DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Da https://www.rollingstone.it - Estratti
Cosa farò da grande afferma Gino Paoli nel titolo della sua autobiografia (Bompiani) scritta con Daniele Bresciani, e non se lo domanda perché ha sempre avuto le idee chiare. È ancora così alla soglia dei 90 anni, che compirà il prossimo 23 settembre. Un sacco di storie, pensieri e progetti di passato, presente e futuro ce le ha raccontate chiacchierando nella bella casa di Nervi, alle porte di Genova, dove ci ha ospitati tra una focaccia genovese e la vista del mare che non può mancare nel suo orizzonte.
Dicono non sia facile avere a che fare con l’autore del Cielo in una stanza e Sapore di sale, perché a una spiccata ispirazione verso la descrizione in musica dei sentimenti si aggiunge un carattere piuttosto refrattario a ipocrisie e compromessi. Non a caso, nel libro ricorda quella volta che cercò di investire in auto un paparazzo o quando entrò nella redazione di un giornale di gossip con una mazza da baseball minacciando di spaccare la testa a chi aveva scritto certi articoli.
Per fortuna a compensare il suo lato più burbero c’è la moglie Paola Penzo, come lui stesso ammette: «È la mia proiezione gentile e carina». Così ci parlerà di tutto, partendo dall’autobiografia dove ha inserito più gli errori dei successi senza risparmiarsi nulla, come una vera rockstar: «Sembravo intimista e invece facevo le stesse cose dei rocker».
Dalla cronica pigrizia che non lo fa scendere in studio a registrare cinque canzoni inedite già pronte al famoso caratteraccio: «Se qualcuno ti dice che sono refioso (in genovese “scostante”, nda), significa che mi ha affrontato nello stesso modo». Dalle sigarette sostituite con quelle elettroniche che considera «delle porcate» a Giorgia Meloni che sullo slogan “dio, patria, famiglia”, colpevole di ogni guerra, «mi dovrebbe pagare il copyright».
ornella vanoni e gino paoli - che tempo che fa 1
Poi la musica, che ha attraversato per 60 anni da protagonista e da talent scout: Tenco che «era più allegro» e quando lui si sparò gli disse: «Gino, queste cose non si fanno. E poi l’ha fatto lui». Ancora, i calci nel culo a De André per farlo esibire, la vendetta verso la giornalista che iniziò a perseguitare Bindi perché omosessuale, i pezzi scritti e non firmati per sostenere Little Tony o Zucchero, il problema con la droga di Califano, Mina con meno cuore della Vanoni e il suo erede Vasco Rossi. Fino alle generazioni di artisti che ci stiamo perdendo a causa di chi li seleziona («con questi filtri non sarebbe esistita la scuola genovese»). Persino sui Måneskin, che non ascolta ma di cui ha sentito fin troppo parlare, non ha dubbi: «Sono tre bei fighi e una bella figa, per quello funzionano».
Dice di cercare la bontà ma di trovare troppa cattiveria. Mentre lo sostiene, in tv passano le immagini dei bombardamenti a Gaza. Ricorda di essere cresciuto sotto le bombe della Seconda guerra mondiale: «Conferma che l’80% della gente è stupida». E anche per questo non ha timore della morte: «Quando arriverà non mi dispiacerà, questo mondo non mi piaceva e continua a non piacermi».
(…)
Tra l’altro, nel suo racconto emerge un Luigi Tenco allegro e disincantato, molto distante dalla figura triste e introversa che gli è stata cucita addosso dopo la morte.
Luigi era più allegro di noi. Si inventava gli scherzi. Quando abbiamo visto insieme il film di James Dean Gioventù bruciata, abbiamo capito che essere un po’ ruvidi e corrucciati funzionava con le ragazze. Andavi in un locale, facevi l’intimista e loro ci cascavano subito. Questo deve aver influenzato chi non lo conosceva e poi lo ha dipinto come uno ombroso.
(..) I Måneskin sono passati da molti filtri, come li ha definiti, e sono arrivati a raccogliere un successo mondiale. Hanno delle qualità o li considera solo marketing?
Non potrei valutarli perché non ho mai sentito le loro canzoni. Ma so che quel che conta oggi è come uno si presenta. Non a caso siamo nell’epoca dell’apparenza. Se l’apparenza è quella giusta, che cantino qualsiasi cosa non frega niente a nessuno però arrivano. L’importante è impressionare. Il Festival di Sanremo sai da chi nasceva?
(…)
Cioè l’estetica?
Oggi se condisci col sesso qualsiasi cosa poi arriva. Persino nelle pubblicità. Loro sono tre bei fighi e una bella figa, e per quello funzionano. Posso anche sentirli, ma sono convinto che non siano eccezionali come sembrano perché giocano su un tasto facile come la sessualità.
(…)
Mi dica.
La guerra nasce per tre ragioni fondamentali: dio, patria e famiglia.
Mi ricorda lo slogan che ha portato al governo Giorgia Meloni.
Perché ha sentito me, io lo dico da molto prima di lei. Mi deve pagare il copyright!
Tornando al suo libro, a un certo punto spiega le ragioni che l’hanno portata a spararsi nel ’63, in pratica perché aveva tutto e non provava più niente. Ma il dettaglio impressionante è che Tenco, accorso in ospedale, le ripete: “Gino, questo non si fa”.
Mi trovavo in coma, non per il colpo di pistola ma perché avevo preso un sacco di pillole per farmi fuori, poi non facevano effetto e mi sono sparato. L’attesa era troppa, una rottura di palle. Quando mi hanno curato pensavano fossi in coma per la pallottola, invece era per i farmaci. E quando mi sono svegliato, ricordo Luigi fuori dalla stanza che diceva “non si fa una cosa così, Gino, non dovevi farlo”. E poi l’ha fatto lui…
Nel ’67 aveva interrotto i rapporti dopo che l’aveva chiamata per avvisarla di essere a letto con Stefania Sandrelli, fino ad allora sua amante, ma non ha mai pensato che quel gesto di Tenco potesse essere persino un modo per emulare ciò che aveva fatto lei?
GINO PAOLI CON I FIGLI GIOVANNI E AMANDA
Lui era un po’ come il mio fratello più piccolo, aveva due anni in meno. In effetti il suo lo considero un gesto teatrale finito male. E mi sento molto colpevole perché non c’ero. Sono convinto che se fossi stato presente non sarebbe successo.
Come ricorda, in quell’epoca il Festival di Sanremo veniva vissuto in modo particolarmente ansiogeno da chi partecipava.
In modo tremendo. Pensa che una volta ero al night con altri, visto che c’era più solidarietà tra noi cantanti, e Piero Focaccia, che era sbronzo come me, mi disse: “Se domani non vinco mi ammazzo”. “Cosa cazzo dici Piero?”, gli ho risposto. Faceva il bagnino, era uno solido, eppure quell’atmosfera di Sanremo era pesantissima anche per uno come lui.
Poi nel ’68 la politica entra anche nella musica, e lei decide di farsi da parte per tre anni. Ne ha sofferto?
Politica deriva da polítes, ciò che riguarda il cittadino. Non è possibile fare qualcosa che non sia politico. Lo sei sempre, anche senza dichiarare se sei comunista o fascista. Stando nella società ti devi occupare della tua presenza come cittadino. Ma non ho sofferto senza pubblicare nulla, alla fine ho continuato a suonare in giro.
Quello che sembra essersi inasprito negli anni a venire è il rapporto con la stampa. Racconta di aver provato a investire con l’auto un paparazzo e di essere entrato nella redazione di un giornale di gossip con una mazza da baseball minacciando i giornalisti di non scrivere più dei suoi figli.
Io sono come il camaleonte, se mi tratti bene io ti tratto bene, se mi affronti ti mando a cagare. Il rapporto con i giornalisti si guastò quando Nanni Ricordi, al mio primo Festival, mi costrinse a partecipare a una conferenza stampa dove cominciarono a farmi domande idiote e così gli dissi: “Se c’è qualcuno che ha una domanda intelligente rimango, altrimenti me ne vado”. Nessuno rispose e me ne andai. Non mi ha messo in buona luce con i giornalisti.
Però anche dopo, quando una giornalista le chiese “Cosa fa prima di cantare?”, lei rispose: “Io mi faccio una sega”.
Lei aveva bastonato Umberto Bindi, cominciando la persecuzione nei suoi confronti perché era omosessuale. Leggendo i suoi articoli già la odiavo. Arrivata a farmi quella domanda, le risposi in quel modo e lei la scrisse indignata. Poteva anche lasciar perdere.
GINO PAOLI CON LA GATTA CIACOLA
L’aneddoto è stato raccontato recentemente da Adriano Aragozzini, che, oltre a direttore artistico di Sanremo, è stato anche suo segretario.
Ha lavorato con me per anni, è molto intelligente ma matto come una capra. L’ultima volta che ha diretto Sanremo mi chiama e ci vediamo in un bar. A un certo punto sale sul tavolo e da quella posizione cerca di convincermi che dovevo andare ospite. Non è uno stupido, anzi. Modugno, che lo aveva preso come personal manager, era contentissimo di lui. E anch’io.
(…)
Ultimamente è successo a Morgan a Selinunte di reagire a chi dal pubblico gli chiedeva con insistenza di cambiare il repertorio proposto. Ed è finita con insulti reciproci.
Tu sul palco sei sempre il vincente perché hai il microfono, altrimenti che salgano loro. Io una volta l’ho fatto. Era il periodo della contestazione, quando hanno messo in croce Francesco De Gregori, che ha rischiato parecchio. Nel milanese c’era uno che mi rompeva le palle dal pubblico, allora sono sono sceso e gli ho dato il microfono: “Tieni, vai avanti tu”. Ha cominciato a parlare, ma dopo pochi minuti si è alzato un omone, un operaio che ha urlato: “Senti, io lavoro tutta la settimana e vengo qui a sentire Gino Paoli. Te ne vuoi andare?”. La contestazione a me è finita così.
Se le nomino Piero Ciampi, cosa le viene in mente?
Che beveva un po’… Quando è arrivato a Genova è stato buttato fuori da casa di Reverberi, poi da casa mia da parte dell’ex moglie, infine da casa di Tenco dove l’hanno cacciato fuori i suoi genitori. Un giorno l’ho portato alla RCA per fargli avere un ingaggio e riesco a fargliene avere uno notevole in anticipo, solo che è stato un brutto scherzo. Usciamo con Piero con le tasche piene di soldi che mi fa: “Gino, glielo abbiamo buttato nel culo, eh?”.
Infatti poi quel disco non lo fece mai.
Sparì alla ricerca della moglie che gli era scappata in Inghilterra, ma senza sapere dove di preciso. Un’altra volta un amico che aveva un locale a Milano, dopo una settimana dove ho suonato io, mi chiese di fargli il nome di qualcuno al mio posto e portai Ciampi. In quel periodo beveva poco, solo che con quel poco era già sbronzo. La prima sera eravamo al bar del locale e sul palco si esibiva Silvan il mago. Non sono riuscito a trattenerlo, va su e dice: “Adesso mi rifai quel numero e se becco dove fai finta ti faccio un culo così. Però… però… se non lo becco… il culo me lo puoi fare tu”. Il pubblico di stucco.
Di Bruno Lauzi invece scrive: “Lui era liberale, e inevitabilmente i liberali scivolano verso il fascismo, mentre io e Luigi stavamo dall’altra parte”.
Ma non era Bruno a scivolare nel fascismo, erano i liberali che sono venuti dopo. Prima erano seri. Poi hanno cercato di infilarsi nei comunisti, nei socialisti e nei democristiani. Dappertutto.
Mentre di Franco Califano, in pochi ricordano che è stato lei a spingerlo a cantare.
Era un ragazzo molto intelligente, peccato per la coca… Si è scoperto che aveva quel vizio quando l’hanno portato in carcere perché era andato a fare una serata a Napoli in un locale che apparteneva alla malavita. Quando finì lo spettacolo, per pagarlo, gli dissero: “Invece dei soldi, visto che a te costerebbe di più, ti diamo un barattolo di cocaina”. Quando poi l’hanno beccato le forze dell’ordine lo hanno accusato di spaccio, solo che lui mica la spacciava. Come Walter Chiari, ne aveva sempre quantità mostruose.
fabrizio de andrè beppe grillo gino paoli
È successo anche a Vasco Rossi, come ricorda nella serie Netflix Il supervissuto. In lui ha sempre visto il suo erede.
È l’interprete di un certo tipo di balordi o di ribelli, chiamali come vuoi, che sono gli stessi a cui mi rivolgevo io. Il mio inizio era contro, al punto di scrivere una canzone che non è organizzata come una canzone come Il cielo in una stanza. Mogol, figlio del direttore editoriale della Ricordi Mariano Rapetti, la presentava a tutti e gli dicevano che non era una canzone, finché Mina dopo averla ascoltata si è messa a piangere e l’ha cantata.
Mina si può considerare ancora oggi la più grande?
È la più grande esecutrice. Ha la qualità di riuscire a fare sua qualsiasi canzone che le dai, anche di poco conto. Le manca un po’ il cuore, la passione, come può avere Ornella Vanoni.
(…)
Mentre di Fabrizio De André segnala che soffriva di “timor panico”.
Se gli chiedevi di suonare si vergognava. Aveva il complesso di essere brutto, per la palpebra cadente che copriva con i capelli. Era una stupidaggine, glielo dicevo sempre. Allora beveva e andava fuori. La prima volta che doveva suonare dal vivo al Circolo della Stampa di Genova, per farlo uscire ho dovuto prenderlo a calci nel culo. Un’altra volta avevo un locale a Levanto e la Puny (Enrica Rignon, nda), la prima moglie, insisteva per farlo cantare. Arriva in motoscafo, stiamo tutto il tempo insieme, e quando è l’ora di salire sul palco si dilegua.
Nell’autobiografia confessa di avere un debole per un musicista di oggi. Si tratta di Tonino Carotone: “È un mondo difficile. E vita intensa. Felicità a momenti. E futuro incerto. Serve aggiungere altro?”.
Un pazzo geniale. In Spagna lo considerano un dio. Ha un bel cervello ed è un bel bevitore. Quando lavoravo a Madrid è venuto a trovarmi in moto ed era già sbronzo. Poi ha bevuto ancora ed è andato via sempre in moto. È ancora vivo, quindi è andato bene il viaggio di ritorno.
Altro artista che stima e che ha aiutato nei suoi inizi è Zucchero. Ma perché gli dice sempre che fa di tutto per imbruttirsi?
Lui è un bel ragazzo. Se lo metti sotto la doccia e gli tagli barba e capelli non è così come appare oggi.
(…)
Di un cantautore non si direbbe, invece lei ha avuto una vita da rockstar.
Eh sì, sembravo intimista e invece facevo le stesse cose dei rocker!
E sono arrivato fino a qui senza che mi abbia mandato a quel paese.
Se qualcuno ti dice che sono refioso (in genovese “scostante”, nda), significa che mi ha affrontato nello stesso modo. Non c’è un cazzo da fare…
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