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Marco Giusti per Dagospia
Nessuno racconta come Quentin Tarantino il mondo del western all’italiana e dei suoi eroi come Sergio Corbucci, sul quale da sempre aveva progettato di scrivere un libro.
Non vuol dire che i suoi racconti siano sempre storicamente attendibili, soprattutto perché, come tanti critici e registi americani, non sempre ha un preciso quadro storico della storia del nostro cinema e ancor meno dell’Italia del tempo.
Ma tale è l’energia, la passione, la generosità, il divertimento che mette nel raccontare il nostro cinema dal suo punto di vista, come fosse parte di un suo film, che staremmo ore e ore a sentirlo.
Dopo averlo avuto a Venezia nel 2008 nella rassegna “Italian Kings of B’s”, che curai assieme a Luca Rea, poi come padrino della mia rassegna sul western all’italiana, dove non venne, ma lanciò la profezia che Corbucci avrebbe avuto presto il suo posto nella storia del cinema accanto a Anthony Mann, e pochi anni dopo quando si esibì in una scatenata lezione su “Minnesota Clay” di Sergio Corbucci, Tarantino torna a Venezia nel documentario “Django&Django”, a cura di Luca Rea e Steve Della Casa con regia di Luca Rea, dove da vero mattatore non spiega solo il suo punto di vista sul “Django” di Corbucci, ma tutta la sua lettura dell’opera violenta dei film western di Corbucci, capolavori del genere come “I crudeli”, “Navajo Joe”, “Gli specialisti”, “Il mercenario, “Vamos a matar companeros”.
Inquadrato nella sala di proiezione della sua villa a Los Angeles, Tarantino racconta un Corbucci profondamente antifascista, legato a Leone, ma anche profondamente diverso, rivolto non all’epopea (fordiana), come farà il primo Sergio, ma al revenge western, ai film di cowboy che più gli piacciono, perché puro cinema.
Definisce “Navajo Joe” il più violento western mai fatto, prima dell’arrivo di “The Wild Bunch” di Sam Peckinpah.
STEVE DELLA CASA FRANCO NERO LUCA REA A VENEZIA
Trova in ogni cattivo matrici di fascismo o nazismo o di antichità romana.
E spiega che quello di Corbucci è un cinema di cattivi e di anti-eroi che possono prendere indifferentemente la buona e la cattiva strada, ma possono anche trovare una pallottola che ne chiuderà improvvisamente e per sempre il percorso. E scopriamo che i suoi stessi film devono moltissimo più che alle opere di Corbucci, al suo studio sulle opere di Corbucci.
Parlare di western con Tarantino e sentirlo parlare di cinema credo sia uno dei grandi piaceri che ci abbia regalato Hollywood in questi ultimi vent’anni.
Perché non è mai un professore, ma uno studioso, uno scolaro, spesso candidamente improvvisato, che nello studio reinventa il suo stesso cinema.
Lo dimostra il suo lavoro più completo e complesso, “The Hateful Eight”. Nessuno era riuscito a rivitalizzare così profondamente il western italiano, a leggerlo nella sua eleganza visiva, nella sua violenza da rielaborazione della storia recente, nei suoi rapporti con la musica, come Tarantino.
jamie foxx e kerry washington in django unchained
“Django&Django” ci permette di condividere parte degli studi di questo fan ossessionato dei nostri western e di quelli di Corbucci in particolare. E il recupero, a casa di Nori Corbucci, scomparsa un anno fa per Covid, dei superotto girati nei backstages dei suoi film diventa il corredo necessario e mai visto di questo racconto. Viva Django e Viva la revolucion!
il django di corbucci sergio corbucci con virna lisi e steve reeves romolo e remo norma bengell sul set de i crudeli di sergio corbucci The Hateful Eighthateful eight in 70 mmTHE HATEFUL EIGHT THE HATEFUL EIGHT navajo joe THE HATEFUL EIGHTburt reynolds e sergio corbucci sul set di navajo joe navajo joe
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