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Marco Giusti per Dagospia
Una storia senza nome di Roberto Andò
Bisogna confessare che questo Una storia senza nome, diretto da Roberto Andò, che lo ha scritto assieme a Angelo Pasquini, con un titolo che ricorda un po' Opera senza autore, appena passato, è un bel divertimento, un viaggio nel giallo e nel cinema d’impegno dove, fortunatamente, le citazioni colte sono limitate e quelle cinematografiche sono accettabili in bocca a un Alessandro Gassman (“Sono il generale Della Rovere”, “I pugni fanno male”).
Meno ambizioso, ma sicuramente più riuscito del precedente film di Andò, Le confessioni, anche se non mancano pirandellate e situazioni da film nel film, funziona proprio nel tentativo di osare il genere, il giallo quasi alla Corbucci, con un ottimo cast sia tecnico che di attori, inserendo solo qualche elemento più alto. La storia vede la segretaria di edizione Valeria, Micaela Ramazzotti, cioè che nasconde ai suoi datori di lavoro, Antonio Catania e Gaetano Bruno, di essere la ghost writer del loro sceneggiatore di punta, Alessandro Pes, un Alessandro Gassman più interessato alle sottane che alla scrittura.
Un misterioso personaggio, Renato Carpentieri, la avvicina e le suggerisce un soggetto ispirato alla realtà, che parte dall’omicidio di un critico d’arte inglese e dalla sparizione di un celebre quadro di Caravaggio, La Natività, rubato dalla mafia a Palermo nel 1969. Ma la sceneggiatura, che molte piace a uno dei suoi produttori, Antonio Catania, e che dovrà essere filmata da un celebre regista internazionale, il vero Jerzy Skolimosky, mette in allarme i mafiosi, che vogliono capire come Pes sia in possesso di tutte queste notizie.
Un fumettone, certo, ma ben fatto, con qualche battuta magari non felice (“Tra il mondo del cinema e quello del crimine c’è stato sempre grande feeling”), ma anche squarci di una Palermo meravigliosa. La coppia Carpentieri-Ramazzotti, già vista in La tenerezza di Gianni Amelio, si ritrova qui in versione meno drammatica, ma non smette di funzionare.
Sono divertenti anche le apparizioni di Renato Scarpa come ministro della cultura e di Laura Morante, come madre di Valeria, che lo imbecca come un pupazzo, ma anzhe quelle di Emanuele Salce come presidente del consiglio, di Marco Foschi come ambiguo uomo della produzione. Tutto il film è costruito su Micaela Ramazzotti, modellata un po’ come una Monica Vitti, che deve passare dal ruolo di sfigatella a quella di fatalona, da ghost writer a poliziotta. Colto, ben diretto, magari con qualche buco di sceneggiatura e una gran voglia di buttarla in caciara, ma certo il film più popolare e godibile di Roberto Andò. Fuori concorso.
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