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Loredana Lipperini per “la Stampa”
Ricordo bene l'arrivo di Harry Potter, venticinque anni fa. E ricordo i rifiuti editoriali che lo precedettero: avrebbe dovuto essere pubblicato dal maggior gruppo editoriale italiano, ma chi ne dirigeva la sezione ragazzi, all'epoca, pensò che un maghetto non avrebbe mai potuto avere successo.
E ricordo anche l'iniziale diffidenza, piuttosto generalizzata, del mondo letterario: la parola "magia" veniva, se non bandita, di certo allontanata dalla letteratura per ragazzi e ragazze, che tuttora conserva quella singolare vocazione al realismo, talvolta didascalico, in virtù del quale si ritiene che la storia, la poesia, la politica e tutte le urgenze del nostro tempo non debbano essere raccontate attraverso il fantastico.
La saga di J.K. Rowling venne addirittura accusata di passatismo, di volerci portare indietro, in un mondo oscuro (curiosamente, la stessa accusa era stata rivolta, tempo prima, al Signore degli anelli di Tolkien). Timori e resistenze di cui il successo di Harry Potter mostrò presto l'inconsistenza. La forza di quel successo ebbe molte ragioni, e tutte rappresentarono una novità, forse anche una rivoluzione.
Prima di tutto, per la prima volta un libro di quella portata, letto in tutto il mondo, fu fruibile su diverse piattaforme: il videogioco, il film, le carte collezionabili. Quella pratica di lettura a più livelli e in diverse forme cominciava appena a diffondersi: era tipica del fantasy, dei giochi di ruolo e di carte (come Magic, che si era affermato pochi anni prima, nel 1994), degli Anime giapponesi che prendevano ad affacciarsi sul nostro mercato.
La saga di Rowling diede a tutto questo un'impennata decisiva, destinata a cambiare le abitudini di lettura e, soprattutto, legittimò il genere fantastico, che non era mai sparito, né era stato cancellato, ma più semplicemente era sopravvissuto trovando la sua casa e il suo rifugio in altre forme dell'immaginario, come sanno i pionieri di Dungeons&Dragons.
Harry Potter cresceva e si evolveva nel tempo, e i bambini e le bambine che lo lessero impararono così che anche la letteratura può raccontare una storia il cui protagonista va avanti negli anni: la stessa cosa che, ai genitori di quei bambini, il cinema aveva raccontato con Star Wars. Prima di allora, almeno in Italia, ricordo soltanto un personaggio popolare di finzione che addirittura invecchiava, tanto era duratura la sua parabola narrativa: Valentina Crepax.
Dopo i primi Harry Potter, il mondo editoriale, e soprattutto quello italiano, scoprì i maghi e le maghe: così, tutto ciò che aveva a che fare con il fantastico, come spesso avviene, scavò in quel filone fino a consumarlo: già allora si era troppo voraci, si tentava di replicare anziché inventare.
E a proposito di inventori: Rowling ha senz' altro creato una nuova generazione di lettori, che sono cresciuti insieme al suo maghetto, e che adesso hanno trenta/quarant' anni, sono genitori, e leggono le avventure di Harry ai loro bambini.
Del resto, anche i genitori di questi quarantenni lo hanno fatto, se pure con un percorso inverso: la saga di Rowling ha inaugurato quello che si chiama crossover, e cioè la fruizione (e la presa) intergenerazionale di un'opera. Questa generazione così varia, dove il punto di contatto non è anagrafico ma sta in un consumo culturale preciso e condiviso, ha imparato ad amare i libri come qualcosa di vivo: tutti ricordiamo le file di genitori e figli, di notte, davanti alle librerie, per aggiudicarsi il nuovo capitolo della saga, tutte le volte che arrivava la vigilia della pubblicazione.
Quelle notti erano un appuntamento con gli amici: questo sono stati Harry, Hermione, Ron, Silente per chi li ha letti. Amici e compagni di avventura. E credo che sia successo anche perché le loro storie insegnavano che, nella vita, c'è sempre una scelta, anche se costa. E non conta come nasci, ma come e cosa scegli: solo in quel momento hai il potere di esercitare il bene, di opporti al male e tentare così di fare la cosa giusta.
j k rowling daniel radcliffe emma watson rupert grint
Tutte le volte che discutiamo dell'importanza di inserire dei buoni messaggi nella letteratura per l'infanzia, penso che i libri di Harry Potter abbiano fatto, contro il razzismo e il classismo, molto di più di centinaia di dibattiti, lezioni, pubblicità progresso e saggi prescrittivi e didascalici.
E poi c'è il fandom: la saga del maghetto è una delle storie oggetto del maggior numero di fan fiction al mondo. I fan writer sono coloro che colgono il sentiero lasciato libero, la strada che l'autore di un'opera non ha percorso, e la intraprendono, inventando nuove evoluzioni, altri finali.
Ci sono scrittori che sono nati scrivendo fan fiction di Harry Potter: in Italia, il nome più importante che mi viene in mente è quello di Stefania Auci.
Il mondo della reinvenzione e della riscrittura, così caro a studiosi internazionali come Henry Jenkins, e che vede nel fandom e nel fan writing una delle migliori e più concrete possibilità di intelligenza collettiva, si è compattato, irrobustendosi, intorno ad Harry Potter.
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Questo bambino che sembra, all'inizio, un personaggio di Dickens, un piccolo che cresce alla fine del secolo scorso: orfano, solo, angariato dagli zii babbani che lo trattano come feccia. Tuttavia, non è mai davvero solo: i suoi genitori gli hanno lasciato un'eredità che lui conquista e acquisisce con lo studio, che impara a maneggiare con l'esperienza, e che condivide con gli amici. Ecco, gli amici sono stati, per Harry, fondamentali: altri bambini suoi pari, magari con minore potere si lui, ma dotati ciascuno di un particolare talento necessario al lavoro di squadra.
Il potere del gruppo è un fatto che gli Anime giapponesi hanno sempre avuto ben chiaro, e che Rowling ha fatto suo. Harry non è davvero solo anche perché incontra dei maestri, ad Hogwarts, la scuola di magia e stregoneria nella quale viene allevato e istruito. Sono quei maestri che lo aiutano nella sua vera missione: proteggere il bene senza mai farsi affascinare dal potere, senza mai cedere al lato oscuro. Il bene si può sempre scegliere: basta desiderarlo. Ed è la cosa che il fantastico racconta, il punto che le storie non devono insegnare, ma trasmettere.
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