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Marco Giusti per Dagospia
Notturno di Gianfranco Rosi
Un cacciatore di anatre che si muove tra la notte e l’alba. Un gruppo di soldatesse curde che si preparano a dormire e poi controllano la zona. Dei piccoli orfani che raccontano l’orrore dell’occupazione dell’Isis alla maestra. Un ragazzino che si deve svegliare all’alba per cercare di portare a casa qualcosa da mangiare. Lontano, chissà dove, si sentono ancora colpi d’arma da fuoco, sparati non si sa bene da chi contro chi.
“Notturno” di Gianfranco Rosi, presentato oggi a Venezia in concorso, prenotato già da tutti festival internazionali, come il “Sacro Gra”, è un commovente e umanissimo viaggio lungo un confine, quello che attraversa Libano, Siria, Iraq, un Kurdistan ancora non completamente pacificato in questi ultimi tre anni, dove la bellezza e la storia dei paesi, le culture più antiche del mondo, portano evidenti i segni di morte, violenza e distruzione.
E dove, se si vuole sopravvivere, non c’è proprio tempo nemmeno per capire bene quel che è successo e piangere i propri morti. Senza una didascalia, a parte quella iniziale che incolpa le potenze dell’Occidente di aver disegnato dei falsi confini nel Medio Oriente alla fine della Prima Guerra Mondiale, ma anche senza nessun tipo di moralismo o di facile pietà, il film di Rosi non è propriamente un documentario, perché evita di raccontare e di ricostruire storicamente quel che vediamo, evita di spiegare, ma ci mette di fronte a una realtà “filmata” e “montata”, che noi spettatori dobbiamo decifrare.
Come se ci avessero portato là, in una zona ignota del Medio Oriente, senza una mappa, senza Internet, senza armi. Quello che riusciamo a capire, solo vedendo il film, come vedendo un quadro o sentendo un brano di musica, è quello che Rosi ha scelto e ci mostra. Tutta la cronaca, la guerra recente e quella passata, ad esempio, la vediamo solo in tv.
E’ repertorio, subito storicizzato. La vediamo in una specie di fuori campo che non è il film che Rosi vuole mostrarci. Lui vuole mostrarci la vita oltre l’orrore e oltre la storia. Anche se non riesce, a contatto coi piccoli orfani che hanno visto da vicino la follia dei combattenti dell’Isis, a non starli a sentire, a non ricostruire la loro storia.
Dopo il Leone d’Oro a Venezia nel 2013 con “Sacro Gra” e l’Orso d’Oro a Berlino nel 2016 con “Fuocoammare”, Gianfranco Rosi e la sua ultima opera erano davvero molto attesi. “Notturno” è più difficile e, se vogliamo, più autoriale dei due film precedenti, non ha neppure una schema chiaro, né una geografia chiara per lo spettatore. Ma forse proprio per questo è un film che ci porta con maggior vigore di fronte a una realtà, che il mondo occidentale conosce troppo superficialmente, senza possibilità di fuga. E, allora, noi siamo i cacciatori di anatre, gli orfani, i soldati. Noi, per una volta, non siamo spettatori.
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