freaks out

IL CINEMA DEI GIUSTI - ALLA FINE ECCO IN SALA IL TANTO ATTESO “FREAKS OUT” DI GABRIELE MAINETTI. PIACIUTO AL PUBBLICO ITALIANO CHE L’HA VISTO A VENEZIA, UN PO’ MENO AI CRITICI AMERICANI UN FILO BACCHETTONI CHE NON HANNO GRADITO IL MODO POCO RISPETTOSO DI TRATTARE L’OLOCAUSTO, LE TROPPE SVASTICHE NAZISTE, IL PERSONAGGIO DEL NANO SUPERDOTATO. CHE DIRE? FILMONE. O SE VOLETE FIRMONE. COME IN ITALIA È RARO FARLI E VEDERLI. UN VERO E PROPRIO SPETTACOLO CHE NON TI STANCHI DI VEDERE - VIDEO

 

 

Marco Giusti per Dagospia

 

freaks out

Alla fine eccolo in sala il tanto atteso “Freaks Out” di Gabriele Mainetti. Piaciuto in gran parte al pubblico italiano che l’ha visto a Venezia, un po’ meno ai critici americani un filo bacchettoni che non hanno gradito il modo poco rispettoso di trattare l’Olocausto, le troppe svastiche naziste, il personaggio del nano superdotato.

 

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Che dire? Magari non andava portato a Venezia, ma a Cannes, dove un film abbastanza simile perché legato a una tradizione di graphic novel come “Titane” di Julia Ducournau ha addirittura vinto la Palma d’Oro, o a Roma, dove giocava in casa o al Festival di Tokyo, dove la sua parte manga sarebbe stata più apprezzata.

 

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Detto questo, con la sua ambizione di voler fare un film alla Spielberg, ricco quel che era possibile, sembra che il budget sia di 14 milioni di euro, ma è già venduto in Francia e in Giappone, confermo quel che scrisse due mesi fa. Filmone. O se volete firmone. Come in Italia è raro farli e vederli.

 

Uno spettacolo, magari non sempre al massimo, magari non sempre originale, ma un vero e proprio spettacolo che non ti stanchi di vedere. Come fosse un film di Guillermo Del Toro o di Alex De La Iglesia, come fosse insomma un grande film internazionale strambo e ricco con effetti speciali e effetti visivi finalmente riusciti.

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Che punta però molto in alto, con coraggio e faccia tosta, come da tempo ci siamo augurati tutti di fare, senza i borghesi di Prati alla Moretti o i poveri tristi che fanno cazzate e piacciono così tanto ai rampolli emergenti del cinema italiano.

 

gabriele mainetti foto di bacco (2)

Ma soprattutto questo attesissimo “Freaks Out”, diretto da Gabriele Mainetti, che lo ha scritto assieme a Nicola Guaglianone, uscito a distanza di sei anni dal loro riuscito e amatissimo dal pubblico più giovane “Lo chiamavano Jeeg Robot”, un film che, è bene ricordare, venne rifiutato da tutte, ma proprio tutte le rassegne veneziane barberiane e sub-barberiane e venne raccolto dalla Festa di Roma da Antonio Monda, è esattamente quello che il pubblico di Jeeg Robot si aspettava. Il pubblico non va deluso.

 

gabriele mainetti

E’ la prima regola. Vi era piaciuto un super-eroe romano coatto che non sa bene cosa fare dei suoi super-poteri?

 

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Stavolta ve ne diamo ben quattro e tutti romani, un uomo-lupo forzuto, il Fulvio di Claudio Santamaria ricoperto di peli, una ragazza elettrica, la Matilde di Aurora Giovinazzo, vera scoperta del film, un uomo-calamita, il piccolo Mario di Giancarlo Martini, che ha problemi seri nel contenere le sue erezioni, un albino capace di spostare insetti su insetti, il Cencio di Pietro Castellitto, ormai una star dopo il Totti seriale, anche qui con le battute a raffiche che i ragazzi adoreranno.

 

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Li mettiamo prima in un piccolo circo, al seguito di un direttore ebreo, Israel, interpretato da un ispirato e umanissimo Giorgio Tirabassi, e poi nel pieno della guerra, in una Roma piena di nazisti, la scena della deportazione degli ebrei dal Ghetto di Roma è girata benissimo e super-realistica.

 

Poi li spostiamo in fuga tra i partigiani spiritati, chi senza un braccio, chi senza una gamba, chi senza un occhio, comandati da una strana versione rivista del Gobbo del Quarticciolo, interpretato con una vena di follia da Max Mazzotta. Come se Mainetti e Guaglianone stessero giocando con citazioni anche irriverenti, alla Risi-Monicelli diciamo, di due celebri film di Carlo Lizzani legati alla Roma dei tempi di guerra, “L’oro di Roma” e “Il gobbo”, dove oltre al gobbo di Gerard Blain si univa un Pier Paolo Pasolini partigiano con il braccio di ferro. Insomma.

 

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Prima facciamo esplodere il circo sotto le bombe, poi separiamo i quattro freaks protagonisti dal loro direttore, Israel, che cerca di raggiungere Roma per comprare biglietti per l’America dai suoi amici Spizzichino non nascondendo affatto il suo essere ebreo. E infatti Israel non torna, così i quattro freaks decidono di cercarlo a Roma.

 

gabriele mainetti foto di bacco (1)

Dove arriveranno i guai, perché, non solo si imbattono nei nazisti e nel gruppo dei partigiani del Gobbo, ma anche nella follia del Zirkus Berlin, baraccone tenuto da un nazista pazzo, Frank, Franz Rogowski (già visto in “Happy End” di Michael Haneke), pianista con sei dita per mano che viaggia nel futuro grazie all’etere, e infatti non suona i classici del passato, ma del futuro, come i Radiohead.

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Questo Frank, conoscendo il futuro, sa che Hitler farà una brutta fine, ma pensa di poter cambiare il corso della storia coi superpoteri dei quattro freaks nelle sue mani. Il resto ve lo vedete. Diciamo che Mainetti e Guaglianone non sempre si regolano, esattamente come in “Jeeg Robot” esagerano nel fumetto e nelle assurdità. Ma perché non lo dovrebbero fare? E’ il loro film, devono esagerare, devono arrivare alle battaglie più assurde.

 

lo chiamavano jeeg robot

Ci crediamo? Boh? Non so. Ma so che va bene così, perché il film te lo bevi tutto senza problemi. E mi sembra forse meno poetico di Jeeg, manca un personaggio forte e nuovo come quello di Ilenia Pastorelli, manca la cattiveria da fumetto di Luca Marinelli jokerizzato, ma è molto più solido e ricco del precedente. E’ un grosso passo avanti nella produzione. E dimostra ancora una volta, come per Jeeg, che è meglio farsi le cose da soli fidandosi il minimo dei produttori. Mainetti rischia, come rischiò ai tempi di Jeeg. Lì vinse lui. E qui probabilmente tornerà a vincere. O almeno glielo auguro di cuore. In sala dal 28 ottobre.