I PUGNI DELLA VITA - HECTOR CAMACHO NON È IL PRIMO E NON SARÀ L'ULTIMO PUGILE LA CUI VITA ORRIBILE FINISCE IN MODO ALTRETTANTO ORRIBILE - CRESCIUTO AD HARLEM E MORTO A PORTORICO, DOVE GLI HANNO SPARATO IN FACCIA MENTRE VIAGGIAVA IN AUTO COL SUO AMICO SPACCIATORE - CAMPAVA TRA DROGA E ALCOL, CONSUMAVA GLI SPICCIOLI DELLA FAMA PER UNA FOTO CON BEVUTA...

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Emanuela Audisio per "la Repubblica"

Sparato in faccia. Così muore un dio selvaggio del ring a cinquant'anni. In maniera squallida e violenta. Lontano dalla vita, molto vicino ai guai: la solita bustina aperta di cocaina sul sedile. Così muore il pugile nella scena di un film già visto, cambia solo il nome: Kill Hector. Il luogo: Bayamon, Porto Rico, un bar qualsiasi, una Ford Mustang, due uomini dentro.

Uno è Hector "Macho" Camacho, campione del mondo in tre diverse categorie negli anni Ottanta, l'altro è un suo amico, Adrian Mojica Moreno, trafficante di droga. Si avvicina un Suv ed è un ko mortale: a Camacho sparano al volto, il colpo trapassa la mascella, esce dalla testa, colpisce la spalla, frattura due vertebre. Morte cerebrale. Ammazzato l'amico farabutto, in tasca ha nove bustine di cocaina. Adios Macho. Solita scarsa pietà: tanto i pugili all'inferno ci sono già, il trasloco definitivo è solo l'ultimo passo.

Hector saliva sul ring travestito da gladiatore e da Tarzan, però sapeva combattere: Duran, De La Hoya, Chavez, Ray Leonard, Trinidad, tutti avversari veri. Ci dava dentro, ma gli mancava il resto: cavarsela fuori. Seguire la forza spesso porta al burrone. Nel 2007 gli avevano dato sette anni perché beccato a svaligiare computer in Mississippi, in tasca aveva l'ecstasy. La pena gli era stata ridotta, ma aveva anche malmenato la moglie un paio di volte.

Quante volte figlio mio? Ogni volta che posso, Padre. Hector ce l'aveva scritta in faccia la sua storia dannata, era di Porto Rico ma da bambino era cresciuto ad Harlem. Male, poi come tanti pugili non era cresciuto più. Campava tra droga e alcol, consumava gli spiccioli della fama per una foto con bevuta.

Jim Morrison avrebbe dovuto scrivere: Fighters on the storm. Tanto la fine di molti pugili è nota: Trevor Berbick, il gigante nero giamaicano che mandò a casa Ali, lo trovano alle cinque di mattina a faccia in giù fuori dalla sua parrocchia. Con un'ascia in testa, ottobre 2006. Pende dal soffitto Arturo "Thunder" Gatti, ex campione mondiale dei superpiuma, morto in Brasile a 37 anni dove è in vacanza con moglie e figlio. Suicida ubriaco, dopo l'ennesimo litigio con lei, per troppa gelosia, si disse.

Ma sul cadavere la polizia trovò strani segni sulla nuca. E si è mai visto un pugile che decide di strangolarsi con i lacci della tracolla della moglie? Così i dubbi ricaddero su Amanda, non più dolce metà. La lista dei pugili che cadono è infinita: da Liston a Tyson, da Panama Al Brown, il cui cadavere nel '51 fu portato in giro in macchina per due giorni nei bar di Harlem, al messicano Agustin "Mitraglia" Lorenzo, ucciso a coltellate a Tabasco, mentre usciva dal bar. Sentono male i pugili, spesso lo restituiscono, quasi sempre ne muoiono.

 

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