spot pubblicitario glielo chiedono prima, oppure eventualmente può rivalersi dopo?
«No, a me lo chiedono prima, non so agli altri. Io ho un agreement con la casa discografica per cui ascoltano prima me per sapere se va bene. Ma non ho mai detto di no perché non erano cose che potevano danneggiarmi».
A cosa direbbe di no?
«Posso dire una cosa buffa, per capirci: se vogliono usarle come pubblicità di una carta da cesso posso dire di no. Perché non mi piacerebbe la cosa, ma non è detto che l'abbia vinta io».
Ha sempre seguito in prima persona l'evoluzione dei suoi affari?
«No, ho sempre delegato. Io sono uno che non fa niente (ride). Ho persone di cui mi fido e alle quali delego tutto. La fiducia per me è tutta o niente».
Ma ad esempio, sa quali sono le sue tre canzoni che fruttano di più a livello di diritti d'autore?
«Più o meno. Ci sono canzoni come La gatta che fa ancora l'ira di Dio. E poi Il cielo in una stanza, Sapore di sale e via via fino a Una lunga storia d'amore. Almeno una decina di brani danno ancora un grosso incasso Siae».
A proposito. Lei è stato presidente della Siae: mai avuto lamentele di autori che non riuscivano ad avere il controllo sulla propria arte?
«No, il controllo della Siae è semplicissimo. I soldi vengono distribuiti molto chiaramente tra autori di musica e parole. Pensi che il diritto d'autore è nato ai tempi di Mozart: non aveva nessun diritto su quello che scriveva, per cui doveva comporre in continuazione per guadagnare dalle esibizioni.
Finché un paio di filosofi del tempo cercarono di risolvere la questione, praticamente istituendo il diritto d'autore. E da allora è usato in tutto il mondo, perché è un diritto sul prodotto che fai: come un falegname fa un mobile e gli viene pagato, così tu scrivi una canzone e paga chi la usa».
Neil Young ha tolto la sua musica da Spotify perché sulla piattaforma c'era anche un podcast di un No Vax.
«Noi siamo quelli con un faro addosso e il nostro compito certe volte è portare quel faro su un problema preciso in modo che la gente lo veda. È un compito che ci spetta».
gino paoli al festival di sanremo del 1961
La preoccupa l'uso che potrebbe essere fatto in futuro della sua musica senza il suo controllo?
«No, perché sarò presuntuoso ma la mia musica ha un livello che impone un certo rispetto. Prendi Papaveri e papere, canzone bellissima di tanti anni fa, ma forse puoi anche sporcarla in qualche maniera. Prendi però Il cielo in una stanza: sono cazzi tuoi se provi a sporcarla, no?».
All'ultimo festival di Sanremo è stata cantata da Mahmood e Blanco.
«È stata una cosa molto rispettosa della canzone. E nello stesso tempo l'hanno tirata dentro in un mondo che non le appartiene, ma in cui può sopravvivere. Un'operazione che non mi è dispiaciuta per niente».
E lei, il catalogo di quale artista comprerebbe?
«Bisognerebbe vedere quanto rende e per quanti anni. Ma dovessi rispondere con il cuore direi Umberto Bindi».
La musica dal vivo le manca? «Molto, è un anno che non canto in giro. E ho paura a ricominciare: ho sempre avuto paura di andare sul palco, non mi sono mai veramente abituato.
Al festival di Sanremo del '64 ero con Modugno, bevevamo alcolici. Io lo guardo e gli dico: "Ma tu ti caghi ancora addosso? Sono anni che canti". E lui: "Guarda, o ti caghi addosso tutta la vita oppure non ti caghi addosso mai".
In quel momento passava la Cinquetti, tutta carina, tranquilla. "Vedi lei? Non ha paura". E infatti quando siamo usciti sul palco abbiamo fatto un casino. Prima è toccato a lui, e mi fa: "Hai della segatura? Perché mi son cagato addosso". Si era dimenticato le parole della canzone, aveva inventato lì per lì le prime due strofe. Quando ho cominciato a cantare io la gente pensava che il microfono non funzionasse, invece non mi usciva la voce. Figura di merda niente male, tutti e due».
MAHMOOD BLANCO 3MAHMOOD BLANCOgino paoli STEFANIA SANDRELLI E GINO PAOLIGINO PAOLIgino paoli ad amicigino paoli
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