“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
Marco Giusti per Dagospia
Ci sarà pur modo di tornare a casa. E di iscriversi all’università. E di tornare alla normalità. E’ Spider-Man, nel suo film più strampalato e commovente, “Spider-Man: No Way Home” di Jon Watts, scritto da Chris McKenna e Erik Sommers, che inizia clamorosamente con la sua identità rivelata e lui, insieme a Zendaya e ai suoi, realissimi, 113 milioni di followers, rincorso dai fan di tutto il mondo come fosse una star del cinema, a riportare, come aveva anticipato addirittura Paul Thomas Anderson, il pubblico a casa. E a farlo sognare.
Tre milioni di spettatori in Italia solo il primo giorno. Figurarsi in America e in tutto il mondo. In fondo Spider-Man, nella versione ragazzino interpretato da Tom Holland, ormai sommerso della sua “spalla” e fidanzata Zendaya, che, dopo “Dune”, ha già pronta, il 9 gennaio, la seconda stagione di “Euphoria”, ha dei desideri limitati e semplici.
Vuole fare l’università, il MIT, il Massachusetts Institute of Technology. E, assieme a lui, la vogliono fare anche la MJ di Zendaya e l’amico del cuore Ned Leeds di Jacob Batalon. Ma è troppo esposto, troppo Spider-Man rivelato per poterla fare. E la cosa colpisce anche suoi amici, come fossero ex-renziani nella nuova Rai.
Così va dal Doctor Strange, Benedict Cumberbacht con mantellina che avevamo lasciato come castratore di vitelli ma pronto per l’Oscar in “Il potere del cane” di Jane Campion, per capire se con qualche trucco, tipo tutti si dimenticano di me e di chi sono e poi sbamm!, le cose si possono riportare alla normalità e lui e gli amici andare così al MIT.
Doctor Strange ci prova, ma nel corso della stregoneria, per il continuo inserimento di varianti da parte di Spider-Man, non posso non dirlo a MJ… non posso non dirlo a Ned…, qualcosa non funziona.
Così vengono fuori chissà da dove tutti i cattivi dei film precedenti che erano stati liquidati dai vecchi Spider-Man del cinema. Da Octopus di Alfred Molina a Electro di Jamie Foxx, The Lizard di Rhys Ifans a Green Goblin di Willem Dafoe. E mi fermo qui. Sarà il Doctor Strange a spiegare a Spider-Man la teoria del multiverso, per la quale persone di un altro universo passano in quello loro.
E qui scatta il mal di testa per lo spettatore più anziano. Ma non solo le sorprese si fermano qui, perché aprendo agli universi dei vecchi Spider-Man arrivano davvero i greatest hits dei film precedenti e dei mondi cinematogarfici precedenti, come quello di Sam Raimi, il più grande regista che abbia mai trattato l’uomo-ragno. Ma il mischione di vecchi e nuovi universi spidermaneschi smuove nel profondo i ragazzi presenti in sala, almeno dove l’ho visto io, che sono cresciuti con le varie versioni di Spider-Man.
Sono generazioni diverse, dagli otto anni ai 35-40, che si ritrovano estasiate nel rileggere la loro storia. La missione, unica, per tutti, personaggi Marvel e spettatori, è quella di tornare a casa. Anche se lo Spider-Man ufficiale, Tom Holland, uomo che vive di morale, vorrebbe togliere il male da tutti i personaggi negativi.
Più facile smacchiare i giaguari alla Bersani o fare di Salvini il nuovo Gino Strada. Ma già rivederli in scena, rivedere Octopus in azione, non può che essere un tuffo al cuore per tutti i fan della saga, che da qualche parte avranno ancora il loro costume da Spider-Man.
Costruito a metà tra commedia giovanile e grande film di azione, il regista Jon Watts, al suo terzo Spider-Man, sa come farlo funzionare al meglio, prendere tutto il possibile dalle sue star, soprattutto Zendaya, e farli muovere in questa storia curiosa che avrebbe davvero potuto essere una sciagurata collezione di vecchie figurine sbiadite. Non è così. Il pubblico si commuove per davvero. E il mito di Spider-Man continua… Ma entrare al MIT sarà così difficile?
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