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C.L. per “la Repubblica”
«Io credo piuttosto che il rischio Brexit, per il Paese, si concretizzi con l’uscita dalla nostra Costituzione, da questa Costituzione». L’attrice Monica Guerritore appartiene alla schiera di artisti e intellettuali impegnati per il No al referendum. E dell’uscita di Roberto Benigni non condivide una virgola. «Una premessa però, mi permetta: non siamo in guerra».
In che senso non siamo in guerra?
«La nostra è solo difesa di una rete che protegge tutti noi, la Costituzione come madre protettiva in un periodo in cui l’etica e il senso della comunità hanno ceduto il passo al cinismo, alla mancanza di rispetto dei diritti altrui. Solo questo…»
Pensa che chi sostenga il Sì alla riforma non abbia senso della comunità, dell’etica?
«Non penso questo. Sono però certa che la nostra Carta abbia consolidato nei decenni un legame forte col popolo italiano che prescinde dai politici che si succedono al governo. E poi, Renzi non è pericoloso, ma chi mi assicura che dopo di lui non ci sia una deriva autoritaria, agevolata proprio da questa riforma? »
Questo non vuole dire, sostiene Benigni, che non si possa riformare la seconda parte della Carta, senza intaccarne i principi.
«Non è vero. Non sono una tecnica. Ma è fin troppo ovvio che se modifichi certi equilibri, finisci col compromettere tutto. Per di più con un’iniziativa arbitraria, non condivisa».
Però la riforma è stata approvata in Parlamento, per buona parte da una larga maggioranza.
«Sì, ma su iniziativa di un governo. Sa cosa? Io non credo nella politica. Penso che sia la politica a dover essere riformata, non la Costituzione».
Resterà così per decenni, avverte Benigni.
«Lasciamola così. Portiamo piuttosto in Parlamento politici non corrotti, non indagati, cacciamo i cattivi legislatori: se i senatori fossero delle eccellenze, il Senato non sarebbe da buttare».
Ci teniamo le due Camere e tutto il resto allora?
«Il problema è avere Verdini in maggioranza, o quella sindaca lì a Roma, gente scelta dai partiti. Cambiamo i partiti. Poi, nuovi eletti su criteri democratici potranno pure lavorare a una riforma condivisa della Costituzione. Ma non ora. Non così».
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