DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Marco Giusti per Dagospia
masolino e susi cecchi d'amico con flaiano
Per festeggiare gli 81 anni di Masolino D’Amico, accademico, giornalista, sceneggiatore, critico teatrale, traduttore, autore di un importante libro di ricordi, “Persone speciali”, Sellerio, 2003, di una preziosa storia della commedia all’italiana, io e Dago lo abbiamo intervistato riportandolo agli anni d’oro del cinema e dello spettacolo italiano, quelli che vanno dal dopoguerra ai primi anni ’60.
La cosa incredibile è che tutti o quasi i protagonisti di quel cinema e di quell’Italia meravigliosa, Cesare Zavattini e Vittorio De Sica, Ennio Flaiano, Luchino Visconti, Franco Zeffirelli, Renato Castellani, Nino Rota, Federico Fellini, Antonio Pietrangeli, Mario Monicelli, Michelangelo Antonioni, Anna Magnani, frequentarono il salottino dove sua mamma Suso Cecchi D’Amico, a sua volta figlia di un letterato celebre come Emilio Cecchi, sposata con il grande musicologo Fedele D’Amico, scriveva le sceneggiature di capolavori come “Ladri di biciclette”, “Bellissima”, “Senso”, “Le amiche”, “I vinti”, “I soliti ignoti”, etc. Tommaso, detto Masolino, è praticamente cresciuto in compagnia di queste persone così speciali che lui vedeva come assolutamente normali.
suso Cecchi e fedele D’Amico con masolino e silvia
Dago: C’è una famosa frase che si dice sempre: ”Vista da vicino, nessuna persona è normale”. Avendo tu vissuto come testimone di un’epoca che non c’è più, però vicino a queste persone, che per la nostra generazione sono diventati dei miti, tu che li hai frequentati in maniera quotidiana, ecco queste persone, viste da vicino, erano normali? Nel tuo bellissimo libro, “Persone speciali”, stai attento a non addentrarti nella Babilonia di Cinecittà, a non cadere mai nel pettegolezzo.
Luchino Visconti e Suso Cecchi D’Amico
D’Amico: Prima di tutto io ho raccontato quello che risultava a me e che ho vissuto personalmente. E io non avevo con queste persone un rapporto come si ha tra adulti. Molti di queste persone le ho conosciuto che io ero un ragazzino, poi sono rimasti amici di casa e quindi negli anni alcuni sono andati avanti, altri se ne sono andati… ma per me erano normalissimi.
Dago: Che età avevi?
D’Amico: Ero un adolescente. Io sono nato nel 1939. Mia madre, Suso Cecchi D’Amico, cominciò a fare il cinema nel 1946. E anche quelli che scrivevano i film con lei allora erano giovani.
Giusti: E chi erano?
D’Amico: Il primo fu Renato Castellani, che fu il regista che l’ha fatta esordire con “Mio figlio professore”.
Dago: Come mai l’aveva fatta esordire?
lancaster visconti suso D’Amico
D’Amico: Mia madre era figlia di Emilio Cecchi, mio nonno, scrittore a quell’epoca famosissimo e importantissimo, che era stato per un biennio direttore artistico della Cines. Negli anni ‘30, nel momento in cui si voleva rilanciare il cinema italiano. Furono due anni molto importanti, perché lui promosse dei film che sono rimasti. Come “1860” di Alessandro Blasetti, “Gli uomini che mascalzoni” di Mario Camerini. Anche loro erano registi giovani, amici di mio nonno.
Giuliano Briganti e Masolino D’Amico
Mia madre, che era una ragazzina a sua volta e che adorava il cinema come tutta la gioventù di allora, li aveva incrociati in casa. Mario Soldati, per esempio, cominciò a fare il cinema allora, e Castellani pure. Quindi mamma conosceva bene questa gente del cinema, che poi si ritrova durante e dopo la guerra senza una lira in cerca di fare qualche cosa.
Il primo che la portò in questo mondo come co-sceneggiatore fu proprio Ennio Flaiano. Che fu proprio un amico di mia mamma, scrittore, giornalista. E aveva già le mani in pasta nel cinema. Aveva collaborato a un giornaletto sul cinema che pubblicava anche articoli di gossip. Lui chiese a mia madre di collaborare con dei pettegolezzi su Hollywood, che lei scrisse, completamente inventati.
Suso Cecchi D’Amico Franco cristaldi
Nel 1945 arriva la tragedia, perché il finanziatore del giornaletto era fallito e anche questi quattro soldi non c’erano più. Flaiano, aveva già scritto delle sceneggiature. E Renato Castellani, che era stato uno degli ultimi a lavorare con la Cines, quando mio nonno se ne era andato. Era troppo lavoro per lui. Capì che gli portava troppo tempo e si dimise. Castellani, insomma, aveva fatto amicizia con mia made così la chiamò assieme ad altri due sceneggiatori promettenti, uno era appunto Flaiano e l’altro era Alberto Moravia, a scrivere un film.
E si misero a scrivere tutti insieme un film che si chiamava “Avatar”, del quale non so nulla a parte quello che mi ha raccontato mamma, cioè che non ne cavavano un ragno dal buco, non riuscivano a far funzionare questa storia. Tutti e tre avevano dei talenti completamente diversi.
Per esempio, Moravia era molto conciso, se doveva scrivere una lettera d’addio, lui scriveva: “Bene, me ne vado, ciao…”. “Eh, no qui ci voleva qualche spiegazione”, diceva mamma. Flaiano parlava moltissimo, ma poi non scriveva. Insomma questo terzetto non combinava niente e un giorno, mi disse mia madre, cercavano di lavorare insieme quando arrivò la notizia della bomba su Hiroshima, e loro si guardarono e si dissero: “Ma che stiamo facendo qui?”. E non se ne parlò più di quel film. Però mamma era stata brillante e così continuò con il cinema.
Dago: E’ vero che Flaiano si innamorò di tua madre?
Un po’ è vero. Quando questo avvenne io avevo 12-13 anni, quindi non capii bene quello che succedeva. Poi me lo hanno raccontato. Ho saputo che Flaiano era uno che aveva l’attitudine di assalire le donne. Una persona che aveva l’incarico di mettere a posto il suo archivio trovò una lista di attricette che lui si era tenuto… poi questa lista poi sparì…
Flaiano evidentemente ci provò un po’ con mia madre, lavoravano sempre insieme e lei si divertiva moltissimo con lui. Era piuttosto ingenua. Ma era davvero molto legata a mio padre, il quale aveva delle lunghe assenze. Colpito da tubercolosi, era stato due anni in sanatorio in Svizzera. A un certo punto avvenne che mio padre subodorò che c’era qualcosa, che mia madre si trovava troppo bene con questo Flaiano. E allora l’affrontò e le disse: “Capisco che il tuo cuore sta da un’altra parte… fa’ quello che credi”.
Mia madre cascò dalle nuvole. Non si era mai sognata che questo rapporto così stretto con Flaiano potesse essere interpretato così. Morale della favola: prese le distanze da Flaiano. Non si vide più. Mio padre si mise l’animo in pace. Arrivò Fellini, e Flaiano si mise a lavorare con lui e non ha più lavorato insieme a mia madre.
Giusti: Cosa hanno scritto assieme?
D’Amico: Tanti film. Un caso stupendo è quello di “Vacanze romane” di William Wyler. Arrivano questi americani con un copione firmato da un prestanome e chiedono di incontrare loro due perché volevano attualizzarlo, metterci un po’ di Roma, cosa che fecero. Loro pensavano che il vero autore americano fosse Ben Hecht, quando era invece Dalton Trumbo, che non doveva figurare per motivi di maccartismo in quanto blacklisted.
suso Cecchi D’Amico Zeffirelli
Poi, tanti anni dopo mia madre incontrò davvero Ben Hecht e gli disse “Noi abbiamo scritto ‘’Vacanze romane” e Ben Hecht non sapeva proprio di cosa stesse parlando. Insomma questo copione riscritto da mamma e Flaiano, Wyler lo lesse. Andava bene, anche se loro non figurarono sui titoli di testa. Vinse anche l’Oscar, e non furono nominati né loro né Trumbo.
Allora non c’erano gli agenti, c’erano le strette di mano. Venne questo factotum di Wyler a chiedere quanto volevano e mia madre disse una cifra. Evidentemente molto bassa, perché questo la abbracciò e disse: “Questo è lo spirito dei vecchi tempi, così Hollywood andava avanti”. Flaiano si fece tradurre quello che aveva detto e disse a Suso: “Ma cos’hai fatto?”.
Noi ragazzi eravamo amicissimi di Flaiano, era uno zio, Flaiano scrisse a mia sorella delle lettere meravigliose. La verità è che lui aveva questa figlia down, che lui adorava, ma non sopportava stare a casa in questa situazione E scappava tutto il tempo. Moriva di vergogna, ma cercava tutti i pretesti per non rimanere a casa. Così veniva a lavorare a casa nostra e a noi ragazzi ci aveva un po’ adottato. Così quando sparì, rimanemmo male. Mi ricordo che qualche anno dopo ci dette un passaggio in macchina quando Luchino girava “Le notti bianche” a Cinecittà.
Giusti: E Visconti quando entra a casa vostra?
D’Amico: Negli anni ’40 anche lui. Mamma tradusse dei testi teatrali per Visconti impegnato all’Eliseo, credo tra il ’47 e il ’48. Cominciò a scrivere sceneggiature per lui con “Bellissima” e ”Senso”, e siamo già negli anni ’50. Luchino veniva spesso a casa. Io avevo dodici anni, non ero ovviamente con queste persone alla pari; dopo molti anni, mi sono reso conto di quanto fossero stati gentili con me. Perché a quell’epoca coi ragazzini si parlava come fossero ragazzini.
Mio padre che si occupava di musica stava quasi sempre fuori casa, perché lavorava per l’Enciclopedia dello Spettacolo. Mamma aveva il salottino dove venivano gli sceneggiatori. Le sceneggiature si facevano lì. Mio padre aveva uno studio che era sacrosanto e non andava mai disturbato. Mamma non ce l’aveva, avevo questo salottino e tutta la vita ha continuato a scrivere con la macchina da scrivere sulle ginocchia.
Quando era più anziana ha cominciato a metterlo sul tavolo dove si mangiava. E quando si doveva apparecchiare, la doveva togliere. Non ha mai avuto una scrivania sua. Quando si facevano queste sceneggiature, le facevano tutti insieme, venivano due-tre sceneggiatori, anche quattro. Ricordo mamma con Flaiano e Sandro Continenza impegnati per “Peccato che sia una canaglia” e “La fortuna di essere donna” di Alessandro Blasetti. Ricordo che furono loro e Blasetti a convincere Carlo Ponti, il produttore, che non voleva la Loren.
Giusti: Non volevano Sophia… perché?
D’Amico: Perché non era un nome, non si sapeva se sarebbe riuscita a recitare. Ne volevano una più famosa. Fu Blasetti, che la impose, e la Loren non lo ringrazia mai.
Giusti: Come lavoravano sulle sceneggiature?
D’Amico: Chiacchieravano del più e del meno, quasi sempre di altro, poi cominciavano a fare delle ipotesi: se facessimo così o colà… E adoravano essere interrotti. Non c’era nessuna sacralità. Se entravamo noi ragazzi con un pretesto erano contenti. Volevano parlare d’altro. A un certo punto, poi, decidevano una linea. “Dividiamoci i blocchi, tu fai questo tu fai quello”… e il giorno dopo si ritrovavano.
Giusti: Chi erano quelli più bravi?
D’Amico: Secondo mia madre Cesare Zavattini. Mia madre ha fatto tanto tempo coppia con Zavattini, un po’ come con Flaiano. Era tutta gente che sapeva ammaliare un produttore. La grande sorpresa della morte di Flaiano è stata scoprire che aveva scritto un sacco di libri, mai pubblicati. Usciti postumi. Mamma diceva lui aveva un sacco di idee, era brillante, venivano le gag, ma poi le doveva scrivere lei.
Flaiano lavorava moltissimo, ma per il cinema no. Zavattini, ricordo, che dettava al figlio, a Marco. Zavattini stava in piedi, girongiolava per la stanza e un altro scriveva. De Concini è venuto dopo, ma lui aveva un’industria di sceneggiatori. I primi che lavorarono con mamma furono Piero Tellini, lo stesso Federico Fellini per “Il delitto di Giovanni Episcopo” di Lattuada, Flaiano, Luigi Zampa.
Giusti: Hai parlato di Sandro Continenza…
D’Amico: Continenza è venuto dopo. Era un bel personaggio. Facevano una coppia fantastica con Flaiano. Flaiano era coltissimo, Continenza era un po’ primitivo. Ma non scordiamo che è che fu lui a inventare il termine “maggiorata fisica”. Nell’episodio “Il Processo di Frine” con De Sica e Gina Lollobrigida in “Altri tempi” di Blasetti.
Dago: Un altro grande regista e sceneggiatore, Antonio Pietrangeli, cadde davanti al fascino di tua madre…
D’Amico: Sì. Anche Pietrangeli fu un corteggiatore, ma mamma non ha mai avuto alcun tipo di disponibilità verso nessuno. Era troppo legata a mio padre. E lui si è sempre fidato di lei.
anna magnani suso Cecchi D’Amico
Giusti: Era l’unica donna sceneggiatrice del nostro cinema. Attorno a lei c’erano solo maschi…
D’Amico: E quindi era utile per scrivere i ruoli delle donne, delle attrici. Per esempio per Anna Magnani, che si buttò su di lei da “Bellissima” in poi. E lei fu l’unica persona al mondo che non abbia mai litigato con la Magnani. Evidentemente si capivano.
Dago: Perché molti detestavano la Magnani?
anna magnani suso Cecchi d'amico
D’Amico: Beh, aveva un carattere fortissimo. Era diffidente, non si fidava di nessuno, pensava sempre “te me stai a frega’”. Questo era l’atteggiamento nella vita. E al minimo sospetto ti cacciava via e ti trattava male. Una volta mi telefona, “Senti, mi vai a Via della Scrofa, sai… c’è un negozio di animali… C’è un gatto in vetrina. A me, che mi hanno riconosciuto…mi hanno chiesto 15 mila lire. Se ci vai te, che non sei la Magnani, a 10 mila te lo danno”. Sono andato a comprare questo gatto e per 10 mila lire me lo hanno dato. E gliel’ho portato a palazzo Altieri dove viveva.
Giusti: Ci parli di “Risate di gioia” di Monicelli con lei e Totò, scritto da tua madre.
D’Amico: Quello è stato un film di recupero, di quando la Magnani non la volevano più. Non è un film che è nato per la Magnani è un film che cambiò distribuzione cento volte. A un certo punto c’era Gerard Philippe e non so chi altra. Finì con Goffredo Lombardo che disse a Monicelli: “Facciamo una cosa con la Magnani e Totò”, due che non lavoravano quasi più. Totò l’ho visto per la prima volta su questo set.
Giusti: Con Monicelli, tua madre ha lavorato molto…
D’Amico: Beh, sì. Ha fatto “I soliti ignoti”… “Speriamo che sia femmina”…
Dago: Monicelli voleva farmi un provino per un ruolo per “Speriamo che sia femmina”. Quello che poi ha fatto Paolo Hendel. Era dopo “Quelli della notte”… Masolino, come nasce “I soliti ignoti”?
D’Amico: Nasce dal fatto che Franco Cristaldi, che era un produttore giovane, voleva giocare in serie A e si convince a fare un film con Visconti, “Le notti bianche”. Nessun produttore voleva fare un film con Visconti perché aveva fama di essere troppo caro, aveva sperperato su “Senso”. Quel film doveva servire a Visconti per dimostrare proprio che poteva fare film a basso costo, a Marcello Mastroianni che poteva fare un film serio.
Luchino Visconti e Marcello Mastroianni -1957
Maria Schell la presero perché aveva vinto la Coppa Volpi a Venezia. Ah … vi faccio una divagazione. Festival di Venezia 1956. Luchino presidente della giuria, fanno vedere un film che si chiamava “Gervaise” di René Clément e danno la Coppa Volpi a Maria Schell, la protagonista.
Quell’anno a Venezia c’era un filmetto di Camerini con la Magnani, “Suor Letizia”, che a detta della stessa Magnani era una schifezza. A Venezia si incazzò talmente tanto che Luchino aveva fatto dare la coppa a Maria Schell che gli tolse il saluto per anni. Prima erano amici, avevano fatto due film insieme, “Bellissima” e “Siamo donne”. Non si è potuto più nominare Visconti a casa della Magnani. Lei lo chiamava il ‘’Conte Merda’’. E credo che solo un anno prima che lei morisse lui ci abbia riparlato.
Insomma, “Le notti bianche”, prodotto in cooperativa da mia madre. Luchino, Mastroianni e Cristaldi, che erano alla pari, dimostrò forse che Mastroianni poteva fare il drammatico, tanto è vero che poi Fellini lo chiamò per “La dolce vita”. Ma non dimostrò affatto che Luchino poteva fare i film a basso costo. Perché in realtà era carissimo. Ambientato in una città notturna, siccome erano a Castiglioncello quando se ne parlava, mamma propose Livorno, con quei canali, allora poco sfruttati.
Luchino allora decise che Livorno coi canali era ricostruibile in studio a Cinecittà. Ma poi c’erano degli effetti sfumati, con degli enormi veli di tulle, che cadevano dall’alto. Insomma, questo set fu talmente caro che non soltanto il film non riuscì a ripagarlo. Allora Cristaldi disse: “Troviamo un film da girare per recuperare questo set”. “I soliti ignoti” nacque per questa necessità qui. Anche se poi non fu affatto giurato in quel set.
suso Cecchi d'amico Mastroianni panelli a castiglioncello
Giusti: Non ci sono scene girate lì?
D’Amico: No. anche se era nato da questa esigenza. A un certo punto il film cominciò a diventare una cosa nuovissima, perché il protagonista non era un comico, ma era Vittorio Gassman. Poi c’erano Age e Scarpelli, che non avevano mai fatto un film importante, anche se avevano scritto molti Totò, alcuni diretti da Monicelli. Tutti volevano fare un film un po’ impegnato ma di quel genere lì. Molte cose, però, non sono di quel genere lì. Non c’è il comico.
Totò ce lo misero a forza, implorati da Cristaldi. “Almeno per far capire al pubblico che è un film comico aggiungete Totò”. Ma il protagonista era Gassman che al cinema aveva fatto solo personaggi antipatici. E infatti gli cambiarono i connotati. Tutto girato in esterni di notte. Colonna sonora di Piero Umiliani, jazz cool… Cristaldi era molto preoccupato. “Ma questi che stanno girando?”. C’era anche un morto, Memmo Carotenuto. Si può ridere con un morto?
Dago: Ma quando loro lo hanno scritto, pensavano di essere fuori dalle regole?
D’Amico: Loro lo hanno fatto perché pensavano di divertirsi a vedere come veniva… Fu in quella occasione che mia madre conobbe Age e Scarpelli.
masolino d'amicoFellini Visconti Mastroianni
Giusti: Quindi tua madre ce la mise Franco Cristaldi per controllare un po’ il film, magari non si fidava fino in fondo…
Mastroianni Cristaldi Claudia cardinale
D’Amico: Cristaldi era molto timido, ma si era trovato bene con mia madre, si fidava di lei, ce la mise per non finire a fare un film troppo pecoreccio. Con Age e Scarpelli si divertirono come pazzi. Alla fine fu lei a entrare nella loro categoria, di film comico, invece di portare loro a fare una cosa pensosa..
Giusti: Cosa scrive tua madre per Antonio Pietrangeli?
D’Amico: Il suo primo film “Il sole negli occhi”, con Irene Galter. Prima lui aveva fatto solo delle sceneggiature.
Dago: Assieme a tua madre avete vissuto con gente molto distanti come carattere, carisma… passare da Visconti a Monicelli, tutte personalità molte forti, non deve essere stato facile…
D’Amico: Erano rapporti diversi, vissuti ognuno a modo suo… Visconti, per esempio, aveva un brutto carattere, ma non certo con mia madre. Si sono dati del lei tutta la vita. Lei stava a Via Paisiello e lui a Via Salaria, in linea d’aria un chilometro e mezzo, diciamo. E si scrivevano quotidianamente, anche più volte al giorno.
gassman mastro soliti ignoti Monicelli
Lui era un grafomane. Tutte queste sceneggiature erano corrette così. Ma lavoravano molto intensamente e si trovavano benissimo insieme. Visconti incuteva rispetto in genere, ma non a noi ragazzini, anche se anche noi gli davamo del lei. Mario Monicelli era tutto un altro personaggio. Ma erano tutti enormi talenti. Rossellini è entrato nella nostra famiglia un po’ tardi…
Dago: Nel tuo libro scrivi che si innamorò di tua sorella, Silvia, lei si era ammalata e lui andava all’ospedale tutti i giorni a trovarla....
steno con mario monicelli foto mostra andrea arriga
D’Amico: All’epoca, negli anni ’50, prima dello scontro Fellini-Visconti c’era quello Rossellini -Visconti… Anche su Rossellini mi sono dovuto ricredere negli anni. Perché i suoi film ci sembravano bruttissimi e invece non lo erano, mi riferisco a “Stromboli”…
Giusti: Beh. “Viaggio in Italia” è un capolavoro...
D’Amico: Allora non li andavo neanche a vedere.
Giusti: Perché facevate parte del clan Visconti.
D’Amico: Sì, certo. Erano anche scuole diverse. Anche se quando girò “Viaggio in Italia” il direttore di produzione era mio zio Marcello. Mi ricordo che quando uscì “Umberto D” di De Sica, venne Luchino a chiacchierare con mia madre. Lui era rimasto molto impressionato da quel film. Mio padre, per caso lo aveva visto, gli chiese: “Ma come mai ti è piaciuto?”. E comincia a demolirglielo. E Luchino, che pure ne era rimasto impressionato, lo stava a sentire. A mio padre, in realtà, non piaceva il cinema, non ha visto quasi nessuno dei film scritti da mia madre.
roberto rossellini e vittorio gassman
Giusti: Ci parli di Michelangelo Antonioni?
michelangelo Antonioni e monica vitti
D’Amico: Beh, Antonioni mia madre lo ha proprio tenuto a battesimo. Ha fatto tutti i suoi primi film fino a “Le amiche”. Parlo di “La signora senza camelie”, il famoso episodio inglese de “I vinti”, che è la cosa migliore che ha fatto in tutta la sua carriera Antonioni. Ricordo che quando arrivò con il soggetto de “L’avventura”, mamma la lesse e disse: “Questo te lo fai da te. Tu lo sai come si fa. Io non lo so. Questa è roba tua”. Mia madre capì che non era più possibile collaborare con lui.
fedele d'amico roberto rossellini e federico fellini
Giusti: Tuo padre non ha mai avuto contatti col cinema?
D’Amico: Mio padre, nato musicista, lavorava all’Eiar nel reparto musicale. Nel ‘39 si dimette dall’Eiar perché c’era l’obbligo di mettersi la camicia nera se eri un funzionario di un certo tipo. Allora il suo amico musicologo Guido M. Gatti, direttore artistico della Lux di Riccardo Gualino, offre a mio padre, giovane, sposato da poco, di entrare alla Lux e di occuparsi di colonne sonore di film.
roberto rossellini e anna magnani
Mio padre, che al cinema andava pochissimo, per un paio d’anni che durò questo lavoro, si sentì in dovere di vedere molti film per capire cosa doveva fare. Una sera si sentì bussare sulle spalle. Si voltò. “Scusi, sa, io sono il proiezionista. E’ la notte di Natale, c’è solo lei in sala… che dice?”. E lui, piccato, rispose: “Crede che stia qui a divertirmi? Me lo faccia vedere tutto!”. Come finì quest’incarico, lui al cinema non c’è andato mai più.
Giusti: Ma non avevi voglia di scrivere film anche te?
D’Amico: Io non ci ho mai davvero pensato. Ho scritto qualcosa [Romeo e Giulietta, Caligola], mi è capitato di dare una mano. Con mia madre ho fatto delle cose, con Mario Monicelli, “Panni sporchi”. Un’altra sceneggiatura la feci con mia madre, un “Delitto e castigo”. Ma soprattutto ho tradotto moltissimo teatro. Ho fatto anche il ‘’negro’’ per De Concini. C’è un film su Mosé, ricordo… Ma io non ho mai avuto nessuna vocazione per fare delle storie. Ho lavorato per Gianni Hecht alla Documento Film.
Giusti: Quali era il rapporto di tua madre e dei suoi co-sceneggiatori con i produttori?
D’Amico: Molto diverso da quello di oggi. Il produttore era un nemico, però è come una partita di tennis. Se il tuo avversario non c’è, la partita non esiste. E’ un tira e molla in cui quello che hai davanti ci tiene quanto ci tieni tu.
Giusti: Perché tua madre non ha mai lavorato con Fellini?
D’Amico: Fellini non aveva bisogno di fare ordine. Fellini voleva delle alternative. Quando Fellini fece “La dolce vita” sembrò che a quel punto lì non volesse fare più niente e gli affidarono una casa di produzione. Gli dissero: tu devi fare il produttore. E lui disse produrrò dei film di giovani e molti giovani corsero a portargli un progetto.
Uno di questi progetti fu “Accattone” di Pasolini, che poi non fece e si fece con Alfredo Bini, un altro progetto fu quello di Franco Zeffirelli. Era un quasi esordio. Voleva fare un film basato su dei ricordi suoi giovanili su un gruppo di anziane signore inglesi a Firenze durante la guerra ai tempi di Mussolini.
roberto rossellini ingrid bergman e vittorio de sica
Queste signore esistevano ancora allora. Io andai a Firenze con i soldi della produzione facendo delle interviste a queste signore che erano state internate a San Gemignano, quando erano diventate ostili, nemiche. Questo progetto era del 1961, il film Zeffirelli l’ha fatto solo nel 2014, si chiama “Un tè con Mussolini”. Io tenni tutto il rapporto con le storie di queste donne.
Giusti: Perché Fellini non fece produrre questi film?
D’Amico: Non gliene importava niente. Aveva un direttore di produzione, ma non ci ha provato nemmeno un attimo a fare il produttore sul serio. C’è una storia che mi ha raccontato Continenza che spiega bene come erano i produttori veri, quelli di una volta. Anni’ 40. Stava scrivendo un film per i fratelli Misiano, quando viene riconosciuto mentre camminava per strada da uno dei Misiano. “Tu me lo devi consegnare subito questo copione!”, gli fa. “Ma è quasi pronta. Mancano solo dieci pagine”.
Niente da fare. Lo hanno trascinato in ufficio, lo hanno chiuso a chiave e gli hanno detto: “Tu non esci di qui finché non hai finito la sceneggiatura”. Lui si mette a battere a macchina tutta la notte. “Ho finito”. Passa le pagine sotto la porta. Dopo un po’ la porta si apre, Lui esce e questi due omoni erano in lacrime. “Ci hai fatto piangere”. Questi erano i produttori.
Giusti: Ci racconti come la prese Visconti quando uscì “La dolce vita”?
D’Amico: Luchino se la cavò, aveva fatto “Rocco e i suoi fratelli”. Anche Monicelli, che aveva fatto “La grande guerra”. Avevamo dei talenti in quegli anni lì. C’erano dei film fantastici. Gli Oscar li aveva già presi De Sica, non era più una cosa che uno ci badasse tanto.
Giusti: Mi hanno raccontato di quando Visconti andò a vedere “A bout de souffle” di Jean-Luc Godard e uscì schifato…
D’Amico: Io e mia sorella siamo stati a Parigi ospite di Visconti, venivamo dall’Inghilterra. Lui stava mettendo in scena a Parigi uno spettacolo di teatro e ci ospitò due, tre giorni. Una sera usciva un film quasi nouvelle vague, “Les tricheurs” di Marcel Carné con Jacques Charrier, Jean Paul Belmondo. E andammo a vedere io, Luchino e Giancarlo Menotti. Luchino chiamava la nouvella vague la ‘’nouvelle vache’’… era pieno di disprezzo.
Giusti: Ci dice del rapporto fra i tuoi e Nino Rota?
D’Amico: Nino era come un fratello per mio madre, perché erano cresciuti insieme. Nino Rota era stato un bambino prodigio, aveva fatto i concerti a dodici anni in giro per l’Europa. Quando a un certo punto fu mandato a Roma a studiare, lui era milanese, fu messo in una pensione che era nel pianerottolo dove abitavano i miei nonni e dove c’era mia madre ragazzina.
suso Cecchi d'amico eduardo de filippo
Nino venne affidato dai suoi ai miei nonni. Gli dissero di tenere un occhio su questo ragazzo solo. Così mia mamma e lui sono stai amicissimi, sono cresciuti insieme. Lui era una persona che viveva nelle nuvole. Il primo film che fece era “Treno popolare” di Raffello Matarazzo, aveva 19 anni. La musica non tornava alla registrazione del montaggio. Alla fine si scoprì che lui credeva che i minuti fossero composti da 100 secondi, non da 60, e quindi aveva calcolato tutto su 100 secondi al minuto e non tornavano mai i conti.
Tutte le volte che c’era un dubbio, li sottoponeva a mia madre. Un giorno ci disse: “Mi hanno chiesto di fare questo film, ‘’Il Padrino’’, ma non so cosa fare.” Mia madre gli disse: “Devi farlo assolutamente: è la volta che farai un sacco di soldi”. Allora si mette a suonare al piano… “senti un po’”. E comincia a suonare. Una musica era quella che aveva messo in “Fortunella” di Eduardo con Giulietta Masina, un’altra, il valzerino di Rocco, stava in uno spettacolo di Visconti, “L’impresario dello Smirne”.
sordi mangano dino de Laurentiis
Su “Fortunella” ci fu un problema con Dino De Laurentiis, perché lui era il produttore del film di Eduardo. Quando esce “Il Padrino”, Dino va da Rota e gli dice “Si sono accorti che tu hai nesso la musica di ‘’Fortunella’’, cosa vogliamo fare? Possiamo metterci d’accordo, ti dico una cifra, tu mi rispondi… e ci mettiamo d’accordo”. Nino va a riferire tutto questo a mia madre. E lei gli dice: “non gli dare una lira, metti in mezzo gli avvocati, aspetta”.
MARIO PUZO - IL PADRINO - THE GODFATHER
Poi un giorno Nino si ripresenta, “Sai Suso, tu mi rimproveri sempre che sono troppo ingenuo, però certe volte le cose vanno bene, perché io m sono ricordato che per ‘’Fortunella’’ Dino venne da me a dirmi che voleva tanto il pezzo. Ma non mi ha fatto mai fatto un contratto e non mi ha mai dato un centesimo. Quindi questa roba è solo mia”.
Ma non finisce qui. Dino, siccome la musica era candidata all’Oscar, mandò delle lettere ai votanti all’Oscar dicendo: state attenti perché ci sono dei dubbi sulla proprietà. E non lo votarono. Coppola, dopo la sconfitta, disse a Nino: “Fregatene, tanto l’Oscar lo vinci col prossimo Padrino”. E infatti finì così.
Giusti: Ma è vero che “Il Padrino” era stato offerto prima a Sergio Leone?
D’Amico: Il produttore Gianni Hecht Lucari, per il quale io lavoricchiavo, mi disse: “Tu che sei amico di Sergio Leone… Mi offrono di entrare in coproduzione di questo ‘’Padrino”, all’epoca nessuno lo voleva fare, nessuno voleva fare più film di gangster in America, in Italia c’erano i poliziotteschi. “Se Sergio Leone, che dice sempre di volere fare un film di gangster, ci sta, voi lo combinate, loro tirano fuori un milione di dollari subito…”. Insomma, io vado da Sergio Leone, lui traccheggia e poi e mi dice: “Non mi interessa”. E la storia si ferma lì. E poi lo fa Coppola.
c era una volta sergio leone (23)
Giusti: Ma tu hai lavorato per Sergio Leone?
D’Amico: Non creativamente. Quando aveva cominciato a pensare al film, mi aveva chiesto se volevo andare in America a fare dei sopralluoghi per il film, ma io avevo l’università. Poi mi trova a New York, dove era capitato per l’università, scoprii che Sergio stava nel mio stesso albergo. Così andavamo insieme la sera a sentire il jazz. Lui aveva con sé Benvenuti e De Bernardi per scrivere varie scene del film.
c era una volta sergio leone (19)
Ma c’era anche un commediografo americano che le rielaborava in inglese. Così Sergio mi chiese di tradurle in italiano, perché non sapeva una parola in inglese. Lui le lesse e disse: “Beh, molto meglio Benvenuti e De Bernardi”. Grazie al cazzo! Queste erano tradotte in inglese e poi ritradotte in italiano. Ovvio che erano meglio prima. Con questo sistema lui però è poi andato avanti per anni. C’è passato anche Norman Mailer. Io traducevo per lui dall’italiano. Lui le riscriveva. Io le ritraducevo in italiano. E ogni volta non piacevano a Sergio. Allora si chiamava un altro scrittore. All’infinito.
Dago: Vogliamo chiudere in allegria con uno degli scherzi di Alberto Sordi?
amedeo nazzari con la moglie irene-ginna e luchino visconti
D’Amico: Sordi adorava fare gli scherzi, e faceva scherzi anche feroci. Insomma, arrivava Sordi a casa nostra a notte fonda, a quell’epoca si faceva sempre tardissimo, e si metteva a fare questi scherzi telefonici imitando la voce di Amedeo Nazzari. Un giorno incontrammo Mario Camerini, con mamma e lui le chiese: “Senti, ma tu lo conosci bene Nazzari? Ma beve? è uscito di testa? Mi telefona a notte fonda, mi sveglia, dice che ha letto che io devo fare il quarto film di Don Camillo e mi dice che lui deve fare Peppone. Ma non posso. C’è Gino Cervi, non può farlo lui”.
Suso cecchi d'amico Alberto sordi 720
Questo era una scherzo di Sordi, che poi non è che ti diceva ti ho fatto uno scherzo. Una sera con la Magnani, dice a chi telefoniamo? C’era sul giornale che avevano dato la Noce d’Argento a Eleonora Rossi Drago. Chi ha il numero della Rossi Drago? Lui le telefono all’una, una e mezza di notte, la sveglia… “Scusi signora, sono mortificatissimo”, “Ma chi è lei?”. “Sono il segretario del premio Noce d’Argento. Abbiamo un’emergenza per domani.
Lei sa che domani avremmo mandato una macchina per la cerimonia, no? Beh non possiamo più”. Lei non fa una piega e dice che ci pensa lei a venire, si organizza. E il finto segretario prosegue dicendo che non hanno nemmeno l’ospitalità in albergo per la notte. E lei niente, si arrangia. Alla fine le diciamo che al posto del premio ci saranno due polli e un prosciutto. Lei sarebbe venuta lo stesso...”
Mastroianni pasoliniVisconti Sordi Masolino D’Amico masolino D’AmicoSuso Cecchi D’AmicoVisconti Suso Cecchi D’Amicomasolino d amico foto di baccomasolino D’AmicoMasolino D’Amico Stoppa e suso Cecchi D’Amico flaianoflaianoMasolino D’Amico
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